martedì 26 luglio 2011

ALLE RADICI DELL' IDEOLOGIA TEOCON

Processo per eresia nella Nuova Inghilterra puritana

Theo-cons: a Channel of Puritan Influence in Europe
Les théo-cons: un élément de l'influence puritaine  en Europe.
Theo-Konservative: ein Werkzeug des puritanischen Enflussnahme ueber Europa.


Le tragiche vicende di Oslo continuano a stimolare riflessioni e dibattiti. Il contesto culturale in cui quei fatti sono avvenuti, e in cui il loro protagonista si è mosso, sono complessi. Abbiamo un ampio movimento fondamentalista e islamofobo, presente, seppure in forme diverse, in Inghilterra, Olanda, Scandinavia,  Francia e Italia, oltre che in vari Paesi dell' Europa Orientale. Abbiamo allusioni, e più che allusioni, ai Templari e ai Massoni. Abbiamo un'imitazione strutturale del modus operandi di al-Qaida.

Scorrendo il manifesto di Breivik, ciò che stupisce sono i  riferimenti culturali. La tesi centrale è che bisogna salvare l'Identità Europea attraverso l' espulsione degli islamici. Questa identità sarebbe, al contempo, cristiana e individualistica. Gli Islamici, invece, sarebbero dei comunitaristi, alleati dei post-marxisti, i quali, con la teoria e la pratica del multiculturalismo, ne favorirebbero l' avvento.

Queste teorie, che possono sembrare raffazzonate e grezze, da un lato non sono nuove, e, dall' altro, sono tutt'altro che semplicistiche.
Non sono nuove perchè sono proprie dei teocon americani degli ultimi decenni del secolo scorso, i quali, a loro volta, le avevano ripescate da accenni presenti in tutta la storia americana. Non sono semplicistici perchè sono il risultato di una lunga fase di elaborazione, sviluppatasi, anch'essa, soprattutto in America.

I teocon americani del 20° Secolo partivano, sostanzialmente, da tre fonti culturali: dalla cultura americana ottocenteca (Trascenentalismo e Pragmatismo); dal conservatorismo ebraico di Leo Strauss e dal post-trotzkismo degli eredi di  Burnham.
Per Emerson, Whitman e Dewey, il vero sbocco del Puritanesimo sarebbe consistito nell' "Individualismo Democratico", vale a dire l'esaltazione del "Man of the Street", che non conosce la filosofia, e per il quale la religione è soprattutto una scuola di buon comportamento e di umiltà borghese, non certo di ascetismo: esso porta ad aborrire l' ambizione, l' orgoglio, perfino la cultura troppo esigente, tipici delle classi elevate europee.  Questa scelta, nel contempo religiosa e politica, sarebbe appunto  ciò che caratterizza  gli Americani rispetto agli Europei.
Per Leo Strauss, le sofisticherie della cultura europea ed ebraica liberale avrebbero  portato alla corruzione della società. Era ora, con la "conversione", la "teshuvà'" (la "seconda nascita" dei Puritani), di tornare alla tradizione  giudaico-cristiana e di difendere la società esistente dalle pretese intellettualistiche degli intellettuali relativisti e multiculturalisti.

Per i post-trotzkisti americani, l' Unione Sovietica avrebbe tradito gli ideali della democrazia radicale, che si incarnerebbero, invece, negli Stati Uniti, vero Stato rivoluzionario.

In sintesi: l'identità americana consisterebbe nella congiunzione rivoluzionaria  fra ritorno alla fede religiosa e individualismo democratico. Questa sintesi  sarebbe il senso ultimo di tutte le rivoluzioni moderne. Coloro che si oppongono a questa rivoluzione possono considerarsi tutti comunitaristi e collettivisti, nemici nello stesso modo dell' individualismo democratico e della tradizione giudaico-cristiana. Come i nemici erano, un tempo,  le monarchie europee, l'altro ieri i fascismi e ieri il comunismo, oggi il nemico comunitarista e collettivista è l'islamismo. 

L'islamismo è il nemico innanzitutto perchè, storicamente, ha sempre conteso a cristiani ed ebrei il primato fra le religioni monoteistiche,che spetterebbe, invece, alla tradizione giudaico-cristiana, poi perchè non accetta per principio l'"individualismo democratico", poi, ancora, perchè si oppone allo Stato di Israele, che, nel Medio-Oriente, è il baluardo della tradizione giudaico-cristiana , e, infine, perchè, grazie all' immigrazione, potrebbe soppiantare in Europa l' "individualismo democratico".

I marxisti, eredi del Comunismo, dopo la caduta del muro di Berlino si sarebbero alleati con gli islamisti. Con la teoria del multiculturalismo, essi renderebbero  possibile l' accettazione dell'Islamismo in Europa,  la nascita di un' Europa Islamica e la sconfitta dell' individualismo democratico.

Perciò, occorre una lotta decisa contro il post-marxismo, per permettere l' emergere, in America e in Europa, di una classe dirigente "occidentalistica", che freni, riduca ed elimini la presenza mussulmana in Europa.

Tutto ciò viene ammantato da colori europeistici e medievalistici, anche se, come si è visto, queste idee nascono in America, non già per stimolare l' Europa ad essere se stessa, bensì per difendere il predominio delle idee americane.

Che ciò sia vero è dimostrato, a fortiori, dall'incredibile assonanza dei fatti di Oslo con quelli di Waco e di Oklahoma City (oggetto di simili stragi da parte di integralisti puritani mussulmani) ,nonché con la trama dell' ultimo film di Dan Brown, "Il simbolo perduto", tutto incentrato sul conflitto fra un granghignolesco "massone cattivo" e la massoneria buona che si identifica con l' establishment americano.

