domenica 6 dicembre 2009

UGO PERONE CONTRO MITO


At Starting of Turin-Milan High Speed Train, MITO Project Rejected by Member of Torino County Board. Le projet MITO condamné par adjoint au Président de la Province de Turin le jour meme de l' inauguration du TGV Turin-Milan. MITO Projekt am Tage der Eroeffnung der Hochgeschwindigkeitsstrecke von Mitglied von Provinzregierung kritisiert.

L' entrata in funzione del nuovo tratto della TAV da Torino a Milano non significa di per se stessa l'avvio del "progetto MITO" (integrazione urbanistica e progettuale fra Torino e MIlano).

Avevamo già illustrato in questo blog il nostro punto di vista contrario a questo progetto.

Nuova forza ai nostri argomenti viene ora conferita dall' intervista rilasciata aLa Repubblica sabato 5 Dicembre da Ugo Perone, Assessore alla Cultura della Provincia di Torino.

In sintesi: "..le due città sono diversissime e concorrenti, mentre Milano ci ha sempre portato via tutto."

Conclusione: ..."per noi possono contare di più la Liguria e la Francia".

L' Assessore lamenta anche, giustamente, che:"si decide solo in alto, senza dibattito.E con la società civile che si è ritirata e sta a guardare, come venti anni fa."

Bene, questo blog è nato proprio per fare discutere la società civile. Ci adopreremo perché questi temi non cadano nel dimenticatoio.

Intanto, auguriamo tutto il successo politico alla proposta dell' Assessore.



sabato 5 dicembre 2009

FORO DI DIALOGO ITALIA-RUSSIA


Annual Meeting Reinforces Synergies BEtween Italy and Russia. La rencontre annuelle renforce les synergies entre Italie et Russie. Jaehrliches Trffen verstaerkt Synergien zwischen Italien und Russland

Riportiamo qui di seguito ampi brani dell' intervento del Ministro Frattini all' incontro de Foro di Dialogo Italia-Russia del 3 Dicembre, nel quale sono stati firmati più di 20 accordi.Tale intervento costituisce, a nostro avviso, una significativa descrizione della posizione dell' Italia nei confronti della Russia:


1.Carattere globale
"Ma non è soltanto - il nostro - un rapporto di compravendita di energia. La Russia è per noi un interlocutore politico privilegiato, sul piano complessivo, inclusa la sicurezza. Il multilateralismo efficace basato sulle Nazioni Unite - nostro principio guida in politica estera - non può ovviamente realizzarsi senza la piena inclusione e il coinvolgimento attivo della Russia nelle decisioni.

Nè possiamo parlare di sicurezza europea senza il coinvolgimento del nostro più grande vicino.

Consideriamo inoltre la Russia a pieno titolo un paese culturalmente europeo, una civiltà europea pur con le sue specificità e le sue tradizioni che ammiriamo e rispettiamo."

2.Sull' identità

"Mi sembra importante sottolineare questo carattere prevalentemente europeo della Russia soprattutto in un momento in cui l’attenzione del mondo si sta rapidamente spostando - forse anche troppo - verso il Pacifico."

"Il nostro è insomma un rapporto profondo, che va al di là dei governi e della politica, al di là anche del fattore energetico e affonda le radici profonde nel capitale di simpatia e comprensione tra le nostre società, le nostre genti"!.

"...abbiamo inoltre una stretta collaborazione in campo culturale (2011 : anno della cultura Italiana in Russia e della cultura russa in Italia).

Insomma quello tra Italia e Russia é un partenariato ‘modello’ a tutti i livelli e di cui siamo giustamente fieri";

3.Rapporti NATO-Russia
"Proprio per adattarsi a queste nuove sfide la NATO sta discutendo un nuovo Concetto Strategico alla cui elaborazione auspichiamo la Russia stessa (come detto da Rasmussen) - possa offrire un suo contributo costruttivo. Insomma, vi sono le condizioni perché la Russia possa oggi guardare alla NATO con lenti diverse, come un fattore di stabilità e allo stesso tempo un’opportunità per risolvere sfide comuni".


4.Foro di dialogo Stati Uniti-Russia-Europa
"La cooperazione per far fronte alle sfide globali e costruire insieme ‘ i beni pubblici globali’ nel mondo del XXI secolo: è questo il ruolo principale che Europa e Russia, superata la guerra fredda, possono e devono giocare insieme. E’ una proposta che lancio qui e che potremmo approfondire neio contatti con i nostri partner euro-atlantici a russi: la creazione di un ‘Foro di dialogo sulle sfide globali’ Stati Uniti- Russia- Eurooa, che includa non solo politici e diplomatici, ma anche esperti e società civile, perché da esso possano scaturire idee innovative sulle sfide principali del nostro tempo."


lunedì 30 novembre 2009

IL RISCHIO, PER IL PIEMONTE, DI DIMENTICARE L'INDUSTRIA


It was a Mistake to Identify Turin and Industry; it's a Mistake to Forget Industry .C 'était un erreur identifier Turin avec l'industrie, mais il est aussi un erreur oublier l'industrie.Es war ein Fehler Turin mit Industrie zu identifizieren, aber ist auch in Fehler, Industrie zu vergessen.


Mentre, nel corso del XX Secolo, l’errore era stato quello di identificare il Piemonte con l’industria, e, soprattutto, con la Grande Fabbrica, il rischio attualeè che, di converso, si dia per scontata l’avvenuta deindustrializzazione della Regione, e, pertanto, non ci si debba più preoccupare dell’industria.


La deformazione precedentemente dominante, sotto l’influenza dell’Ideologia Piemontese, aveva portato (soprattutto negli Anni ’70) a vari aspetti negativi che ben conosciamo:

- l’elefantiasi dell’industria e della popolazione operaia;

- la scarsa cura del patrimonio urbanistico;

- l’ipertrofia del traffico privato, a scapito del trasporto pubblico;

- la monotonia del quadro culturale della regione;

- la mancanza di vita sociale al di fuori dell’associazionismo orientato politicamente;

- il deteriorarsi dell’immagine del territorio nei confronti delle opinioni pubbliche straniere;

- l’impossibilità dell’affermazione del turismo.

Un’eventuale dimenticanza della permanenza della realtà industriale della città potrebbe comportare altri e paralleli problemi, come, per esempio:

- la diminuzione della rappresentatività della Regione verso Roma e Bruxelles;

- lo sfuggire definitivo del centro di gravitazione della Fiat dall’orbita torinese, e l’ulteriore declassamento del ruolo dell’industria aerospaziale;

- l’ulteriore penalizzazione della piccola e media impresa, che pure continua a sopravvivere;

- la perdita delle grandi opportunità legate alle nuove tecnologie, che permettono di conferire nuovo slancio ad industrie tradizionali piemontesi, come quelle editoriale, cinematografica e della formazione.


