giovedì 26 marzo 2009

I leader mondiali confermano la fine delle egemonie

End of Hegemonies Confirmed. La fin des hégémonies est confirmée. Ende der Hegemonien bestaetigt.

A partire dall’ elezione di Obama, molti osservatori politici avevano pronosticato il fatto che la fine dell’ egemonia americana si sarebbe allontanata, in quanto il nuovo Presidente avrebbe espresso un alto grado di leadership, così soddisfacendo ad un’ esigenza comunque presente.

Le misure prese per fronteggiare la crisi economica e le promesse di rovesciare la politica militare di Bush sembravano avere frenato le crisi più evidenti.

Tuttavia, cl protrarsi della crisi economica e con il replicarsi di momenti di ostilità nei settori cruciali, i destinatari degli appelli del Presidente (Russia, Europa, Iran e Cina) sembrano sfilarsi a uno a uno.

La Russia non ha ancora incassato la fine del sistema antimissili, che già vede sorgere il problema della NATO in Svezia e in Finlandia, e, perciò, insiste nel programma missilistico, invia i bombardieri nei Caraibi e nell’ Asia Centrale, chiede una valuta mondiale.

Anche il Presidente Sarkozy si è associato a quest’ ultima richiesta, ripresa infine anche dalla Cina, e che, probabilmente, sarà proposta al prossimo G20.

Infine, per ora, gli USA non hanno neppure revocato le sanzioni economiche contro la Repubblica Islamica.

Soprattutto la proposta, ormai corale, di una nuova valuta mondiale, conferma in modo clamoroso le previsioni del libro di Antonio Mosconi.

La tenaglia - 3

(foto: Farid Zakaria)

Fini warns against "Sole Way of Thinking".Fini conjure la "Pensée Unique". Fini warnt vor "Alleiniges Gedanke"

Appare singolare che, proprio nel momento della creazione, con il Popolo delle Libertà, di un soggetto politico che rappresenta quasi la metà dell’ elettorato italiano, uno dei suoi principali fondatori, Gianfranco Fini, denunzi il rischio di un “pensiero unico” legato a questa nuova realtà. Questo non per le dimensioni di questo soggetto, né per la pluralità degli elementi che lo compongono, bensì per l’implicito conformismo che regna nei partiti-aziende, nelle burocrazie tecnocratiche, nel consensualismo forzato e nel culto dei sondaggi.


Questo pensiero unico, che già si coglie nella ricerca ossessiva di “una memoria condivisa”, e nella banalizzazione dei conflitti, tipica dei “talk shows”, coinvolge tutti i soggetti, ma soprattutto quel partito che, per le sue dimensioni, aspira ad identificarsi allo stesso tempo con il popolo, con lo Stato e con l’ economia (se non anche con la Chiesa).

Eppure, da quando il nuovo progetto bolle in pentola, il Governo che ne è l’ espressione, e il suo leader, hanno fatto anche cose ottime, che, forse, prima, non sarebbero state possibili. Ad esempio,le proposte per una politica economica per l’ Europa, o i rapporti inediti con la Russia e con la Libia, che non rispondono, come alcuni credono, solo a interessi particolari, bensì a tendenze di fondo dell’Italia e dell’Europa.

Solamente, tutto ciò è avvenuto senza un progetto politico trasparente; anzi, sostanzialmente, a dispetto delle ideologie prevalenti nel PDL, che restano quelle euroscettica, mercatistica ed occidentalistica.

Il problema è veramente complesso: il PDL viola di fatto il Pensiero Unico nello stesso momento in cui lo impone ai suoi quadri.

La vera difficoltà è costituita dalle società contemporanee, così complesse da sfuggire ad ogni definizione. Qui coesistono identità ancestrali, rinnegate ma mai morte: lobbies più o meno occulte ancora impregnate dei dogmi della modernità; strutture statali di una tale completezza da rischiare la paralisi; un’ economia di mercato in perenne crisi; ceti tradizionali che resistono e una gran massa di ”déracinés” ; un pubblico manipolabile indaffarato e semi-alfeabetizzato ed intellettuali troppo sofisticati, chiusi nelle loro torri d’ avorio.

