lunedì 14 giugno 2010

VECCHISSIMA EUROPA

Crisis of Political Systems Reinforces Crisis of Euro.La crise des systèmes politiques renforce la crise de l' Euro.Krise der politischen Systhemen verstaerkt Euro-Krise.








L'articolo di Andrea Bonanati sulla prima pagina della Repubblica del 14 giugno 2010, Piccole Patrie d' Europa, prende atto della crisi dei partiti politici in Europa, e rileva che tale crisi è legata a quella del progetto europeo: "Forse non ne eravamo veramente consapevoli ma, dalla Francia alla Finlandia, dall' Olanda ai Paesi dell' Est, il progetto di costruire un' Europa unita è stata l' unica vera proposta politica dell' ultimo mezzo secolo."

FINALMENTE!

Noi lo ripetevamo, appunto, da quasi 50 anni. I fatti di Grecia (crisi finanziaria), Inghilterra ("Hung Parliament") , Germania (dimissioni Koehler), Belgio (vittoria separatista), sono qui a confermarlo.

E, conseguentemente, dice Bonanno, andando in crisi l' Europa, vanno in crisi i Partiti Politici.

Bisogna intendersi su che cosa stia andando in crisi.

L' idea di un' Europa Unita non si identifica con il progetto portato avanti dal 1957 a oggi. Esso prende forma lentissimamente, dal '300 ad oggi, attraverso progetti e discussioni sempre più precisi e dettagliati. Teoricamente, esso si potrà ritenere completato solamente quando un sistema socio-politico che comprenda l' intero continente parteciperà su un piede di parità con gli altri continenti a determinare i destini del mondo. Oggi, l' Europa manca ancora di parti importanti, soprattutto nelle sue parti orientali e non ha, sui destini del mondo (e sui suoi stessi destini), quello stesso peso che hanno America e Cina.

Il progetto europeo che è oggi in crisi è quello avviato nel 1957 dai Governi, il quale aveva alcuni presupposti: organizzare la parte occidentale dell' Europa, favorire la ricostruzione dopo la guerra, diffondere il benessere. Quel progetto non era concepito "dall' Atlantico agli Urali", né come di livello pari a quello degli Stati Uniti.E, infatti, è in tono polemico che De Gaulle vi contrapponeva il suo disegno. Esso non si proponeva di costruire un nuovo tipo di società, diverso dalla semplice ricostruzione. Esso non si poneva il problema che il benessere avrebbe anche potuto diminuire.

Oggi, il progetto originario non è in crisi: è stato realizzato. Abbiamo un' Europa Occidentale e centrale unita nella NATO. Abbiamo ricostruito l' Europa dalla 2a Guerra Mondiale e ristrutturato i Paesi ex comunisti dell' Europa Centrale e Orientale. Godiamo di livello di benessere superiore a quello di qualunque altro territorio del mondo.

L' "establishement" politico e culturale che si poneva quegli obiettivi non ha, i realtà, più nulla da proporre. Anzi, ogni cosa nuova che accade lo spaventa. L' America si ritira da alcune sue posizioni. E come facciamo? I paesi in via di sviluppo ci portano nuove idee? Aiuto, è in pericolo la nostra identità! Si riduce la corsa al benessere? E' la fine del consenso sociale!

Peccato che uno Stato non si governa senza progetto, e solo con la paura del nuovo. e, se esso non si autogoverna, ci vuole qualcun altro che lo governi, secondo il progetto che esseo ha ideato. E, infatti, l' America ci ha provato, con la parola d' ordine "siamo tutti americani!".Ci riesce?Un po'sì, un pò no. Fra un pò, ci proveranno altri: i Russi, i Turchi?Tuttavia, per quanto più vivi e più progettuali degli Europei, anche questi due Paesi non ci sembrano avere le idee molto chiare su "che cosa vogliono fare da grandi".

Qui, le idee bisogna farsele venire!

L'unità non è completata ad Est. L' Europa non può darsi una politica estera.