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domenica 29 novembre 2009

INVECE DI MITO: ALPI OCCIDENTALI

Idea of Merging Torino and Milano would Mean just to Erase Torino's vocation. Fusionner Turin et Milan signifierait faire disparaitre la vocation turinoise.Turin und Mailand zu "verschmelzen" wuerde bedeuten, dass die ganze "Berufung" Turins wuerde verloren sein.

L’idea della “città a rete” non è nuova, e corrisponde, soprattutto, ad esperienze vissute nell’Europa Centrale (per esempio, “Ruhrgebiet" o “Randstad Holland”).

Essa ha un senso nella misura in cui nessun centro monopolizzi la vita della grande megalopoli. Altrimenti, si dovrebbe parlare, piuttosto, di una sorta di “annessione”, da parte di una città, dell’altra, come è il caso, per esempio, di Villeurbanne nei confronti di Lyon, oppure di Bad Godesberg nei confronti di Bonn.

Quando si leggono le consuete presentazioni del progetto MITO, si è impressionati dalla scarsa attenzione per l’identità piemontese, là dove si insiste che, grazie all’Alta Velocità, si potrà vivere a Torino e lavorare a Milano, arrivando in centro di quest’ultima con le stesse tempistiche con cui si arriverebbe da Lecco o da Pavia.Nel fare questi ragionamenti, si perde di vista che le vocazioni di Torino e Milano sono differenti: quella di Milano come grande baricentro dei traffici della Val Padana; quella di Torino come punto di convergenza di culture locali fortemente radicate nel territorio, ed a tendere, di un’area alpina più vasta, dove, al limite, conteranno più che i rapporti con Milano, quelli con Roma e con Parigi.

Il fenomeno del pendolarismo fra le due città non ci sembra un fatto da incoraggiarsi particolarmente, perché introdurrebbe elementi di forte alienazione personale in una città che ha, invece, ancora conservato ritmi di vita umani.

Quanto all’accordo, per altro già esistente, ma non adeguatamente pubblicizzato, con la Liguria (2006), anch’esso va visto nell’ottica di culture diverse e di una più ampia realtà euroregionale.

Ripetiamo soltanto, per chi non se ne ricordasse, che il Piemonte fu integrato, nel corso della sua storia, per periodi più o meno lunghi, oltre che con la Savoia e la Valle d’Aosta, da un lato, con la Sardegna e la Liguria, e, dall’altro, con le regioni francesi del Nizzardo, del Bourg e della Bresse, e con i cantoni svizzeri di Ginevra, Losanna e Vallese. È questa l’area che si sta cercando di fare rivivere con gli accordi euroregionali, e che sta divenendo una realtà grazie alla TAV. Basti pensare come già ora Chambéry, antica capitale degli Stati di Savoia, distante da Torino poco più di un’ora, graviti tutta sulla nuova stazione del TGV a Chasses-Les-Eaux, ed abbia stipulato un accordo con Torino per la doppia linea italo-francese.

Le regioni che si trovano nell’Euroregione alpina hanno caratteristiche più omogenee che non quelle della Val Padana in generale.Sono regioni collinari e montane, fortemente turistiche, e con forti presenze dell’agricoltura, del terziario avanzato e della piccola e media impresa. Soprattutto nell’area francese, vi sono anche molti parchi tecnologici. Anche le caratteristiche storiche, architettoniche e linguistiche sono molto affini.

Perciò, il nostro parere è, in definitiva, che Torino abbia tutto da guadagnare ad incrementare le proprie sinergie, prima che con Milano, con Lyon, Genova, Ginevra, Losanna, Nizza, Marsiglia e Chambéry.

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LA CULTURA COME SETTORE DELL'ECONOMIA PIEMONTESE


Culture to be considered as a segment of piemontese industry. La culture doit etre considérée comme un secteur de la culture piemontaise. Kultur muss als ein Bestandteil der Piemontesischen Kultur betrachtet werden.






Senza addentrarci nella disamina dei diversi settori di attività che stanno gradualmente accrescendosi in Piemonte, e ricoprendo, per così dire, gli spazi lasciati vuoti dalla struttura della “Città dell’Automobile”, ci concentreremo, qui di seguito, sulle sole problematiche proprie all’industria culturale.


Ci si accorgerà anche che, oggi, la cultura non è solamente il necessario “background” per il governo del Paese e per la promozione del territorio, bensì anche un settore produttivo importante (fondazioni, associazioni, case editrici, istituzioni teatrali, musei, cinematografia, festival) ed un segmento rilevante dell’impegno, tanto nel settore privato, che nel settore pubblico allargato (istituti finanziari, premi letterari, mostre, finanziamenti, cooperazioni internazionali, ecc.).


Nonostante l’enorme incremento dell’offerta culturale in Piemonte negli ultimi anni, vi è stata sempre più, in questi stessi anni, la sensazione diffusa che la situazione attuale sia di stallo, e, ciò, per una serie di motivi, che hanno fornito anche alimento ad importanti polemiche nel corso degli ultimi mesi:

- i “tagli” ai finanziamenti alla cultura;

- lo scandalo del Premio Grinzane Cavour;

- la crisi dell’industria editoriale piemontese;

- le “manovre” di Roma e di Milano per sottrarre a Torino la Fiera del Libro e Settembre Musica;

- la scarsa incisività delle iniziative regionali in materia di cinema;

- la necessità di una maggiore trasparenza dei finanziamenti alla cultura;

- la domanda di un maggiore livello di privatizzazione.


Qui come altrove, la ragione fondamentale delle difficoltà è costituita dalla mancanza di una visione complessiva coerente, intorno alla quale mobilitare le energie e le risorse pubbliche e private. Il venir meno delle capacità innovative dell’“Ideologia Piemontese”, che costituiva, in passato, tale filo conduttore, ha lasciato un vuoto che viene riempito dall’occasionalismo.

Certo, la situazione attuale presenta anche alcuni vantaggi, in quanto consente una maggiore apertura e libertà di espressione. Riteniamo, infatti, che ci si debba tenere lontani da ambedue gli eccessi: da un lato, dall’eccessiva invadenza di un “pensiero unico”, ma, dall’altro, anche dall’assenza del pensiero e dalla mancanza di progettualità.