Per questo, sembrerebbe  abbastanza incomprensibile che queste idee abbiano preso piede soprattutto negli ambienti della destra radicale e del tradizionalismo religioso, e, questo, soprattutto nei Paesi cattolici. Infatti, tanto la destra radicale quanto il cattolicesimo conservatore sono stati in Europa, e soprattutto nei Paesi cattolici, tradizionalmente alieni da influenze culturali protestanti, trotskistiche o ebraiche, ed, anzi,  si erano  dichiarati sempre fieramente avversi a queste tendenze.Quest' inaudita convergenza dovrebbe permetterci di comprendere come i vecchi schemi della cultura politica (come "destra-sinistra") non siano oramai più idonei a descrivere la realtà attuale.

Un altro ampio margine di riflessione dovrebbe aprirsi intorno alla questione dell' islamofobia.

Fino all'inizio dell' Ottocento, non si poteva riscontrare in Europa una particolare ostilità per il mondo mussulmano , che si differenziasse dal generale disprezzo per i popoli afro-asiatici, considerati inferiori agli Europei. Si dice addirittura che Napoleone sia tornato dalla Campagna d'Egitto con una notevole carica di filo-islamismo, che lo avrebbe indotto , tra l'altro, al suo ritorno, ad una politica anti-femminista. Ancora suo nipote Napoleone III si era battuto con successo, in occasione della sua accessione alla presidenza,  per la liberazione dell' emiro e sufi algerino 'Abd el-Qader, a cui avevano tributato alti onori, tra l'altro,  tutti i governanti occidentali. Nasceva in quegli anni l'"Orientalismo", come studio di un mondo affascinante, ma inferiore.

Un certo fastidio per i polpoli arabi si incominciò a sentire in Europa dopo la costituzione dello Stato di Israele, le guerre arabo-israeliane e l' Intifada.

Ancora l'Ayatollah Khomeini e i Taliban erano stati salutati, dai media occidentali, come  liberatori ,e solo la guerra in Iraq  aveva incominciato a fare presagire uno "scontro di civiltà" con l' Islam.

Anche se Saddam Hussain non era particolarmente islamico, l'anti-islamismo si nutrì soprattutto dell'avversione anti-irachena

Ma è soprattutto dopo l'11 Settembre che l'Islam incomincia ad essere descritto come un nemico storico dell' Occidente, l'incarnazione di tutte le società teocratiche, elitarie e maschilistiche. A quel punto, diviene percettibile e rilevante anche l'avversione contro l'immigrazione.
 
Come si vede, tutte questioni che sono principalmente americane, e che hanno investito l' Europa solo di riflesso.
Si parla tanto dei ceti medi impauriti che cercano nello straniero il capro espiatorio per il loro declassamento. Ma anche questa è una paura soprattutto americana, quella che l'influenza islamica faccia perdere smalto all'American Way of Life,cioè  al modello che la middle class americana propone di se stessa, soprattutto a scopo di esportazione verso gli altri  Paesi del mondo.


Di nuovo illogico che questa paura serpeggi in Europa. Qui, '"American Way of Life" ha cominciato ad affermarsi in tempi non lontani, e molti la vivono ancora come un declassamento.

Le nazioni dell' Europa Meridionale e Orientale, con la preservazione delle tradizioni religiose, etniche e cetuali, con le sue grandi differenze locali, con una visione spirituale della Religione, assomigliano più al  mondo islamico che non a quello anglosassone.

Non è un mistero che spesso gli Europei sono stati tentati (e ancora lo sono) di giocare la carta islamica contro l'occeidentalizzazione (confronta per esempio la "Lega dei Popoli Oppressi"sponsorizzata  da D'annunzio, i rapporti fra l' Asse,  l' Islam e il nazionalismo arabo, la politica degli Stati dell' Est Europa, dell' ENI, dei grandi partiti italiani, della Chiesa,di intellettuali eccentrici come Guénon, Foucault, Weil, Garaudi, Béjart o l'Abbé Pierre) . Ancor oggi, la presenza islamica sul territorio europeo, non meno delle collaborazioni con la Russia e con la Cina, costituisce obiettivamente un contrappeso all'influenza culturale, politica, militare ed economica americana. Per questo, sembra un paradosso che coloro che che, come Breivik, avrebbero addirittura la presunzione di emanare una "Dichiarazione di indipendenza dell' Europa", non si accorgano di questo importante aspetto, e sembrino non comprendere quanto questa loro politica ribadisca sempre più il carattere subordinato , anche nei temi del dibattito politico, dell' Europa rispetto all' America.









lunedì 25 luglio 2011

ALLA RICERCA DELL' IDENTITA' SCANDINAVA



Vikings, Lutherans and Social-democrats.
Vikings, Luthériens et Sociaux-Démocrates
Vikingen, Lutheraner und Sozial-Demokraten.




Le tragiche vicende di Oslo ci incitano a prendere in considerazione l'identità scandinava.

A nostro avviso, è proprio dal trascurare i messaggi positivi che le diverse tradizioni possono comunicare ai popoli che nascono le tragedie del nichilismo, come quella di Breivik.

A nostro avviso, l'identità europea non cancella, certamente, le identità locali, regionali e nazionali. Diremmo però anche che, fra l'identità europea e quelle nazionali, esistono ancora due livelli intermedi: quello delle grandi regioni dell' Europa e quello delle Euroregioni.

Grandi regioni dell' Europa sono la Penisola Iberica, l'Europa Occidentale, la Penisola Italiana, l'Europa Centrale e Orientale, l' Europa Orientale, i Balcani e la Scandinavia.

Territorio, quest'ultimo, vasto e antico . 

Lo storico "gotico" (o alano?) Jordanes definì la Scandinavia "officina Gentium". Da essa erano  discesi i Goti, i Gepidi, i  Burgundi, i Longobardi, i Normanni, i Variaghi, tutte stirpi  di conquistatori che sarebbero divenute, con il  tempo, il nerbo delle aristocrazie spagnola, polacca, francese, inglese, italiana, russa. Da Jordanes presero le loro teorie sui Germani Fichte, Chateaubriand, Chamberlain e lo stesso Hitler.