Probabilmente, una certa dose di centralismo e di opacità intellettuale sono oggi necessarie per gestire i grandi aggregati continentali a dispetto della complessità e dei “media". Tuttavia, se non vogliamo avere da un giorno all' altro delle sgradite sorprese, dovremmo pretendere che la politica renda conto delle proprie strategie almeno nel limitato agorà della cultura politica.

Proprio realtà enormi ed inafferrabili come il PDL, l’ UMP o Edinaja Rossija avrebbero tutto da guadagnare nel suscitare, almeno nelle classi dirigenti, un dibattito politico serio sui grandi temi storico-politici.

Almeno come fa quel centinaio di pensatori politici che animano i “think thanks” americani (da Kennan a Kissinger, da Brzezinski a Huntington, da Fukujama a Podhorez, da Kagan a Zakaria), e che, ad ogni cambio di presidenti, si alternano nel ruolo di “consiglieri del Principe”.

A nostro avviso, i temi su cui cimentarsi non mancherebbero: a cominciare dall’ Identità Europea, per passare alla laicità, poi, i rapporti con il resto del mondo; la concezione dell’ ambiente, delle autonomie locali e sociali, il ruolo della cultura, ecc...

Quindi, non già un “pensiero unico”, bensì un’ “Agenda” di temi, sui cui i vari soggetti pensanti siano chiamati a pronunziarsi.

Agende che possono essere diverse da Paese a Paese, da partito a partito, ma che, alla fine, devono trovare una loro sintesi sensata.

venerdì 20 marzo 2009

La tenaglia - 2


Ideology or Utopy? Idéologie ou Utopie? Ideologie oder Utopie?
Al di là della questione delle ideologie, il libro di Irti ne propone un' altra, di portata più generale: con la caduta delle cosiddette “Grandi Narrazioni”, non si è forse andati troppo in là, pretendendo che si possa fare a meno, non solamente delle ideologie, bensì anche di una qualsivoglia forma di collegamento fra il pensiero speculativo e la realtà fattuale?

L’urgenza di una risposta è data dalle conseguenze di questa assenza di pensiero politico. Conseguenze che si possono ridurre alla perdita del controllo, da parte dell’umanità, sul divenire del processo storico.È proprio a questa perdita di controllo che si riferisce la metafora della “Tenaglia”.

Nel mondo senza ideologie, le scelte vengono effettuate da apparati apparentemente impersonali, ma che, di fatto, impersonano la logica burocratica della pura volontà di potenza fine a se stessa.

Per Irti, le due ganasce della tenaglia che stringono l’umanità di oggi sono, da un lato, la tecnocrazia del mercato; dall’altro, l’interventismo clericale.Sviluppando questo pensiero dell’autore, a noi sembra che ambedue queste forze si apparentino per il loro carattere anomico: esse, anziché riallacciarsi consciamente alle forze storiche e culturali che le hanno poste in essere, interpretano semplicemente l’esigenza di potere che scaturisce dalla presenza di potenti strutture organizzate.

Aggiungendo ancora una nostra interpretazione, questo “modus operandi” si ritorce contro queste stesse forze, le quali non sono in grado, per questo motivo, di perseguire in modo razionale i loro propri obiettivi storici.Ma, sorge spontanea la domanda, l’assenza di ideologie (ovvero di una qualche forma di pensiero politico), non è forse la conseguenza di un fenomeno epocale, contro cui è difficile difendersi?

A nostro avviso, tale fenomeno epocale è la “Dialettica dell’Illuminismo”.

Le “ideologie” della Rivoluzione Francese, bollate, prima che da Marx, da Napoleone, e rivendicate, invece, dagli intellettuali “progressisti” sotto la Restaurazione, altro non sono che l’articolazione dialettica del cosiddetto “chiliasmo del filosofo”, predicato da Kant, secondo cui l’escatologia delle religioni monoteistiche avrebbe dovuto essere interpretata in senso mondano, come infinita perfettibilità dell’uomo.Cristianesimo sociale e nazionalismo, liberalismo e socialismo, sono la declinazione in modo dialettico di quest’unico “programma di sistema” (come lo avevano definito Hölderlin, Kant e Schelling).