Che cosa si potrebbe, dunque, proporre, per riempire il vuoto che si è, così, venuto a creare? Non crediamo di dire niente di nuovo, bensì, anzi, di ripetere un tema ricorrente nei dibattiti dedicati a questo argomento, affermando che i nuovi contenuti dovrebbero essere forniti dall’Identità Regionale, a cui abbiamo dedicato molte pagine in altri interventi.L’Identità Piemontese costituisce, infatti, un tema condiviso, che può costituire l’elemento catalizzatore di un dibattito aperto, nel quale possano confluire tutti i contributi culturali di vario orientamento. Dovrebbe così essere possibile un coordinamento delle azioni a livello regionale, in modo da concentrare gli sforzi di tutti verso filoni prioritari, come, per esempio:

- la salvaguardia del patrimonio;

- l’orientamento locale della scuola;

- le sinergie fra economia e cultura;

- una maggiore trasparenza e professionalizzazione delle attività culturali, continuando ed approfondendo tendenze già in atto come “contraccolpo” allo scandalo del Premio Grinzane Cavour;

- un ricambio, almeno parziale, di una classe dirigente delle istituzioni culturali, o, almeno, della sua cultura dominante.


Per ciò che riguarda la salvaguardia del patrimonio, insisteremmo sulla necessità di valorizzare quegli elementi (come, per esempio, la preistoria, i castelli, i santuari, le sinagoghe, i luoghi Valdesi, i luoghi storici del Risorgimento e della Resistenza) che forniscono un legame con le grandi vicende storiche del territorio, ed, inoltre, di rievocare alla memoria i fenomeni culturali minoritari e/o elitari, che comunque contribuiscono a formare la ricchezza dell’identità regionale (minoranze etniche, intellettuali anticonformisti, europeismo).


Quanto all’orientamento locale della scuola, ricordiamo l’urgenza di sviluppare la conoscenza della storia e della linguistica locali, ponendole in collegamento con le grandi vicende storiche connesse (per esempio, la storia del Monferrato con quella del Sacro Romano Impero, quella del Principato di Acaia con le Crociate, quella del Paese Walser con l’economia transfrontaliera medievale, quella delle Valli Valdesi con la formazione del Regno di Sardegna, quella di Torino con il Risorgimento, l’industrializzazione e la critica della modernità).


Per ciò che concerne le sinergie fra economia e cultura, alla complementarietà fra le industrie terziarie (editoria, formazione e consulenza) nei confronti delle attività produttive, alla necessità di utilizzare il Web (2.0 e 3.0) e la “banda larga” quali veicoli per la diffusione della cultura prodotta sul territorio, e, di converso, alla cultura del territorio come stimolo per gli investimenti volti all’incremento dell’interconnettività delle reti, oltre che a quelli nel settore dell’editoria elettronica.


Per ciò che concerne la trasparenza del sistema di finanziamento, pensiamo al superamento del sistema dei contributi parziali a fondo perduto, ed alla generalizzazione di un sistema competitivo per l’assegnazione, su basi di progettualità, competenza ed economicità, la gestione dei servizi culturali. Per ciò che riguarda la professionalizzazione, ad un esame di carattere competitivo delle varie competenze, allo stimolo alla creazione di consorzi ed alla formalizzazione di collaborazioni con i giovani aventi carattere permanente.


Per quanto concerne l’orientamento strategico, esso dovrebbe, a nostro avviso, essere finalizzato ad un orientamento dell’offerta culturale che fosse capace di fuoriuscire dalla vieta alternativa: preservazione del patrimonio/innovazione, ma mirasse, invece, ad offrire iniziative capaci di suscitare interesse grazie alla loro attinenza alle problematiche culturali della Regione (per esempio, rapporti con le altre regioni transfrontaliere, reperti fondamentali e classici del patrimonio culturale europeo, approfondimenti sulle grandi aree del mondo, in ispecie quelle con le quali si stanno intensificando i rapporti economici, come, per esempio, la Cina, l’India ed il Medio Oriente).


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IDENTITA' REGIONALI, NAZIONALI E EUROPEA

Regional, National and European Identities.Identitées Régionales, nationales et Européenne.Regionale, nationale und europaeische Identitaet.

Abbiamo detto in un precedente post che, a nostro avviso, una visione matura della storia nazionale italiana non può prescindere, oltre che dall’Europa, dal peso delle realtà locali.La cultura europea dovrebbe costruire, a questi fini, una più definita teoria delle identità regionali e nazionali all’interno dell’Europa.

Al vertice, si dovrebbe porre l’Identità Europea (cfr. Riccardo Lala, 10.000 anni di identità europea, 1° vol., Patrios Politeia, Alpina, 2006; http://www.alpinasrl.com/catalogo/cat_baustellen/cat_10000_anni_identit%E0.htm), che, come tutte le grandi identità continentali, può essere definita solamente come un ampio campo di intersezione di determinate tendenze metastoriche, da cui deriva la dialettica concreta del nostro Continente - così come, per esempio, quella dell’Asia Orientale si misura con la dialettica fra Taoismo, Confucianesimo e Buddismo -. Noi crediamo anche che, per l’Europa, per usare una terminologia tratta dal Nuovo Testamento, le due grandi tendenze metastoriche siano, da un lato, il “chiliasmo” (l’attesa spasmodica della Fine dei Tempi, che si incarna nel Manicheismo, nel Gioachimismo, nella Rivoluzione Francese, nel Mito del Progresso), e, dall’altro, il “Katéchon” (cioè quella forza che “trattiene” il mondo dall’avvento dell’Anticristo, forza che è stata identificata, di volta in volta, negli Imperi Romano, Tedesco e Russo, e nell’Europa stessa). Dalla dialettica fra queste forze sarebbero scaturite, per molti, conflitti ed accordi, come, per esempio, le guerre di religione, gli Stati nazionali e la stessa modernità europea( http://identitaeuropea.blogspot.com/2008/12/che-cos-per-noi-lidentit-europea.html).

All’interno dell’Identità Europea, si situano le identità delle nazioni, o di grandi aggregati, come, per esempio, la Penisola Iberica, l’Arcipelago Britannico, la Scandinavia o i Balcani.

Nel caso dell’Italia, vi è una sostanziale coincidenza fra un’“Italianità Diffusa” (che si manifesta anche in aree limitrofe, come, per esempio, il Canton Ticino, i Grigioni, la Corsica, l’isola di Malta, le coste dell’Adriatico e le isole dello Ionio e dell’Egeo), ed un’identità più “strettamente italiana” (una differenza che, per esempio, in Inglese, è quella fra “British” ed “English”, ed in Russo, fra “Russki” e “Rossijski”). E, tuttavia, nel caso dell’Italia, la caratteristica più tipica della sua identità è proprio la sua estroversione, che ha fatto sì, da un lato, che, nel corso della storia, ogni sua regione si congiungesse idealmente, ma anche politicamente, con aree diverse (Grecia, Nordafrica, Spagna, Francia, Germania, Austria, Levante), e, dall’altro, che la “missione” dell’Italia fosse vista sempre come quella di essere la portatrice di una realtà più vasta (ed, almeno, europea), per esempio: Roma, la Chiesa Cristiana, il Sacro Romano Impero, la Federazione Europea.