Ma la Scandinavia non è soltanto germanica. Più antichi ancora sono i popoli artici: ugrofinnici, lapponi e Inuit. La scandinavia propriamente detta si estende infatti, ulteriormente, a Ovest, nella Groenlandia americana, e, a Est, nella Russia Settentrionale, in Estonia e nella Siberia Occidentale ugrofinnica, comprendendo comunque il Circolo Polare Artico, patria degli Inuit, dei sami, dei finnici, degli Ugri, dei komi, dei votiachi e dei Nenzi. Anche questi popoli hanno lontane origini  barbariche e tradizioni di migrazioni di popoli conquistatori, come nel caso  dei Magiari.

Il primo elemento dell'identità scandinava è dunque l' antica cultura vikinga. Buona parte delle nazioni europee ha ricevuto un apporto culturale, o etnico, vikingo. I villaggi vikinghi trovati in Lettonia sono più antichi di quelli della Penisola Scandinava. I Vikinghi dettero la loro civiltà alla penisola scandinava, all' Islanda e alla Groenlandia, ma ebbero un profondo influsso anche in Germania del Nord, nell' Arcipelago britannico, in Francia, nell' Italia Meridionale, in Russia e in Terrasanta. Essi scoprirono anche l' America molti secoli prima di Colombo.

Le leggende germaniche, che furono poi riprese nella Saga dei Nibelunghi e da Wagner, erano state prima elaborate in moltissime opere in tutto il Nord Europa. I Normanni svilupparono  in terra francese le basi della cultura giuridica francese, e il dialetto normanno è divenuto il "Lei French", cioè l'antica lingua giuridica inglese. Pochi sanno che, sotto re Canuto, l'Inghilterra fu unita con la Norvegia e la Danimarca in un unico regno, o che la popolazione islandese si è originata dalla fusione fra i Norvegesi fuggiti per scampare alla conversione forzata e gli Irlandesi da loro presi prigionieri.

Il secondo elemento dell'identità scandinava è la fede luterana. Al tempo della Riforma, la Scandinavia era unita sotto l' egemonia della Svezia (Unione di Kalmar). La Svezia partecipò attivamente alla Guerra dei Trent'Anni e ad altre guerre sul Continente, assoggettando, fra l' altro, i Paesi Baltici (dove fondò l' Università di Tartu) e la Pomerania.

La dinastia svedese dei Vasa designò per un certo tempo i re polacchi, e tentò perfino di conquistare la Ucraina. Sotto gli Svedesi, incominciarono a fare valere la loro identità nazionale i Finlandesi e gli Estoni. Anche gli Ucraini  rivendicano l'origine della loro autonoma nazionalità dall'alleanza fra l' Atamano Mazepa ed il re di Svezia.

La terza base dell' identità scandinava è il pessimismo culturale. La loro religiosità luterana li rese molto attenti al lato tragico dell' esistenza ("Timore e tremore" -" Frygt og Bæven"-come avrebbe detto il danese  Soeren Kierkegaard.)

Il critico letterario Brandes, anch'egli danese,  fu il primo scopritore del genio di Nietzsche, con il quale era in corrispondenza anche Strindberg, svedese, tragediografo pessimista come il contemporaneo norvegese Ibsen.

Lo scrittore norvegese Hamsun continuò queste tematiche, mettendo in scena specialmente il contrasto fra la vita rude e incontaminata delle campagne e la vita cittadina, fatta di sfruttamento e di ipocrisia. Hamsun sarebbe poi divenuto notosoprattutto  per la sua vicinanza al regime filo-nazista di Quisling.
Nel  dopoguerra, la tradizione del pessimismo culturale scandinavo è stata ripresa da Ingmar Bergman,che, nei suoi film,ha  affrontato i temi della solitudine, del fallimento e della morte. Un recente epigono, Lars von Trier, è accomunato a Bergmann dalla sua vena pessimistica e grottesca.Anche il genere, attualmente molto di moda, del "noir nordico" potrebbe essere fatto rientrare in questo filone.

Un terzo  elemento dell'identità scandinava è la socialdemocrazia. L'abolizione dell' antico ordinamento corporativo, avvenuta, in Scandinavia, più tardi che non sul Continente Europeo, aveva portato, all' inizio del XX° Secolo, ad una vivace lotta di classe lotta di classe, che fu superata mediante una politica di concertazione fra le parti sociali, fondata  sul ruolo centrale della contrattazione collettiva, e, in particolare, dello "Huvudaftalen", un "Accordo Generale" in cui vengoni fissati i principi generali del diritto del lavoro (come quelli contenuti, a suo tempo, in Europa continentale le "grandi leggi" corporative,o nella "legge fondamentale (yugoslava) sui  rapporti di lavoro, e come sono contenuti ancor oggi in Francia nel Code du Travail, e, in Italia, nello Statuto dei Lavoratori) . Grazie a questa formula sociale, la socialdemocrazia  nordica ha dominato la scena politica nordica per quasi un secolo, anche se è,oggi, fortemente contrastata, da un lato, da partiti di marca liberista, e, dall' altro, da un'estrema destra xenofoba.

La crescita dei partiti xenofobi è certamente un elemento costante della politica scandinava degli ultimi anni.
Alcuni famosi attentati , prima di quello di Reivik, hanno avuto come  protagonisti estremisti di destra, come, sembrerebbe, il più famoso, quello del Pimo Ministro svedese Olaf Palme. L'estremismo di destra in Svezia appare fortemente impregnato di elementi razzistici, che denotano, come in tutto il Nord Europa, una forte influenza culturale americana.

L'ECCESSO DELLA RAGIONE GENERA MOSTRI

The Theo-Conservative Risk
Le risque du théoconservatisme
Das theokonservative Risiko






Non dovrebbe essere necessario che si verifichino gravi fatti di cronaca perché si ritenga il momento di riflettere su importanti fenomeni sociali. Purtroppo, è divenuto, per tutti noi, quasi  un riflesso  condizionato l' operare in questo modo, anche perchè, così, abbiamo più "chances" di farci ascoltare. E' un meccanismo perverso, che costituisce esso stesso, oggi,  la principale, se non l' unica, molla per il terrorismo. Visto che l' "establishement" controlla metodicamente i mezzi di comunicazione, e l'unica occasione in cui esso permette che si parli dei suoi più accaniti oppositori è quando questi commettono dei delitti, più tali  delitti sono efferati, più aumenta l' "audience"di chi li commette, più il terrorismo diviene appeetibile.