Lo “scacco” del “chiliasmo del filosofo” si rivela sotto due diversi punti di vista:
a) l’ineliminabilità del male;
b) la vittoria storica dei Paesi dell’Oriente, i quali, non avendo una tradizione monoteistica, non hanno spazio per l’idea di “chiliasmo”.

Ma il pensiero politico può esistere solamente come forma secolarizzata di chiliasmo, oppure può prescindere totalmente da qualunque forma di escatologia terrena, come fa, per esempio, il Confucianesimo, e come facevamo le religioni monoteistiche fino a qualche secolo fa?

L’idea di “utopia”, che preesisteva a quella di “ideologia”, non aveva bisogno di presupporre un “lieto fine” cosmico.

L’utopia era desiderio, provocazione, progetto, non una sentenza del Tribunale della Storia.

Quello di cui abbiamo, probabilmente, bisogno oggi, è una qualche forma di utopia, che non pretende di risolvere il problema del male del mondo, bensì di risolvere le esigenze (tutte le esigenze, spirituali, culturali, istintuali, emozionali, fisiche, economiche e/o giuridiche) degli uomini di oggi, così come sono, con le loro diversità, ed anche con i loro difetti.
Una siffatta “utopia” non è, certo, meno impegnativa di un irrealistico e sfuggente “chiliasmo del filosofo”.

Ma siffatte utopie, oggi, esistono?
A nostro avviso, solo ora si sta incominciando a ragionare intorno ad esse.
Il federalismo è, a nostro avviso, il nuovo asse portante della creazione del pensiero politico.

Esso, al contrario dell’idea di “Progresso”, è, per sua natura, relativistico e pluralistico. Esso non mira a schiacciare, bensì ad esaltare le diversità. Esso tende a creare una pluralità di utopie fra loro non confliggenti; utopie che si propongono di risolvere problemi parziali dell’umanità: quello della cultura, quelli dell’ambiente, quello della libertà, quello della religione, quelli dell’Occidente, quelli dell’Oriente, quelli del Sud del Mondo.

lunedì 16 marzo 2009

La tenaglia - 1

Natalino Irti urges for a renewed need for ideology. Natalino Irti sollicite une forme de renaissance des idéologies. Natalino Irti stellt die Frage über ein erneutes Erfordernis für Ideologien.

Nel suo ultimo libro, Natalino Irti solleva un importante problema: quello della scomparsa delle ideologie. Mai osservazione avrebbe potuto essere più puntuale, soprattutto qui in Italia, dove stiamo assistendo ad una vera e propria gara fra i partiti politici a cambiare continuamente i propri quadri di riferimento, divenuti, così, intercambiabili.

Il PDL può passare impunemente da un “cristianismo” integralista ad un individualismo sregolato, dal liberismo economico senza freni alla lotta al “mercatismo”, dall’affermazione del Fascismo come il Male Assoluto all’identificazione di Berlusconi come il nuovo Uomo della Provvidenza.

Il PD può passare senza danni dall’esaltazione estatica del sogno americano di Obama all’appoggio ad Hamas, dalla liberalizzazione selvaggia del mercato del lavoro al sostegno di tutte le rivendicazioni sindacali.

La realtà è che sono in crisi non già “le ideologie” in senso lato, bensì le “ideologie” in senso stretto, quelle nate dalla Rivoluzione Francese, ideologie che Napoleone e Marx sprezzavano, mentre, invece, Destutt de Tracy e Benjamin Constant rivendicavano come eredità “civilizzate” della Rivoluzione (liberalismo, ma poi anche nazionalismo, socialismo, democrazia, cristianesimo sociale).

Orbene, queste ideologie sono morte perché è morto l’ideale pseudoilluministico che le sottendeva, cioè il pregiudzio kantiano secondo cui, grazie alla ragion pratica ed alla Rivoluzione Francese l’uomo fosse divenuto finalmente libero dall’ignoranza,e, quindi, dal male. Come hanno magistralmente messo in luce Horkheimer ed Adorno, l’illuminismo, partito da quella pretesa, non è riuscito (come già immaginavano già illuministi come Boulanger) ad evitare questo destino, in quanto, con la distruzione della fiducia nella tradizione, esso si era limitato a sostituire a vecchi miti (Trono ed Altare), nuovi miti (Popolo e Progresso).