Ciò, in particolare, in una situazione, come quella italiana, dove le attuali Regioni sono portatrici di un patrimonio di continuità con antichi popoli già esistenti ben 1.500 anni fa, e con le Regioni fondate da Augusto circa mille anni fa. Ad esempio, in Piemonte avevamo, in prevalenza, tribù celto-liguri, come i Taurini. L’identità piemontese è, dunque, innanzitutto un’identità europea; poi, essa è molto legata al territorio, montano e collinare; presenta forti caratteristiche elitarie, legata com’è alle tradizioni dell’aristocrazia, dell’esercito, della grande industria, del sindacalismo e della tradizione azionistica e marxista. Non per nulla Torino è stata, ed, in parte, è ancora, la città dell’editoria. È una tradizione di cultura alta, riservata ed un po’ esoterica. È, in definitiva, una cultura che potrebbe essere particolarmente appropriata per una civiltà postmoderna che privilegerà la qualità sulla quantità.

La riscoperta e la promozione dell’identità piemontese saranno essenziali per poter rilanciare il territorio. Questo rilancio potrà avere luogo solo con una politica culturale più aperta (Progetto Integrato Euroregione).

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CONTINUITA' DELLE TRADIZIONI MILITARI PIEMONTESI


Continuity of Piemontese Military Traditions ,since the Taurini and up to Aerospace Industry. La continuité des traditions militaires des Piémontais remontent aux anciens Taurini, et arrivent jusqu'à l' industrie aérospatiale. Militaerische Tradition von Piemont, von den alten Taurini bis die heutige Luftfahrzeugindustrie.


Una delle forze che parteciparono con un ruolo determinante al Risorgimento furono le Forze Armate - prima, quelle degli Stati di Sardegna, poi, quelle irregolari dei Mazziniani (i “Garibaldini”), ed, infine, quelle del Regno d’Italia. Infatti, occorre ricordarlo, il Risorgimento non avvenne, né per via pacifica (come avrebbe voluto Gioberti), e neppure per via rivoluzionaria (come avrebbe voluto Mazzini), bensì, ed esclusivamente, per via bellica (ciò, con tutto quanto, di positivo, e/o di negativo, può venire, a ciò, ricollegato) -.


Torino fu, fin dalla sua fondazione, un accampamento militare romano. I Taurini e i Salassi, che abitavano precedentemente il territorio, erano popoli molto combattivi. Essi avevano dato molto filo da torcere, gli uni ai Cartaginesi, e, gli altri, ai Romani. I loro “cugini” Cozii rimasero così irriducibili che il regno della dinastia Cozia (Regnum Cottii) continuò ad essere autonomo nell’Impero per alcuni secoli (partecipando, così, ed in modo egregio, a quel fenomeno singolare di identità esasperata, che furono le tre “Province Alpine” dell’Impero, tre province piccolissime che i Romani non pensarono mai di fondere, né con la Narbonense, né con l’Italia, né con la Rezia - altro che Astérix! -).


Il Piemonte e la Savoia furono sempre dominate dai guerrieri. Secondo la Chanson de Roland, l’Arcangelo aveva consegnato al paladino Orlando la sua spada magica, Durendart, proprio in quella Val Moriana che sarebbe diventata la culla della dinastia dei Savoia. Quest’ultima fu per secoli insignita della carica di Vicario Imperiale, e come tale, i suoi esponenti governarono, ad esempio, la Contea di Nizza, che fece uno spontaneo “Acte de Dédition” nel 1399, per evitare di cadere sotto il dominio degli Angioini.Emanuele Filiberto ed Eugenio di Savoia furono fra i più grandi comandanti dell’esercito imperiale. Ad essi spetta il merito delle vittorie della parte imperiale, a cui furono dovuti i Trattati di Château Cambrésis, di Utrecht e di Rastadt, i quali permisero alla Dinastia di Savoia, oltre che di divenire Re di Sardegna, di riallocare i propri possedimenti prevalentemente in Italia, divenendo, così, una potenza italiana, e rilanciando, così, il ruolo di Torino e del Piemonte.


Ma, anche prescindendo dai Savoia, le altre grandi dinastie piemontesi del Medioevo, gli Arduinici di Ivrea, gli Aleramici del Monferrato e gli Acaia del Piemonte Centrale, furono grandi schiatte di guerrieri, illustratesi nelle discese in Italia dell’Imperatore e nelle Crociate.


Il Piemonte del Medioevo era costituito da un mosaico di feudi, di cui ancor oggi troviamo le tracce negli infiniti castelli che costellano la nostra Regione, ed i cui feudatari hanno costituito, fino a tempi recentissimi, le famiglie dei notabili torinesi. A mano a mano che i Savoia centralizzano i loro Stati, questi feudatari entrano a fare parte dei loro eserciti. L’esercito sabaudo era uno dei migliori d’Europa: esso tenne testa a lungo anche alle armate napoleoniche. Tanti ufficiali, come, ad esempio, Xavier de Maistre, dopo la sconfitta definitiva da parte di Napoleone, fecero una brillante carriera all’estero, sempre nell’ottica di battere Napoleone. La loro memoria non viene, a nostro avviso, adeguatamente ricordata dalla storia militare.


Come tutti gli eserciti italiani, che erano stati rifondati da Napoleone durante il lungo periodo dell’occupazione francese, l’esercito del Regno di Sardegna era divenuto molto politicizzato in senso liberale. Nel 1821, le truppe piemontesi si erano ribellate, ed avevano marciato su Torino, occupandola per qualche mese. Tuttavia, in generale, le truppe erano fedeli al Re di Sardegna, e lo seguirono con onore nella 1ª e 2ª Guerra d’Indipendenza. Dopo il trasferimento della capitale d’Italia a Firenze, gli unici veri “assets” che rimanevano a Torino erano l’aristocrazia e l’Esercito.


Anche la nascente industria trasse grande vantaggio dalla presenza dell’Esercito, il quale, almeno fino alla Prima Guerra Mondiale, era ampiamente schierato sulla frontiera occidentale, dato che l’Italia era alleata degli Imperi Centrali.Nella 1ª Guerra Mondiale, la grande industria fu dedicata prevalentemente alle produzioni militari. Al tempo del fascismo, la capacità del Gruppo Fiat di produrre qualunque prodotto tecnologico si sposava con le esigenze belliche del nascente imperialismo italiano, sotto lo slogan “Terra, Mare, Cielo”.