Questa è la logica dichiarata espressamente dall' attentatore norvergese Breivik, che ha definito su Facebook il proprio attentato come l' inizio della "fase di propaganda".Ma, di fatto, questa era anche la logica dei filmati di Bin Laden.

E, certamente, gli attentati norvegesi hanno fatto molto parlare di Breivik e delle sue teorie, espresse sul web tanto in forma dettagliata quanto in forma riassuntiva. Teorie che non sono certo nuove, né originali, in quanto sono il distillato, ampio anche se non molto accurato, delle dottrine neo-conservatrici  in voga negli ultimi vent'anni, tutte  concentrate sul timore che l'immigrazione medio-orientale trasformi l' Europa in un paese islamico.

Intorno a questa paura, che si nutre dei pregiudizi degli Europei esposti alla crisi mondiale, si muovono altri tasselli dell' ideologia teo-con, non sempre fra di loro coerenti.

Innanzitutto, l'invocazione di una vaga identità europea e cristiana, che non si comprende mai bene in che cosa dovrebbe consistere, mescolando i suoi fautori elementi tipicamente americani e puritani (come l'individualismo), altri tipicamente massonici (i Templari), altri, ancora, tipicamente giacobini (il nazionalismo).

Poi, l'ossessione del marxismo, che sarebbe complice dell'invasione islamica (mentre, come noto, Marx non fu tenero verso le civiltà extraeuropee, e i postmarxisti sono, in fin dei conti,  i principali  fautori di un'evoluzione occidentalistica nei Paesi islamici).

Infine, la giusta invocazione di una rinnovata assertività dell' Europa, che, per altro, non si capisce come si sposi con l'accettazione dell'ideologia dell' Occidente, che lo stesso Reivik riconoscere essere un elemento di paralisi della vitalità europea.

La realtà è che la dittatura dei "media", con la frenesia di commentare l'ultimo avvenimento e con l'imposizione di usare un linguaggio e una logica stereotipati, impedisce, oramai, proprio  a tutti, di svolgere una riflessione motivata e completa su qualunque argomento.

Per quel che ci riguarda, non possiamo che richiamare come sempre, pure all' interno dei limiti di un blog, i nostri lettori allo studio ed alla riflessione, indicando qui di seguito semplicemente alcuni temi.

Il primo di questi è una riflessione sul rischio "teocon". Pericoloso, questo,  non solo e non tanto perchè può dar luogo a casi di violenza inconsiderata, ma soprattutto perchè "dirotta" verso temi assurdi, distruttivi e suicidi, la giusta rabbia dei giovani europei contro  l'invadenza della globalizzazione, la distruzione della loro cultura, la mancanza di risposte da parte di intellettuali e autorità. Il "teoconservatorismo" sfiora,. così,  alcuni problemi veri dell'attuale evoluzione sociale (disumanizzazione, mancanza di guida, declino dell' Europa), ma perde di vista gli aspetti più gravi (la società del controllo totale , la conflittualità ideologica e tecnologica generalizzata), per concentrarsi su altri, come quello della rinascita islamica, che non solo non incidono su quei problemi più importanti per l'Europa, ma offrono a quest'ultima, addirittura, delle opportunità di soluzione, aiutando l' Europa a tentare di "fare deragliare" il corso di una  globalizzazione che non le appartiene.

Il conservatorismo teologico è un fenomeno tipicamente americano, che già in America ha mostrato i suoi risvolti sanguinosi.Non ha nulla a che fare con i problemi dell' Europa, e men che mai con le loro soluzioni.

Il secondo di questi è l'urgenza di una guida per i giovani europei. La classe politica e gli intellettuali sono assolutamente sordi a quelle ansie delle giovani generazioni. Le quali sono del tutto demotivate dinnanzi alle sfide che l' Europa deve affrontare. Ma non sono le sfide a spaventare: di sfide ce ne sono sempre state, dalle invasioni barbariche all' anarchia feudale, dall' islam alle guerre di religione, dalle rivoluzioni all' industrializzazione, dalle guerre mondiali ai totalitarismi, dalle crisi al terrorismo. Sarebbe sufficiente che qualcuno fosse capace di spiegare le crisi, di proporre degli obiettivi, di coagulare il consenso, di guidare la gioventù verso le necesarie trasformazioni. Anzi, la lotta per la trasformazione diviene, di solito,  una motivazione ad operare e a crescere. Se, invece, manca  una siffatta azione propositiva, almeno qualcuno, fra i giovani, finisce per  inventarsi un' "ideologia fai da te", e una "rivoluzione-fai-da te", con gli esiti che si vedono.

Il terzo è l'inaccettabile ingerenza dei "media", che debbono dare immediatamente un'interpretazione, e, addirittura, un giudizio, su qualunque fatto, quand'anche  non ancora chiarito. Quest'elemento è risultato in modo particolarmente evidente nel caso degli attentati norvegesi, quando i "media", immediatamente dopo l'attentato di Oslo, si sono affrettati a ricercare i colpevoli nel terrorismo islamico, quando solo poche ore dopo i fatti stessi hanno rivelato la ben diversa matrice dei fatti.