Ed, infatti, per quanto ciò possa sembrare paradossale, quelli che si confrontano, oggi, sul piano politico, in tutto il mondo, sono nuovi miti. Da un lato, quello del capo democratico disideologizzato, cesaristico e decisionista, che, forte del suo carisma mediatico, chiede sempre nuovi poteri ; dall’altro, quello di una religione pseudo-tradizionale, che, invece del misticismo, della salvezza delle anime, si preoccupa del dogma, della politica, della morale ridotta ad un precettario di comportamenti.

Sono, appunto, questi due le due ganasce della Tenaglia che Irti paventa. Le ideologie, pur con tutte le loro debolezze, derivanti dalle assurde affermazioni sull’autosufficienza della ragion pratica, avevano, comunque, il pregio di una certa trasparenza: date certe premesse teoriche (il “Chiliasmo del Filosofo” di Kant), grazie all’ideologia, vi sono strumenti operativi per decidere sulla realtà di fatto, sulla politica. Invece, con la disideologizzazione della politica, viene meno la trasparenza. Il Chiliasmo del Filosofo è ormai condiviso da tutti: è il Pensiero Unico, in forza del quale l’unica cosa che conta è il successo economico “hic et nunc” della media della popolazione (“il rilancio della crescita e dell’ occupazione”). Tutto ciò, però, non è esplicitato; è celato sotto la melassa del linguaggio politico - “politichese” - che accomuna destra e sinistra.

Come uscirne? Il difetto comune delle ideologie ottocentesche è quello di credere che il Millennio sia oramai prossimo, e che il Regno Divino sarà così radicale da sopprimere perfino l’obbedienza alle antiche leggi e credenze. Come credevano i primi Cristiani contro cui protestavano Paolo e Agostino, e poi i mazdeisti e gli islamici estremisti (come i Mazdakisti, i Carmati e gli Assassini), quando verrà l’Ora Ultima, saranno abolite leggi, tradizioni, testi sacri; tutti saranno perfetti e potranno fare tutto ciò che vorranno: ni Dieu, ni Maître.

Poiché, purtroppo, si era già visto, sotto il Terrore, che questa ingenua speranza non si sarebbe realizzata, ciascun “ideologo” si sforzò di inventare una metodologia per salvare il salvabile del “Chiliasmo” senza distruggerlo. Per il liberalismo, la libertà assoluta doveva essere frenata dalle procedure; per i democratici, dalla partecipazione popolare; per i nazionalisti, dalla comunione nella Religione Civile; per i socialisti, dalla gestione accentrata dell’economia.

Tuttavia, tutte queste “ideologie” hanno in comune l’idea che l’uomo moderno è perfetto e libero, e non ha più bisogno di ciò che serviva all’uomo antico: il Rito ed il Mito; il Centro ed il Capo; la Città e l’Impero. E, tuttavia, tutte queste cose si ripropongono: il rito all’altare della patria ed il mito del benessere; il Centro Occidentale ed il Presidente Decisionista; il Campanile della Lega e l’Impero Democratico. Per questo, le vecchie ideologie hanno perduto credibilità, e sono nate quelle nuove: ambientalista ed islamista, teocon, federalista, ecc...

Eppure, siamo proprio sicuri che anche queste non stiano riproponendo il “chiliasmo del filosofo”, sotto la specie dell’“Ipotesi Gaia”, del Mahdi, della “Guerra Infinita”, dell’incontaminata Padania dedita al culto del Dio Po?

martedì 3 marzo 2009

I PAESI DELL’EST-EUROPA CHIEDONO AIUTO A QUELLI DELL’OVEST


East European Countries urge West Europeans for help.Les Européens de l’Est demandent l’aide des Européens du Ouest.Osteuropäer beantragen eine Hilfe von der Seite der Westeuropäer.