Ancor oggi, il Piemonte si caratterizza per la sua forte vocazione alle sinergie fra industria e Forze Armate. Basti ricordare: le recentissime polemiche circa i piani di trasferimento di impianti Alenia a Cameri per la produzione dell’aereo americano F-35; il fatto che l’Iveco possegga un’importante divisione (seppure localizzata a Bolzano), dedicata alla produzione di veicoli militari; e, comunque, in generale, alla presenza, sul territorio, di imprese con un’importante valenza militare, come l’Avio.


Questa tradizione di industria militare (che, oggi, significa, “tout-court”, industria di alta tecnologia, grazie alle sinergie con il trasporto civile e con lo spazio) è un patrimonio che nessuno intende abbandonare, come è testimoniato dal fatto che, sotto l’egida della Regione Piemonte, è stato creato il Polo Aerospaziale Piemontese. La presenza sul territorio di questo tipo di industria è fonte non solamente di opportunità, bensì anche di problemi, come dimostrano, per esempio, i difficili rapporti fra Alenia ed Enti territoriali in relazione allo spostamento a Cameri della produzione dell’F-35.


La Regione potrebbe essere più presente sui temi dell’industria aerospaziale, rappresentando anche, quando necessario, nei confronti di controparti nazionali ed internazionali, le esigenze delle realtà industriali presenti sul territorio.


La problematica connessa con l’industria piemontese aerospaziale e della difesa costituisce, tra l’altro, un’ottima esemplificazione di come, nonostante le trasformazioni indotte dalla globalizzazione, la problematica connessa alla difesa nazionale sia e resti sempre presente nel pensiero delle popolazioni e dei loro governanti. La realtà è che, anche nel XXI Secolo, dominato dalla moderna globalizzazione e dalle organizzazioni internazionali e sovrannazionali, la difesa è comunque necessaria, come fatto di sicurezza del territorio, ma anche come elemento di peso politico nel contesto internazionale, in quanto la disponibilità a mettere, o a non mettere, a disposizione, di determinate operazioni internazionali, le proprie capacità belliche, oppure anche solamente la propria capacità di mobilitazione industriale (basi militari, centri di ascolto, servizi logistici), costituisce un’importante “merce di scambio” per importanti trattative internazionali.


Tutti gli Stati hanno capito questo fatto, e sanno fare un accorto uso politico di queste loro risorse. L’Italia e l’Europa seguono, come è noto, rispetto a buona parte degli attori comparabili presenti sulla scena mondiale, un corso assolutamente moderato. Le loro risorse belliche sono di gran lunga inferiori alle loro potenzialità, e sono anche utilizzate con molta parsimonia. Tuttavia, ci vogliono. Infatti, già così, l’Europa non è mai presa, a nostro avviso, sufficientemente sul serio a livello internazionale in nessuna occasione. Se, poi, non disponesse neppure di un minimo di forze armate, la situazione risulterebbe, se possibile, ancora peggiore.


Si dice, giustamente, che la situazione attuale è sbagliata, che l’Europa spende inutilmente le proprie risorse in decine di piccoli eserciti fra di loro incompatibili. Tutto ciò è verissimo: e, tuttavia, se, da almeno 15 anni, esistono precisi progetti per una forza di difesa comune, ma nessuno li “tira fuori dal cassetto”, vuole dire che le difficoltà di fare emergere un progetto logico e condiviso sono molto grandi.


A questo proposito, crediamo che anche i territori ove sono localizzati elementi importanti del sistema di difesa (in questo caso, per ciò che concerne l’industria militare, il Piemonte) debbano dire la loro, in particolare per ciò che concerne le ricadute industriali e tecnologiche



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IL RISORGIMENTO E L'EUROPA


Risorgimento may be Understood only within the Context of European history. Le Risorgimento peut etre compris seulement dans le contexte de l' histoire de l' Europe. Risorgimento kann nur innerhalb der europaeischen Geschichte verstanden werden.

Le ultime generazioni sono state educate (in particolare dalla scuola, ma anche dai “media”) ad una visione stereotipata del Risorgimento, caratterizzata dalle seguenti lacune:

a) ingigantimento della storia nazionale a scapito di una visione d’insieme del XIX Secolo;

b) di converso, banalizzazione della vicenda risorgimentale, come semplice premessa all’attuale modello sociale e culturale nazionale, mentre, invece, essa ha avuto un peso enorme, in positivo, ma anche in negativo, nella storia mondiale;

c) messa fra parentesi della dialettica fra Italia, Europa e realtà locali;

d) identificazione acritica con le fazioni vincitrici.

I principali effetti negativi di questa impostazione sono stati i seguenti:

a) fondamentale incomprensione della storia moderna;

b) adesione acritica alle tendenze culturali divenute dominanti in Italia negli ultimi due secoli;

c) fondamentale inconcludenza degli, apparentemente grandi, europeismo e federalismo degli Italiani.

A nostro avviso, il Risorgimento italiano è ben lungi dal costituire un fatto marginale nella storia mondiale, ma, anzi, partecipa di quest’ultima con una funzione centrale e paradigmatica. Nel caso dell’Italia, va, infatti, evidenziata in modo chiaro l’impossibilità di scindere nettamente la “nazione storica e mitica” (quell’“Umile Italia” consolidatasi con la vittoria dei popoli pre-romani nella Guerre Sociali), dalla nazione moderna, “borghese” (quella nata come recezione-reazione al nazionalismo dell’impero napoleonico occupante). In tal modo, il nazionalismo italiano partecipa in egual modo di un’aspirazione restauratrice dell’antica unità europea, imperiale e cristiana, e dell’impulso liberale e progressista verso il nuovo tipo di nazione, portatrice esclusiva dei valori di civiltà.

Paradossalmente, il progetto “neoguelfo” di una federazione di Stati italiani sotto gli auspici del Papa, che incarna la prima visione del nazionalismo italico (e che non poté, poi, realizzarsi), era stata, da sempre, nelle previsioni dei progetti europeistici delle monarchie gallicana e hussita (come quelli di Dubois, di Poděbrad e di Sully), miranti a ridefinire il Papato e l’Impero in senso “nazionale”, come pure di quelli illuministici di “Pace Perpetua” , e della Santa Alleanza, presentati dall’Impero Russo, sotto l’impulso del “liberale” e “massone” Alessandro 1°.

L’obiettivo di questi progetti era il mantenimento dell’equilibrio e della pace in Europa.