L'ultimo è una riflessione approfondita sulla capacità dell'attuale mistica della tecnologia e della razionalità a fornire un quadro sostenibilie alla convivenza umana. Quadro che non può certo essere eguale a quello di 10.000 anni fa, o di 1000, di 100 o di 10 anni fa, e neppure eguale a quello dell' anno scorso, ma che deve comunque avere una  sua profondità storica, un suo progetto per il futuro, una sua  precisa articolazione e un suo  sistema per il presente.
Pur essendo consapevoli che gli anni che ci attendono non saranno certo più dominati dai problemi del passato, quelli dell'avarizia della natura, o  dell'anarchia militare, o  della disciplina produttiva fordista, bensì da quello dalla lotta con il crescente potere delle macchine intelligenti, nessuno ci vieta di formulare un nuovo progetto storico, che fornisca una razionalizzazione di quei futuri scenari, che ricerchi i suoi modelli di soluzione nelle tradizioni culturali, e fornisca, infine, in esito a ciò,  principi di organizzazione  sociale e di legame emotivo adeguati ai vincoli e agli obiettivi del futuro.
Invece, nonostante che la cultura europea abbia già decostruito esaurientemente il mito del progresso indefinito, ed abbia mostrato che la semplice applicazione meccanicistica delle regole del senso comune non serve a garantire una convenienza armoniosa, invece, qui si continua a dare per scontato che le uniche soluzioni consistano nel  rilancio della crescita economica, nel rendere "moderati", per silenziare i conflitti, gli interlocutori più ostici,   e, soprattutto, nel non arrestare mai la martellante propaganda del "politicamente corretto".

Per questo, noi non ci stupiamo affatto, come, invece,  moltialtri, che  nella "Civilissima Norvegia" possano avvenire fatti di fanatismo come gli attentati di Oslo. E' ovvio che una società come quella scandinava attuale, dove vige il mito della "stabilità" e dove occorre "mettere la sordina" ad ogni problema scottante, reprime il carattere naturalmente problematico e tragico della natura umana, finché alcuni dei più deboli "esplodono". Questo è particolarmente vero in una cultura, come quella scandinava, dove l' asprezza a della natura e il carattere severo delle tradizioni culturali ha sempre fatto  inclinare verso il  pessimismo.

Pensiamo alla mitologia scandinava, e in particolare norreno-islandese, che va dalla spaventosa grandiosità dei miti di creazione al ciclo finale della "Caduta degli Dei" ("Ragnaroekr"). Pensiamo ai metodi genocidari di conversione adottati da Re Harald,  o alla cupezza della teologia luterana. Pensiamo alla drammaticità di autori come Ibsen e Hamsun.Proprio perchè la Norvegia è "un paese civilissimo", non si può rispondere alla sua  cultura  solo con il mito della crescita, con l'assistenzialismo sociale o l'educazione all'integrazione.

Occorrono miti positivi, progetti mobilitanti, leaderships riconosciute, che oggi non ci sono.

Come sempre, non possiamo che guardare con preoccupazione alla sproporzione fra i compiti immani che attendono i politici e gli intellettuali del domani e la pochezza del presente.

giovedì 21 luglio 2011

FINALMENTE IL DISCORSO E' CHIARO SULLA POLITICA ESTERA E DI DIFESA COMUNE

                                                      Sobieski con il Principe Eugenio sotto le mura di Vienna
How to React to Hague's Destructive Comments
Comment réagir aux comments destructif de Hague
Wie kann man zu Hagues zerstoererischen Bemerkungen reagieren?

Stranissima partenza per la Presidenza polacca dell' Unione. Inaspettatamente, questa aveva inserito, fra le proprie priorità, l' avanzamento della Politica Estera e di Difesa Comune, che giace nel sonno da circa vent'anni. Cosa, questa, già notevole, essendo stata la Polonia per lungo tempo, cioè ai tempi dei Fratelli Kaczinski, un paese assolutamente atlantista. Altra novità, l' idea di un comando generale comune, da collocarsi in Inghilterra, era condivisa da Lady Ashton, Inglese e Alta Commissaria per la Politica Estera e di Difesa Comune.

Eppure, non appena la proposta è emersa, essa è stata bocciata dal Minisdtro britannico della Difesa, con la classica argomentazione americana che tale comando costituirebbe un inutile doppione del comando SHAPE della NATO e, quindi, indebolirebbe, anziché rafforzare, la NATO stessa, unico strummento di difesa di tutto l' Occidente.

A questo punto, Lasy Ashton ha commentato che la posizione di Hague è eguale a quella dei precedenti governi laburisti, e che quindi non costituisce una sorpresa. Altri fanno notare che, se Francia,Germania,Polonia e Italia volessero veramente una Politica Estera e di Difesa Comune, basterebbe che lanciassero una Cooperazione Rafforzata.

La realtà vera è che non si possono distinguere la politica estera dell' Europa e la Difersa Comune.

I vari Governi europei sono divisi al 100% sulla loro visione del futuro assetto mondiale.

L'Italia non vede alcun problema nell'accresciuto peso dei BRIC e della Turchia, tant' è vero che   ha stipulato importanti accordi strategici con questi Paesi, fra cui quelli petroliferi, aereonautici e di difesa con la Russia, quello con la Cina per il Porto di Taranto e quelli per lòa difesa con la Turchia e perfino con la Libia di Gheddafi.

La Germania vorrebbe soprattutto evitare coinvolgimenti in nuove guerre.

La Francia vorrebbe farsi delegare dagli Stati Uniti un ruolo egemone sulle attività militari dell' Europa, continuando a interferire nella politica africana.

L'Inghilterra è interessata solamente all' alleanza con l' America.

Per poter condurre una politica estera e di difesa comune occorre vedere nello stesso modo il ruolo dell' Europa nel mondo.

Orbene, non c'è un' idea europea su questo punto. Il "sistema occidentale" deve tentare di espandersi all' infinito, con la sua ideologia, le sue élites, le tecnologie del post-umano, il suo sistema onnipervasivo di "intelligence",il suo individualismo di massa,  la sua finanza senza controllo, le sue multinazionali,  la sua spesa militare pari al 50% di quella mondiale, ecc...?Oppure siamo favorevoli ad uno scenario in cui, come dice Martin Jacques, "China Rules the World". Vogliamo imporre i sistemi occidentali con il "soft power" anziché con la forza come gli Stati Uniti? Vogliamo un mondo multipolare come propone la Russia? Accettiamo di coprire a nostre spese la ritirata dell' America dai fronti più caldi, come vorrebbe Sarkozi? Vogliamo continuare a essere una "potenza civile", come vuole la Germania, pronunziando sermoni e lasciando che gli altri se la sbrighino?