Tutti i nodi vengono al pettine.
Il rapporto fra Est ed Ovest dell’Europa, messo in luce con grande lucidità già negli Anni ’30 dal Principe Trubeckoj (il grande linguista russo-bianco fondatore del Circolo di Praga), emerge finalmente in tutta la sua chiarezza.

I Paesi dell’Europa Centrale (dalla Polonia all’Estonia, all’Ucraina, alla Bulgaria) sono storicamente più poveri di quelli dell’Ovest (senza che occorra qui ricercare le ragioni di tale povertà).Da quando è diventato patrimonio comune dell’umanità pensare che tutti i Paesi debbano, innanzitutto, sforzarsi di sollevare il loro sistema economico per raggiungere quello dei “paesi più sviluppati”, i Paesi dell’Europa Centrale hanno fatto di tutto per raggiungere l’Europa Occidentale, imitando, prima, le potenze dell’Asse, poi, l’industrializzazione forzata staliniana, ed, infine, la de-regulation di Reagan e di Bush.

Nonostante ciò, essi non sono riusciti a raggiungere il livello dell’Europa Occidentale, la quale, in un modo o nell’altro, anche nel contesto dell’attuale crisi, se la cava molto meglio, con le sue strutture conservatrici, di Paesi come gli Stati Uniti e la Cina, che hanno puntato tutto su una crescita esasperata dell’economia, nonché dei Paesi dell’ Est, che hanno imitato, mutatis mutandis, ricette americane o cinesi.

Orbene, secondo quali criteri rispondere alle richieste di aiuto degli Europei dell’Est?Come al solito, in base ai gretti criteri del compromesso economico giorno per giorno?Oppure, in base a pregiudizi ancestrali, o a considerazioni ideologiche?

A nostro avviso, il criterio determinante non può essere che politico. La trasformazione delle economie dell’Europa Centrale ed Orientale in senso occidentale è stata voluta, consciamente od inconsciamente, anche dalle élites dell’Europa Occidentale, come parte integrante di un progetto meta-politico di realizzazione di un’Identità Europea.

Questo progetto è stato concepito e realizzato in modo inadeguato a causa dell’insufficiente sviluppo dell’Identità Europea nella stessa Europa Occidentale.In particolare, l’Europa ha abdicato ad un ruolo di dialogo paritetico con l’Europa Centrale ed Orientale, includente tanto le Nomenclature, quanto la dissidenza; ha delegato i ruoli politici ed economici agli Stati Uniti; non ha preteso di inserire, nelle agende politiche dei nuovi Stati, accanto a temi genericamente occidentali, anche quelli specificatamente europei.

Le conseguenze di tutto ciò erano abbastanza prevedibili.
Le Nomenclature post-staliniste, sulla base della loro cultura opportunistica, hanno scelto di identificarsi con un modello americano che, da un lato, era particolarmente consono al loro background materialistico, e, dall’altro, si presentava come vincente.Di conseguenza, queste élites hanno sdegnato i suggerimenti di saggezza da parte dell’Europa Occidentale e si sono buttati a capofitto nella “turbo-economia” di tipo americano (per altro, la più facile da realizzare nella loro situazione storica, in cui il comunismo, con il suo egualitarismo, aveva eliminato tutte le possibilità di compensazione offerte dai ceti intermedi).

A questo punto, era facile prevedere che, dopo un’iniziale ubriacatura grazie al sistema “americano” dell’economia creditizia, questi popoli “déracinés” sarebbero caduti, non appena ci fosse stata una crisi del sistema occidentale, nella più profonda depressione.

A questo punto, che fare?
Rinfacciare agli Europei Orientali la loro ancestrale arretratezza, oppure la loro attuale povertà, oppure, ancora, le sequele nefaste del comunismo e del neo-liberismo?

Ciascuno può avere una sua risposta a queste domande.
Noi, essendo, in primo luogo, europeisti, abbiamo una nostra precisa risposta.
Questa è un’occasione d’oro per sancire una volta per tutte, a dispetto di tutte le ideologie, la solidarietà fra Europei.