Dopo la ricostruzione, bisogna pensare a un modo di vivere che ci piaccia e che corrisponda alla nostra cultura (tradizione, ambiente, creatività, pluralismo).

Dopo il benessere, bisogna pensare ad un' economia umana e sostenibile, condivisa con gli altri continenti.

Un' Europa così sarebbe qualcosa di irriconoscibile, un progetto politico diverso, per i prossimi 50 anni.

Chi oserà prendere in mano questo nuovo progetto?

giovedì 10 giugno 2010

I "SACRIFICI"

Discourse on Austerity Policy Helps to Reset Cultural Debate. Le discours sur l'"austerité" stimule
un renouveau du débat culturel. Diskurs ueber "Kosteinsparungen" fordert erneute Debatte ueber kulturelle Grundlagen.




Seguendo il discorso pubblico degli ultimi due anni sulla crisi mondiale, si ha l' impressione di vivere in una sorta di "Torre di Babele", in cui la classe politica intellettuale, politica ed economica, che con tanta sicumera ci assicura di avere nelle mani le sorti del mondo, ogni giorno si ritrova spiazzata dinanzi alle sorprese che le riserva il suo giocattolo preferito, l' economia.

Ad un punto tale che tutte le certezze che erano state costruite, inculcate e difese come dogmi indiscutibili negli ultimi decenni, hanno cominciato ad essere smentite dai fatti, e non sono più chiare, né ai loro teorici, né alle massime autorità del pianeta.

In primo luogo, la convinzione che il mondo retto dalla razionalità strumentale e dal metodo scientifico, scartando il mito, le passioni, le differenze, fosse "il migliore dei mondi possibili".Tutto sommato, oggi molti sarebbero disposti ad avere meno beni materiali, ma, in cambio, una cultura più umana, meno patemi d' animo, la possibilità di farsi dei progetti di vita che non vengano sparigliati ogni due anni dalle imprevedibili crisi dell' economia.

Poi, quella che gli Stati Uniti, tramite l' Occidente, fossero una sorta di "locomotiva" di questo mondo materialistico, che prima o poi sarebberro riusciti, con l' aiuto della globalizzazione, a "modernizzare" tutti i Paesi del Mondo, creando, di fatto, uno "Stato Universale Omogeneo"(Kojève), in cui tutti accettassero di buon grado una prospettiva di eterno "tran tran" dedicato al lavoro ed allo sviluppo della tecnologia.

Poi, quella che l' Unione Europea si inserisse perfettamente in questo disegno, ed anzi, con suoi propri metodi ("soft power", "welfare"), fosse di supporto al disegno americano, ricevendone in cambio, se non il plauso (che non c'è mai stato), almeno un benigno implicito assenso, la continuazione, anche in sordina, dell' attuale benessere, e un ruolo accresciuto dell' Euro.

Infine, l' idea che i grandi Paesi in via di sviluppo, Cina, India, Brasile, ma anche Russia, Turchia e Medio Oriente, allafine, un pò spontaneamente, un pò in base a pressioni occidentali, si sarebbero "modernizzate", e quindi sarebbero divenute simili all' Occidente.

Nulla di tutto questo.

Quel sistema che ci aveva assordato per decenni con lo slogan secondo cui non saremmo mai stati bene come adesso, non fa che parlarci di crolli in borsa, svalutazioni, tagli di stipendi , di prestazioni e, perfino, di investimenti produttivi.

Quell' America che ancora all' elezione di Obama si proponeva come "guida", ha subito smacchi enormi, dallo "stallo" nelle guerre in Medio Oriente al disastro del Mar dei Caraibi.

L' Europa, che vantava l' Euro come un successo incontestabile, che le avrebbe permesso di rimanere una grande potenza, almeno economica, ha dovuto subire le umilianti crisi finanziarie che conosciamo, che non solo hanno intaccato la credibilità dell' Euro, ma anche hanno dimostrato gli inestricabili e spesso non confessabili legami fra le economie reali europee e quel mondo finanziario americano di cui tutti denunziano la natura perversa ed instabile.