La versione unitaria del Risorgimento si pone, invece, come reazione e come concorrenza al progetto federalistico, proprio dei Neoguelfi e della stessa Giovine Italia. Il Risorgimento italiano, quale effettivamente fu, si pose anche come forza ostile al mantenimento del Concerto delle Nazioni, ed alla soluzione pacifica delle controversie, sancito dal Trattato di Vienna, che riprendeva anche in questo i progetti di Dubois, Poděbrad, Sully e St. Pierre. Esso si inserì fra quelle correnti al contempo nazionalistiche e progressistiche che miravano, obiettivamente, a destabilizzare il quadro tradizionale europeo, cosa che si vedrà soprattutto con la Terza Guerra d’Indipendenza, resa possibile dalla rivalità fra Prussia ed Austria, e, quindi, premessa indiretta alla nascita dell’Impero Germanico e del Compromesso Austro-Ungarico. La partecipazione dell’Italia alla 1ª Guerra Mondiale a fianco dell’Intesa, dopo avere abbandonato l’alleanza con gli Imperi Centrali, accentuerà ancora quest’idea di deliberata destabilizzazione del sistema europeo.

Sotto questo punto di vista, la recente idea di una “memoria condivisa” potrebbe avere un senso molto profondo: quello di narrare obiettivamente questo accidentato processo storico italiano ed europeo, al quale hanno partecipato un po’ tutti: le monarchie nazionali, la Chiesa, la Massoneria, le élites borghesi nazionali, le sinistre, ed, ultimi, anche i fascismi. Ciò detto, le domande che si pongono sono: queste forze storiche esauriscono la gamma di tutto ciò che si mosse in Italia ed in Europa in quel periodo? Che valutazione possiamo dare, degli esiti di quel processo, dal punto di vista dell’Europa di oggi e di domani?Il Risorgimento fu uno sforzo unanime del popolo italiano verso uno Stato nazionale unitario e modernizzato, oppure un fenomeno elitario, per quanto importante?Infine, è proprio vero che gli Stati Pre-Unitari non avessero una loro identità ed una loro ragion d’essere?

Senza anticipare le risposte a queste questioni, possiamo pacificamente affermare che, per esempio, il Piemonte, prima di diventare la locomotiva dell’Unità d’Italia, era uno Stato transfrontaliero, multiculturale, multietnico e plurilingue, legato a Parigi, a Vienna ed a San Pietroburgo almeno quanto a Roma ed a Milano. Milano, Trento e Trieste erano integrate nell’Impero Asburgico da almeno 300 anni, mentre lo Stato della Chiesa ed il Regno di Napoli erano due fra i più importanti Stati d’Europa da almeno mille anni. Quasi nessuno parlava italiano. Quanto, poi, alle fedeltà politiche del “popolo italiano”, è difficile rilevarle a posteriori: risulta, comunque, una rilevante presenza di nazionalisti savoiardi, di “insorgenze” (“Soques”, “Massa Cristiana”, “Sanfedisti”, “brigantaggio meridionale”), e forti resistenze alla creazione di uno Stato unitario, quale poi avvenne, tanto da parte del mondo cattolico (non solamente il Sommo Pontefice, ma anche personaggi autorevolissimi come Gioberti o Don Bosco), quanto da quella del mondo progressista (federalismo di Mazzini e di Cattaneo).

A livello europeo, il nazionalismo italiano fece scuola specialmente in Europa Orientale (Polonia, Ungheria, Romania, Serbia), ma, a nostro avviso, anche in Germania, facendo, addirittura, del Piemonte, un modello per la progettata unificazione jugoslava (cfr. rivista “Pijemont”). In questo senso, il Risorgimento Italiano costituì, però anche, obiettivamente, una premessa per l’esacerbarsi dei conflitti nei Balcani ed, in ultima analisi, anche per la 1ª Guerra Mondiale, l’“Inutile Strage” denunziata la Benedetto XV.

Come nella visione di Dante, il futuro dell’Europa potrà essere garantito se si potrà fondare nuovamente il senso dello Stato su valori “universali” condivisi, capaci di non negare le identità. Tali valori non sono ancora stati totalmente riscoperti, ed è per questo che non è stato possibile, né definire chiaramente l’Identità Europea, né scrivere una vera Costituzione Europea.

Le ricerche sulla storia del Risorgimento Italiano debbono smettere di essere finalizzate a ricercare la tradizione “virtuosa” ed i “colpevoli” (a seconda dei casi: l’Austria-Ungheria, la Massoneria, la Chiesa, il neoguelfismo, il mazzinianesimo,i Garibaldini,i Piemontesi, ecc.), esse, cioè, devono abbandonare quella “tribunalizzazione della storia” oramai tanto deprecata dalle menti più mature della storiografia, ed aprire le porte al dubbio, alla dialettica, all’espressione del pensiero di tutti.

In concomitanza con le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, riteniamo utile ed imprescindibile lanciare, anche da subito, sul territorio piemontese, una serie di iniziative editoriali, convegnistiche e cinematografiche volte ad illustrare gli aspetti meno conosciuti dell’unificazione italiana, come, appunto, le premesse storiche e culturali legate all’antichissima nazione italiaca, al Regno Longobardo (poi d’Italia), al Sacro Romano Impero, ai progetti di federazione europea ed italiana, alle correnti critiche dell’Unità d’Italia e ad una visione storica, che inserisca il Risorgimento d’Italia nella storia d’Europa.



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L'ATTACCAMENTO ALLA "RES PUBLICA"


Res Publica may only make sense within a Universal Vision. La Res Publica ne peut avoir du sens que dans une vision universelle. Res Publica hat kein Sinn ausserhalb einer universellen Weltanschauung.


Ciò che è permanente nel "Senso dello Stato" va definito piuttosto come “attaccamento alla cosa pubblica”. Questo, come tale, esisteva anche nelle antiche città-stato e monarchie (“politeía”, “res publica”;cfr. Riccardo Lala, 10000 anni di identità europea, 1° Volume, Patrios Politeia, Alpina, Torino, 2006; http://www.alpinasrl.com/catalogo/cat_baustellen/cat_10000_anni_identit%E0.htm). Infatti, esso è un istinto naturale, che fa comprendere al singolo che la fedeltà alla cosa pubblica è l’unico modo per partecipare in modo sensato alla storia del mondo (“ánthropos zóon politikón”).