I punti di vista sono così disparati che, in altri tempi, la decisione sarebbe spettata alle armi.Oggi, fortunatamente, una guerra o una guerra civile fra gli Europei non è ipotizzabile. Tuttavia, questo ha paralizzato il processo decisionale. Non è vero che con un vero governo europeo le cose migliorerebbero, perchè anche all' interno di un Parlamento o di un governo ci possono essere i punti di vista più disparati. Il problema a monte è quello di raggiungere una maggiore omogeneità culturale. Non certo un' omoplogazione, bensì il raggruppamento intorno ad alcuni poli principali di pensiero.

Per fare ciò ci vogliono più cultura e più politica. Le posizioni sono disparate perchè sono quelle di restretti circoli nazionali autoperpetuantisi, che non lasciano alcuno spazio di intervento, né alla società civile, né alla cultura. Ma, visto che non si può bloccare tutto in attesa che gli Europei abbiano studiato e discusso abbastanza, la nostra modesta proposta è quella di non cominciare dal tetto, ma dalle fondamenta. Non dal Comando Generale, ma dalla "cellula di analisi"; non dai "Corpi Europei", ma da un' Accademia Militare Europea, non da spedizioni comuni, ma da un' "Intelligence" comune, ecc...

mercoledì 13 luglio 2011

OMAGGIO A OTTO D'ASBURGO

Death of Otto of Habsburg, leader of Paneuropa.
Mort d' Otto d'Habsbourg, leader de Paneuropa.
Tot von Otto von Habsburg, Leader von Paneuropa.

E'deceduto Ottone d'Asburgo-Lorena, erede della Casa d'Asburgo, leader di Paneuropa e europarlamentare tedesco. 
Ottone divenne Principe Reale ed Imperiale delle Corone d'Austria e d'Ungheria quando suo padre, l'Arciduca Carlo, ascese al trono.
Alla conclusione della prima guerra mondiale, le potenze vincitrici imposero l'esilio degli Asburgo e la costituzione della Repubblica Austriaca.Il Regno  d'Ungheria riuscì invece a salvaguardarsi. Tuttavia i franco-britannici impedirono agli Asburgo di recarsi in Ungheria a riottenere la Corona, sicché l'Ungheria rimase un Regno con trono vacante sino alla seconda guerra mondiale, sotto la reggenza dell'ammiraglio Miklos Horthy.
Nel frattempo, il Parlamento austriaco aveva ratificato l'esilio per la dinastia degli Asburgo e aveva provveduto a confiscarne tutte le proprietà ufficiali (Habsburgergesetz, 3 aprile 1919).
Dalla morte del padre e per tutto il tempo che egli rimase in esilio con la sua famiglia, Ottone si considerò il legittimo imperatore d'Austria, ribadendolo in diverse occasioni.
Fervente patriota austriaco, Ottone si oppose all'Anschluss nazista dell'Austria.  Ottone, ricercato dai nazisti, fu costretto a lasciare l'Europa ed a raggiungere Washington (1940 – 1944).I suoi cugini Massimiliano duca di Hohenberg ed il principe Ernesto di Hohenberg vennero arrestati ed inviati in un campo di concentramento sino alla fine della guerra.Negli anni a seguire Ottone si  adoperò per l'Europa unificata come presidente dell'Unione Paneuropea Internazionale, titolo che era stato di Richard Coudenhove-Kalergi
Dal 1979 sino al 1999 fu membro del Parlamento Europeo per la CSU.  Nell'ambito del suo impegno come parlamentare si adoperò fortemente per l'allargamento  dell'Unione Europea, in particolar modo per l'ammissione di Ungheria, Slovenia e Croazia .


 

lunedì 4 luglio 2011

EGEMONIA CULTURALE POST-MARXISTA

 

Gramsci - Star of Anglosaxon Liberals
Gramsci, vedette des libéraux anglo-saxons.
Gramsci, ein Modell fuer angelsaechsische Liberalen.

Lunedì 4 luglio, è comparso, su "La Stampa", un articolo di Massimiliano Panerari sulla fortuna di Gramsci nella cultura anglosassone. L'Autore cita, come esempi,  Cornel West, Stuart Hall, Ranajit Guha, Parthe Chatterjee, Rush Limbaugh, James Thornton, Herbert London.Noi ricordiamo anche che lo stesso ex ministro  Sandro Bondi aveva proposto  di  rispolverare Gramsci per costruire un' "egemonia culturale di destra".

1.Da St.Simon a Gramsci

A noi, questa fortuna dell' autore comunista degli Anni 20 e 30 non stupisce, non solo perchè ne conosciamo la ricchezza e la profondità, ma anche perchè era noto da parecchi decenni che la sua visione culturale e politica rappresentava, per così dire, il ritorno del Marxismo verso le sue fonti "democratiche" della Sinistra hegeliana   , attraverso una rilettura della cultura italiana, e, in particolare, di Giovanni Gentile.

Il Marxismo nasce come uno fra i tentativi ottocenteschi di concretizzazione della "Religione dei Moderni" di St.Simon, fondata sulla sostituzione, alla fede nell' escatologia spirituale ed individuale, di un' escatologia materiale e collettiva.

Come il pensiero di St.Simon, anche quello di Marx è ambiguo: da un lato, esso non riesce ad immaginare la Salvezza terrena dell' Umanità nella Società Comunista se non come la descrizione della vita oziosa dell' aristocrazia decadente dei suoi tempi; dall' altra, egli esalta,come portatori di una spinta rivoluzionaria, i primi capitalisti del suo tempo, i quali, attraverso la diffusione dell' industrialismo in tutto il mondo, creavano le premesse per le successive rivoluzioni socialista e comunista.In definitiva, sfugge tanto la molla che, in una concezione materialistica ed immanentistica, dovrebbe spingere l' umanità verso la rivoluzione, quanto la specificità della cultura proletaria rispetto a quelle dell' Ancien Régime e della borghesia.