I Paesi non occidentali escono dalla crisi incredibilmente avvantaggiati, con una crescita ulteriore delle economie cinese, indiana, brasiliana e russa. Questi Paesi non si stanno affatto avvicinando progressivamente all' Occidente, ma piuttosto percorrono ciascuno proprie vie, come una Cina sempre più espansionistica dal punto di vista economico;un' India sempre più radicata nelle sue specificità; una Russia con sempre più moderni armamenti, una Turchia sempre più islamica e medio-orientale.

Di fronte a questi avvenimenti, vengono riproposti, in ritardo e senza convinzione, i vecchi rimedi: minacciare sanzioni per le multinazionali che "sbagliano" ,senza attaccare le basi del sistema; far finta di vincere in Afganistan per ritirarsi senza perdere la faccia; salvare le economie in crisi ma senza una vera politica economica europea; ribadire stancamente la retorica dei "diritti umani in Cina e in Russia", senza preoccuparsi delle violazioni in Medio Oriente, in America e nella stessa Europa.

L' unica cosa su cui sono tutti d' accordo è che gli Europei devono "affrontare i sacrifici".

Ma per cosa? Ma perche?

Siamo sicuri che vogliamo, o dobbiamo, cercare di difendere all' infinito l' attuale modo di vita, a costo di fare una gran quantità di sacrifici per vederlo peggiorare continuamente?

Siamo sicuri che il corso della storia sia sostanzialmente predeterminato, e che, comunque, chi decide sono sempre le grandi lobby internazionali e le grandi potenze, e che, poi, le grandi scelte di civiltà e valoriali fatte in Occidente negli ultimi secoli siano veramente insuperabili?

Siamo sicuri che le sorti future del mondo non siano così in bilico che anche gruppi ristretti e determinati non possano far "pesare" i propri punti di vista?

Noi crediamo che l' irrompere sempre più pesante nel mondo globalizzato delle "periferie del mondo" porti con sè automaticamente una forte dose di elementi mitici (dalle religioni sincretistiche di Africa e America Latina, al fondo rituale della cultura di Bolliwood, al sostanziale estetismo che è alla base dell' attuale islamismo). Questi elementi mitici si "sposano" con altre forze di trasformazione, come in "nazionalismi continentali" dei Paesi in via di sviluppo, e la curiosità per l' "Altro" delle borghesie occidentali.

Tutto ciò porta ad una situazione di "stallo" su tutti gli scacchieri (cultura, ambiente, equilibri politici, in tutti i continenti).

Questa situazione di " stallo" non è negativa, perchè ricrea, semplicemente, quella libertà di scelta di cui da gran tempo eravamo stati privati.

Libertà di scegliere fra una civiltà basata esclusivamente sul "fare" in vista di un mitico futuro Paese di Bengodi, e una civiltà sostenibile in cui la cultura ci permetta di cogliere i valori non materiali della vita.

Libertà di scegliere fra un tirannico e conformistico "Stato Universale Omogeneo" governato dalle esigenze impersonali dell' economia, ed un mondo multicultuale e multipolare, che offra una vasta gamma di culture e di civiltà.

Libertà di scegliere fra un' Europa che sia solo una pallida variante dell' Occidente , e un' Europa a tutto tondo, con una sua specifica cultura, una sua autonoma economia, una pluralità di modelli di vita, religiosi e laici, estetici ed economici, territoriali e cetuali.

Fare cultura in questo momento in Europa significa provare l' inebriante sensazione di potere ancora inventare, creare, farsi sentire, realizzare.

E non è neppure escluso che, alla fine, l' "establishment" non possa apprezzare anche questa nuova cultura, se essa fosse capace di dare una risposta sugli obiettivi della nostra società, e sul perchè occorrre fare dei "sacrifici" (che, se fatti per un obiettivo, non sono più tali).