Nell' Europa moderna, il “Senso dello Stato” nasce con la decadenza della “Res Publica Christiana”, come fedeltà al monarca nazionale, che si trasforma, gradualmente, in fedeltà allo Stato nazionale. Questo nuovo tipo di fedeltà parte dall’idea che la “sovranità” appartenga non già a Dio, al Papa o all’Imperatore, bensì al Sovrano assoluto, e, poi, al successore di questo, lo Stato Nazionale. Conseguenza di questa sovranità è che il Sovrano, e/o lo Stato Nazionale, è investito di un’enorme responsabilità, vale a dire quella di realizzare, come nelle monarchie assolute protestanti, il piano provvidenziale di Dio, o, nel caso dei più recenti Stati Nazionali, la particolare “versione nazionale” del progetto universale.


Con il sorgere della “Globalizzazione Moderna”, la Sovranità degli Stati Nazionali incomincia a trovare ostacoli, al principio, in istituzioni come la Santa Alleanza, la Triplice e la Quadruplice, il Trattato dell’Aia, la Società delle Nazioni, e, poi, in tutta quell’enorme congerie di organismi internazionali e sovrannazionali che si sono fra di loro sovrapposti nel corso del XX Secolo.


In questa situazione, è ovvio che la fedeltà assoluta verso lo Stato Nazionale sia andata progressivamente stemperandosi e confondendosi con altre lealtà, apparentemente partecipi del carattere della sovranità, e, quindi, della provvidenzialità, come, per esempio, l’internazionalismo, il blocco democratico o quello socialista, le Nazioni Unite, la Nato, l’Unione Europea.


Nello stesso tempo, avendo, in tal modo, lo Stato Nazionale, perduto la sua aura di sacralità esclusiva, esso si è visto anche costretto a cedere nuovamente spazio a quegli Stati e/o Nazioni minori, a cui si era sostituito nel corso degli ultimi 200 anni (come, per esempio, i Länder tedeschi, le Regioni italiane, i “Pays” francesi).


A questo punto sorge una domanda: in che misura l’uomo moderno è psicologicamente attrezzato per questa “fedeltà plurima”: Umanità, Continente, Nazione/Macroregione, Regione, Città, Comunità locale, Famiglia? Ricordiamo, intanto, che questo tipo di fedeltà plurima si era mantenuta, in Europa, ma anche in altre aree del mondo (cfr., per esempio, il Dar-ul-Islām o il Tien-Xiaa cinese) per migliaia di anni. Dante ci offre un magnifico esempio di questa “identità plurima”, là dove egli si sente innanzitutto suddito della Monarchia Universale, ma, all’interno di questo, rivendica un ruolo privilegiato per l’Italia (il “Giardin dell’Impero”, “Donna di Province”), e, comunque, sente un legame centrale ed irrefrenabile per il Comune di Firenze, che pure l’ha condannato all’esilio. Che cosa permette a Dante di non soccombere alla schizofrenia a causa di questa sua “identità plurima”? A nostro avviso, questo è la sua adesione ad una visione del mondo più ampia, una visione del mondo fondata sulla comunalità fra le grandi culture del mondo, nei loro aspetti esoterici ed exoterici.


La mancata attualizzazione dell’attaccamento alla Cosa pubblica deriva dall’insufficienza, da parte dell’attuale cultura tecnocratica, a fondare, da un lato, una vera comunalità fra tutti gli uomini, e, dall’altro, una reale comprensione di che cosa sia l’identità.


La rinascita di una cultura veramente universale presuppone una serie di operazioni culturali appena abbozzate: una comprensione senza pregiudizi del multiculturalismo, il completamento dell’approfondimento del Concilio Vaticano Secondo iniziato da Giovanni Paolo II, lo studio dell’identità europea e delle identità regionali, ed una nuova diversa legittimazione dell’identità nazionale.


L’insufficienza, che noi vediamo nelle attuali forme culturali a realizzare questo rinnovato equilibrio universalistico, non esclude, per altro, che, invece, nella prassi, si stiano realizzando alcuni momenti di anticipazione di tale rinnovata cultura.Cose come l’impegno nel Volontariato o nell’Aiuto allo Sviluppo , la lotta per l’avanzamento della Costruzione Europea, la difesa dell’Italia dalle prepotenze della globalizzazione e della criminalità organizzata, ed, infine, lo stesso impegno civico per il miglioramento della propria Città, e/o della propria Regione, costituiscono tutte forme attualizzate di Senso dello Stato “diffuso” ed universalistico sul modello dantesco.



Informazioni: Riccardo Lala

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ALPI -MEDITERRANEO COME META TURISTICA UNITARIA

Regions of Alpes-Méditerranée have Interest to Market jointlly worldwide their Touristic objects.Les Régions d' Alpes-Méditerranée ont intéret à commercialiser conjointement leurs ressources touristiques dans le monde. Die Regionen von Alpes-Méditerranée haben Interesse, ihre turistische Obiekte gemeinsam zu vermarkten.

L' Italia in generale, e il Piemonte in particolare, presentano una concentrazione eccezionale di risorse paesaggistiche, storiche, culturali, turistiche ed enogastronomiche.

Tuttavia, occorre anche dire che l’Europa in generale è la maggiore meta turistica del mondo, e che, all’interno dell’Europa, l’area delle Alpi Occidentali contiene, a nostro avviso, una delle maggiori concentrazioni di luoghi di interesse, per i visitatori, per i turisti e per coloro che vogliono trasferirvisi per la piacevolezza del nostro modo di vivere.

Intanto, l’area delle Alpi Occidentali è baricentrica all’interno dell’Europa Occidentale, e, di fatto, agevolmente raggiungibile (come dimostrano gli sciatori settimanali) dalla Penisola Iberica, dalle Isole Britanniche, dalla Scandinavia e dall’Europa Centro-Orientale.Essa contiene alcuni dei luoghi dotati di maggiore risonanza storica e letteraria d’Europa: il Monte Bianco, il Cervino, il Monte Rosa, la Provenza, la Costa Azzurra, il Lago Lemano; altre grandi attrazioni turistiche, dal Museo Gallo-Romano di Lyon a quello egizio di Torino, il Lago Maggiore e Portofino.Contiene, altresì, monumenti storici di importanza non soltanto regionale, bensì anche nazionale ed europea, come, per esempio, il Mont Bégo, i luoghi del Risorgimento Italiano, i Palazzi della Società delle Nazioni e delle Nazioni Unite a Ginevra.Questo territorio conserva la memoria di grandi fatti storici, come la cultura provenzale, le riforme di Valdo e di Calvino, la proclamazione del Regno d’Italia.

Questo “blocco” compatto di Regioni, che presentano una grande affinità fra di loro, si presta egregiamente a campagne cooperative di promozione del territorio, innanzitutto per ciò che concerne il turismo, soprattutto intercontinentale, nel quale possono non essere illogici dei “tours” onnicomprensivi che comprendano, ad esempio, Lemano / Monte Bianco / Castelli del Piemonte / Liguria e Costa Azzurra, oppure “giri tematici” come, per esempio, “I castelli” o “I paesi vinicoli”.