Il marxismo ha continuato a dibattersi in queste sue contraddizioni, attraverso una molteplicità di interpretazioni, di sette e di applicazioni, che assomigiano molto a quelle di tutte le grandi religioni. Contraddizioni che hanno determinato il suo "inveramento", cioè messa in pratica e disvelamento, attraverso quel fenomeno che è stato chiamato, da Augusto del Noce,"eterogenesi dei fini". Partito come una promessa di Paradiso in terra, esso si trasforma gradualmente in fonte di lutti inenarrabili, per poi sfociare spontaneamente, inesorabilmente, nel suo preteso opposto, il capitalismo. Anzi, mentre, a nostro avviso, prima dell' avvento in Russia del marxismo, un vero e proprio capitalismo in senso marxista ("Dittatura di classe della borghesia") non era mai esistito in nessuna parte del mondo, solo nell'ultimo secolo, e anche per effetto del marxismo, tale "dittatura di classe" ha cominciato a realizzarsi (per esempio, con il Maccarthismo, con le dittature militari, ecc.., ma anche con gli eccessi del neo-liberismo). Come esempio del ruolo del socialismo come premessa del capitalismo (e non viceversa), ricordo perfettamente di avere ricevuto in omaggio, all' inizio degli Anni '90, al Ministero dell' Industria polacco, un manualetto rosa (erede di precedenti libretti rossi) intitolato "Od Socializmu do Kapitalizmu"("Dal  Socialismo al Capitalismo").Un'evidente inversione della prognosi storica di Marx

2.Socialdemocrazia, leninismo, fascismo.
Gramsci partecipa al dibattito sul marxismo in un' epoca molto avanzata, quando già si erano manifestati tre grandi   movimenti politici derivati dal marxismo: socialdemocrazia, leninismo e  fascismo. Egli è profondamente implicato in questi tre movimenti, dei quali vede e critica le contraddizioni, ma assume anche moltri contenuti.

Paradossalmente, l' influenza più profonda è proprio quella di Giovanni Gentile, che già nel tardo Ottocento aveva osservato che la filosofia marxista, che pure si pretenderebbe rivoluzionaria, in realtà è condannata a divenire conservatrice, in quanto fondata su un materialismo deterministico, inapace di esprimere la forza rivoluzionaria propria invece dell' idealismo, unica filosofia capace di descrivere l'eterno divenire dello Spirrito.

Di Gentile, Gramsci fa propria anche l'attenzione al carattere nazionale della rivoluzione, in una fase in cui la Questione Nazionale era centrale per il movimento comunista internazionale (fondazione dell' Unione Sovietica, Congresso di Baku, sfida dei fascismi), gettando, così, le basi di quello che sarà la "Via Nazionale al Comunismo" del PCI, fondata su un "blocco storico" con laici e cattolici.

Ultimo aspetto dell' influenza gentiliana, l'idea della politica rivoluzionaria come pedagogia nazionale, volta a sostituire il "senso comune" degli Italiani, che, allora, era di carattere cattolico, con un nuovo "senso comune", di carattere materialistico e scientistico.Tale compito pedagogico viene visto come esercizio di un' "egemonia" sugli altri partecipanti al "blocco storico" (ciò che saranno poi i "Fronti Popolari"), attraverso la quale si consumasse ed esaurisse la cultura degli alleati, in particolare, dei cattolici.

Ovviamente, anche il  leninismo ha il suo peso nel pensiero di Gramsci, che non dubita certo della necessità della Rivoluzione, né della fedele adesione del PCI all' Internazionale Comunista. Interessante il fatto che , nell' unico discorso alla Camera dei Deputati, che Mussolini interruppe in qualche punto, ma che in generale ascoltò in religioso silenzio, andando fino al banco dell' avversario per sentire meglio), lo scambio  di recriminazioni col Duce del Fascismo non fosse sulle accuse reciproche di repressione poliziesca, ma sul fatto che ciascuno dei due rivendicava la capacità di una repressione più rigorosa.

Infine, il Gramscismo diviene, di fatto, la via maerstra per la socialdemocratizzazione postbellica del PCI. Il "Blocco Storico" è la giustificazione teorica dell' "Arco Costituzionale" antifascista e del "Compromesso Storico", che, di fatto, sono dei Fronti Popolari con l'egemonia culturale del PCI. Fedele a questo scenario, la DC delega la cultura al PCI, il quale può, così, costituirsi quale autentica espressione della cultura italiana, con i suoi Vittorini, Pavese, Guttuso, Asor Rosa, Tomasi di Lampedusa, Visconti, ecc..., che sono spesso quanto di più lontano possa esservi dal Marxismo, ma che tuttavia si sforzano di restare compatibili con questo proprio grazie alla teoria dell' "Egemonia", che abroga e sostituisce quella staliniana della "Partijnost".La Socialdemocratizzazione del PCI passa per l'accettazione del fordismo e del taylorismo, esaltati come lo strumento principe per la modernizzazione dell'Italia, per superare la sua storica arretratezza, i gramsciani "contrafforti delle classi parassitarie".

3.Suicidio della rivoluzione

Del Noce aveva ben antiveduto che quest'azione sui due fronti, alleanza tattica coi cattolici e identificazione con  il ruolo modernizzazione della grande industria, avrebbero portato al "suicidio della rivoluzione". Da un lato, il Cattolicesimo, stretto nell' abbraccio di un Marxismo riportato all' idealismo gentiliano, avrebbe perduto una propria autonoma capacità di dialogare con i ceti popolari, e, dall' altra, il marxismo, ridotto ad ideologia della lotta di classe nella società capitalistica, avrebbe perso anch'esso una propria ragion d'essere, appiattendosi sull' esaltazione dell' esistente. Di converso, anche quelle spinte verso una rinnovata pretesa di  politiche alternative,  che sarebbero potute venire da un Cattolicesimo rimasto fedele a se stesso, non avrebbero potuto concretizzarsi a causa dell' esaurirsi della spinta contestativa del Cattolicesimo stesso.