È in quest’ottica che, come già anticipato in precedenti post, avviamo, da oggi, una serie di approfondimenti sui Paesi dell’Europa Centrale ed Orientale, volti a dimostrare che, nonostante tutti i luoghi comuni, e nonostante tutte le traversie storiche, gli Est-Europei sono europei a tutti gli effetti.

lunedì 2 marzo 2009

RETTET MEIN PREUSSEN!


The avoided missiles conflict between Russia and NATO highlights the key role of Prussia in today’s Europe. Le conflit (évité) entre Russie et OTAN à propos des fusées souligne l’importance actuelle de la Prussie.Der (vermiedene) Konflikt fuer Missilen klaert Preussens Schluesselrolle im heutigen Europa.

Nello scenario della Nuova Europa, sorta dal crollo del Muro di Berlino, mancano più di uno dei protagonisti tradizionali (dal Regno di Ungheria, alla Rzeczposopolita polacco-rutena-lituana, allo Jiddishland).

Soprattutto, manca quel soggetto che, nel corso degli ultimi tre secoli, si era proposto, inequivocabilmente, quale elemento di equilibrio di un Nuovo Ordine Mondiale, incentrato, per altro, contrariamente a quello presente, non già sull’America, bensì sulla Mitteleuropa:la Prussia.

Tuttavia, come, ma ancor più, che per tutti gli Paesi d’Europa, crediamo che esista un “gap” quasi insormontabile fra la Prussia ed i nostri contemporanei.
La Prussia, parte integrante ed essenziale del mondo baltico, fu il “nocciolo duro” dei “popoli dei Kurgan”, e, quindi, come prima conseguenza, area tradizionalmente refrattaria alla predicazione cristiana.Di ciò fece esperienza innanzitutto il vescovo polacco Adalberto (Svęty Woitech), il quale, parallelamente al suo “collega” ungherese Gellert, fu ucciso, da parte dei Pruzzi pagani, nel corso dei sui tentativi di conversione.

Questo, ed infiniti simili episodi, furono alla base della decisione delle potenze cristiane di por fine all’indipendentismo religioso, culturale e politico dei popoli del Baltico (Slavi, Balti ed Ugrofinnici), convertendoli alla fede cristiana.Promotori della crociata furono, da un lato, i Duchi polacchi indipendenti della Mazovia, Signori di Varsavia, e, dall’altro, il Gran Maestro dell’Ordine Teutonico, Hermann von Salza, braccio destro di Federico Secondo di Svevia.La crociata fu condotta con il concorso di tutte le forze più importanti del Sacro Romano Impero, a partire dall’Imperatore, il quale era, a quel tempo, anche Re di Boemia.

Il nome tradizionale di Kaliningrad, Königsberg, significa “Montagna del Re”, e fu chiamata così in onore del Re di Boemia, da parte delle sue truppe boeme che fondarono la città. Königsberg nacque, dunque, quale fortezza dei Cavalieri Teutonici, con l’appoggio dell’intero Sacro Romano Impero.

I Cavalieri Teutonici, insieme ai commercianti tedeschi dell’Hansa, imposero la loro egemonia culturale, politica ed economica in Prussia ed in Lettonia.
Il popolo baltico e pagano dei Pruzzi fu sottomesso senza difficoltà, ed il suo nome passò, al momento della Riforma, allo stato feudale dei Cavalieri Teutonici, che, avendo abbracciato il Protestantesimo, avevano secolarizzato il loro Stato.Solo nel ‘600, i Pruzzi si ribelleranno e saranno sterminati.La neonata Prussia (sorella gemella del Brandeburgo, di cui il Gran Maestro era Principe Elettore) divenne il modello dello Stato teocratico e guerriero protestante, volto alla conquista di un potere territoriale la cui gloria ridonda a splendore della Riforma.Un esempio tipico di questa etica è espresso dalla tragedia “Il Principe di Homburg”, di Schiller.

La Prussia, inizialmente uno dei territori federati della Repubblica Aristocratica polacca Rzeczpospolita, perviene (parallelamente, per altro, al Regno di Sardegna) al rango di Regno, uscendo, così, dalla tutela (per altro, solamente formale) della Polonia.