Ma anche nel campo culturale, esistono enormi possibilità di sviluppo, nel caso in cui le regioni frontaliere non si limitassero ad utilizzarle solamente per obiettivi di carattere provinciale, bensì organizzassero mostre itineranti, convegni plurimi, produzioni cinematografiche, volte a mostrare alcuni aspetti della storia e della cultura dell’Euroregione, aventi un interesse per la storia europea e mondiale, come, per esempio, sulla cultura provenzale, sui grandi condottieri sabaudi nella storia d’Europa, sul Valdismo in Europa, su Nostradamus e Rousseau in viaggio attraverso le Alpi Occidentali, sulle avventurose vicende dei Fratelli De Maistre, sulle connessioni internazionali nel Risorgimento Italiano, sulla personalità di Duccio Galimberti.

Infine, nel campo della promozione immobiliare, il Piemonte avrebbe tutto da guadagnare da un’attività di riflessione congiunta sull’indirizzamento dei flussi turistici e sulle possibilità di cooperazione di carattere immobiliare. Films come “Il vento fa il suo giro” (che ha avuto un inaspettato successo di cassetta, nonostante il budget veramente amatoriale), dimostrano come sia sentito il problema di un migliore utilizzo (anche di tipo transfrontaliero) del territorio piemontese, come luogo che non ha perso la sua autenticità, ed in cui anche altri Europei possono ricominciare una vita attiva, ma a contatto con la natura e senza i condizionamenti della grande metropoli.

Soprattutto aree come l’Alta Langa e l’Alto Monferrato, confinanti con la Liguria ed oramai a distanze minime (in autostrada) dalle grandi metropoli del Nord, ma anche dalla Svizzera e dalla Germania, potrebbero trarre grande giovamento da questa impostazione.


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LIFELONG LEARNING COME BILDUNGSROMAN


Come Back to Linking Vocational Training and Spiritual Growth. Considérer à nouveau la formation professionnelle comme une part de la croissance spirituelle. Berufsausbildung wieder als Teil der Bildung zu betrachten



Un’impostazione “personalistica” delle problematiche dell’economia non può prescindere dall’idea di formazione. La cultura europea, a partire dalle sue radici più lontane, come, per esempio, l’Epopea di Gilgamesh e la Bibbia, per venire ad opere unanimemente riconosciute come centrali nella nostra cultura, quali la Divina Commedia, il Parsifal, il Flauto Magico, il Faust, il Wilhelm Meister, sono fondate sulla concezione della vita come “prova”, nel corso della quale l’uomo non cessa di confrontarsi con se stesso ai fini di un proprio completamento, nel contempo mondano e spirituale.

È in questo spirito, non già in quello dell’esaurimento dell’umano nel mondo della scienza e della tecnica, che, dopo l’inserimento, da parte della cultura medievale, del lavoro all’interno del macrocosmo di una società sanamente organizzata, fu pensata la moderna “civiltà del lavoro”, come tentativo di sintesi fra spiritualità ed operosità. Sintesi che continua ad essere problematica.

Comunque sia, se, e nella misura in cui, tale sintesi potrà avvenire con successo, essa dovrà essere concepita nel senso del lavoro come “prova”, come “Bildungsroman”, in cui l’uomo realizza, attraverso infinite prove, la propria umanità. Ciò significa che il lavoro va concepito come strumento di insegnamento e di apprendimento. Di qui l’idea di “apprendimento permanente” (“Lifelong Learning”), che è anche l’“anima” della società postmoderna.

È, infatti, proprio e solo in questo senso che “il posto fisso” può essere superato. Superamento che non dovrebbe, certo, significare piena subordinazione ed identificazione della persona con la caotica sperimentazione sociale ed economica, ma che dovrebbe, invece, essere il progetto, collettivo ed individuale, di una serie di percorsi volti ad esaltare, attraverso il continuo cambiamento, il progressivo arricchirsi delle esperienze di ciascuno ed il suo crescente ruolo nella società.

Formazione permanente significa che:

(i) dev’essere reso possibile in un qualche modo anche ai giovani studiosi il partecipare al processo produttivo;

(ii) durante tutto l’arco dell’attività produttiva debbono essere aperti degli spazi alla cultura ed all’apprendimento;

(iii) che la formazione permanente (ovviamente stabilizzata su una forma più solida che l’attuale) sia obbligatoriamente presa in considerazione nella valutazione delle prestazioni;

(iv) infine, anche nell’età più tarda, il pensionamento non dev’essere concepito come una separazione traumatica dalla comunità di lavoro, bensì come un graduale passaggio da ruoli produttivi/gestionali a ruoli di “leadership” e di esempio.

In questa luce, l’intera architettura attuale delle attuali attività di formazione ci appare come un mirabile castello, dove, però, si è un po’ perduto il bandolo della matassa, che è la formazione della persona, la pervasività della formazione, il suo abbinamento con un effettivo percorso di crescita.

Riteniamo si renda necessario un tipo di formazione meno dispersivo, meno costoso, meno formalistico e più legato all’effettiva vita professionale.

Va sfrondata, intanto, l’enorme incastellatura di privilegi che trasformano le attività di formazione in un informe corsificio ed in una miniera d’oro per feudi di vario tipo.

Va ritrovato il collegamento di tutta la formazione con la “paidéia”, con la cultura umanistica, con la consapevolezza della funzione sociale del lavoro, con la dimensione internazionale ed europea.

Infine, “last but not least”, a causa dell’incidenza crescente delle nuove tecnologie informatiche sull’intera attività economica, la formazione dev’essere sempre più orientata su modelli nuovi, i quali non si limitino a trasporre in “format” digitale contenuti di tipo tradizionale (testi scritti, e/o lezioni “frontali”), bensì sfruttino i nuovi concetti di ambiente 2.0 e 3.0, nei quali è possibile fare partecipare i discenti all’ideazione del progetto di formazione.

Questa profonda ristrutturazione del mondo della formazione, sulla quale possono avere un’incidenza determinante gli Enti Pubblici Territoriali e le Associazioni Territoriali di Categoria, richiede un grande sforzo di sinergia fra finanziamenti europei, nazionali e regionali alla ricerca, organizzazione delle attività di formazione, editoria elettronica, società di formazione, istituti culturali ed imprese (Progetto di Ambiente Web 2.0 e Web 3.0 per Giuristi e Imprese; cfr. http://www.alpinasrl.com/Bouleusis_grandi_imprese.pdf).

Per ulteriori informazioni:

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http://tamieia.blogspot.com/

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