In quello stesso contesto, la Prussia diviene anche la roccaforte dell’Illuminismo in Germania, e Federico II, Gran Maestro delle Logge Tedesche, ed autore illuminista, diviene il capo indiscusso delle forze riformatrici in Germania. In Prussia sono emigrati molti nobili ugonotti, che costituiscono il nerbo dell’esercito e dello stato protestante prussiano.

Le guerre di successione sono una palestra in cui il giovane Stato prussiano si cimenta a divenire forza egemone della Germania, conquistando, progressivamente, la Pomerania ed una serie di piccoli Stati feudali nella Germania Nord-Occidentale ed in Franconia.

A Königsberg, capitale per un breve periodo, vive Kant, che dedica al Re di Prussia la sua opera sulla pace perpetua.

Nello stesso tempo, la Prussia Orientale, nella quale era compreso, lungo il fiume Niemen, un piccolo territorio, quello di Klaipeda (Memel, Niemen) chiamato “Piccola Lituania”, diviene lo sponsor della rinascita della nazione lituana.
Con le tre spartizioni della Polonia, la Prussia accresce il suo carattere multinazionale, e, per un certo periodo, comprende persino Varsavia.

Tuttavia, con l’occupazione francese, il Romanticismo e il Nazionalismo, la Prussia viene risucchiata, suo malgrado, nella Germania, divenendone, con il Congresso di Vienna, la maggiore potenza. Nel corso del 19 ° secolo, la centralità prussiana non cessa di accrescersi, anche se l’ enorme Prussia non si dissolve nella Germania che la circonda.

Il 1870 è una data fondamentale: con la creazione del II° Reich, si perviene all’ unificazione della “Piccola Germania” (senza l’ Austria e i Sudeti, appartenenti all’ Austria Ungheria).

La Prussia è lo Stato egemone, da un lato, del II Reich, e, dall’ altra, di un blocco mitteleuropeo, che sfocerà negli “Imperi Centrali”:
La Prussia della Belle Epoque è un Paese contaddittorio ( latifondistico ed industriale, feudale e socialdemocratico, ebraizzato e militarista ), dove, per altro, si sviluppano le più interessanti tendenze culturali del tempo (scienze naturali e musica classica, geopolitica e teoria marxista).

Durante la Repubblica di Weimar, la Prussia resta il più grande Land, ed è una roccaforte della Socialdemocrazia. I manifesti dell’ SPD mostrano Federico II, come campione dei valori illuministici. Il commissariamento della Prussia da parte di Hindenburg, e la sua trasformazione in un ministero sotto Goering cancellano la Prussia come Stato Sovrano. Il tentato attentato contro Hitler può essere considerato come una vendetta della vecchia Prussia illuministica ed aristocratica.

Con la IIa Guerra Mondiale, il territorio della Prussia viene spartito fra Russia, Polonia, DDR e Germania Occidentale. I comandi congiunti alleati decretano lo scioglimento dello Stato Prussiano, a cui addossano, per decreto, la colpa del militarismo tedesco e delle due guerre mondiali.Si tratta di un giudizio palesemente insostenibile. La Prussia fu, di tutta la Germania, la parte più progressista. Il Nazismo partì dall’ Austria e dalla Baviera per conquistare la Prussia.

Questo pregiudizio contro la Prussia permane. I tedeschi del Sud chiamano spregiativamente “Preusse” quelli del Nord. Quando si fece il referendum per la riunificazione della città di Berlino con il Brandeburgo, con il nome di “Prussia”, i cittadini delle due regioni votarono contro.
L’ unica vera, autonoma, Prussia, resta la Regione di Kaliningrad, enclave della Russia fra Polonia e Lituania, con forti presenze industriali tedesche. Qui continua a vivere lo spirito decadente della Belle Epoque e della Repubblica di Weimar.

Il 100 anniversario della città di Kaliningrad (Koenigsberg) è stato festeggiato con grande sfarzo da Putin (la cui moglie è nativa della regione) , con i capi di Stato di Francia e Germania.

Questo era il territorio dove avrebbero dovuto essere posizionati i missili russi se la NATO avesse posizionato i suoi a Praga e Varsavia.

Speriamo che questo periodo sia definitivamente scongiurato.