Il tardo capitalismo post-taylorista e post-fordista avrebbe avuto bisogno più che mai di un post-marxismo sostanzialmente gentiliano per transitare l' intellighencija e il ceto operaio dall' alternativa all' integrazione  nella società della tecnica dispiegata. L'intellighencija  ha potuto così evitare di dover abiurare ufficialmente le proprie precedenti convinzioni, e mantenere così  la propria aura e il proprio ruolo sociale. Le altre forze culturali e politiche hanno assecondato questo gioco, perpetuando anche ora l' egemonia culturale di quel ceto formatosi con il PCI, ed accettando, ciascuna, un ruolo subordinato e culturalmente debole (neoconservatorismo, "patriottismo della Costituzione"). In questo contesto, la battaglia contro l' "Egemonia Comunista" affronta  (anche se con parole inappropriate), un bersaglio effettivo, ma è, a sua volta,  in mala fede, perchè non ha nessun' intenzione di conseguire un qualsivoglia risultato concreto, ma solo di "soffiare sul fuoco" del risentimento.
Oggi, la situazione è ancora differente. Il carattere positivistico della cultura contemporanea allontana ancor più l' "intellighencija" post-marxista dalle sue origini contestative. Si pone effettivamente, come suggerito da Bondi una questione di "Egemonia" diversa da quella "di sinistra", un' egemonia incentrata sull' ideologia del progresso e della democrazia. E  anche questa trova in Gramsci un adeguato profeta. Se l' obiettivo di Gramsci non era, alla fine, altro che  quello (che fu alla base anche del Cattolicesimo Liberale e del Mazzinianesimo),  di "modernizzare" l' Italia sul modello dei "Paesi Più Sviluppati", ebbene, questo è proprio l' obiettivo che si pone oggi il "mainstream" culturale e politico.
E, poiché, nel contesto dell' Ultima Globalizzazione, quella mazziniana "Missione delle Nazioni" sfuma,almeno in "Occidente",  perchè  tutte le nazioni "occidentali" hanno superato le loro "arretratezze", e partecipano tutte allo stesso sistema globale ( e, pertanto, sono divenute inutili dal punto di vista del Progresso), è logico che la riscoperta di Gramsci abbia luogo soprattutto nei Paesi Anglosassoni, e, in particolare, in America, perchè è lì che si decidono ora le grandi trasformazioni societarie. D'altronde, Gramsci  (come d' altronde anche Lenin e Stalin), era un grande ammiratore degli Stati Uniti, che venivano da loro considerati come lo "standard" della Modernità. Non per nulla, Mosca si arricchì in quell' epoca di grattacieli sul modello newyorkese, e i gruppi industriali nazionalizzati furono raggruppati in "tresty" (i "trusts" americani). E' ovvio che la capacità di Gramsci di portare al "suicidio della rivoluzione" sia particolarmente apprezzata nel Paese che attualmente domina il mondo.

E' per altro singolare che questa particolare dialettica non venga vista da nessuno con quella necessaria lucidità che sarebbe necessaria  per le grandi scelte culturali sull' avvenire del mondo.



sabato 2 luglio 2011

THEOLOGIA EUROPAEA

Meister Eckhard, autore di 
     "Theologia Theutsch"
Blair's Intervention provokes Reflection over Universality of Religions. 
L'intervention de Blair solicite une reflection sur le   caractère universel des réligions. 
Blairs Stellungnahme stimuliert Ueberlegungen ueber Universalitaet   von    Religionen.


Nel post di ieri, avevamo affrontato da un punto di vista molto generale
gli interrogativi posti dalla provocatoria intervista di Tony Blair su "La Stampa" circa politica e religione.

Mentre la tesi secondo la quale, per comprendere la globalizzazione, i politici dovrebbero studiare la religione, è originale e degna di plauso, il resto dell' intervista ci è sembrato piuttosto scontato, e conforme ad una sorta di "pensiero unico", in base al quale tutte le religioni vanno bene, ma ciò che rovina una felice coesistenza fra le stesse sarebbe l'"estremismo", presente in ciascuna religione, che  impedirebbe a queste  di "dialogare" con le altre. Già l'adozione, per le religioni, di concetti tipici della politica contemporanea, come "moderati" e "estremisti" ci sembra rendere impossibile la comprensione della complessità del fenomeno religioso, che ha  parametri ben più complessi di quello "moderatismo" e "estremismo". Cos'è più "moderato" e che cos'è più "estremista", il Carttolicesimo o il Luteranesimo, la Sunna o la Shi'a, lo Hinayana o il Theravada?

Tra l' altro, il punto di riferimento per decidere chi è "moderato" o "estremista" è il livello di gradimento dei diversi gruppi religiosi per la società tecnologica e capitalistica mondiale di tipo occidentale. Sono "moderati" coloro i quali, pur professando una religione diversa dalla versione più secolarizzata del puritanesimo protestante, accettano che i loro fedeli vivano, sostanzialmente, come dei protestanti anglosassoni contemporanei, e sono estremisti coloro che vogliono vivere in modo  diverso.Sono moderati coloro i quali pregano in lingue diverse dall' Arabo Classico, o dal Latino, non si circoncidono, ecc...Sono estremisti coloro i quali vestono con lunghi mantelli, sanno a memoria il Corano, ecc..

La spiegazione che diamo a questo fenomeno è che il  vero problema per la coesistenza di varie religioni non è una questione di "estremismo" o di "moderatismo", bensì una questione di lotta fra modelli societari, di interpretazione del "principio di elezione".Tale principio è antico quanto l' uomo. Eliade ricordava che già l' uomo primitivo considerava il palo centrale della propria capanna come "l'Asse del Mondo". I Greci avevano, a Delfo, l' "Omfalòs"; i Cinesi continuano a definire se stessi come "Zhong Guo", vale a dire comne il "Luogo di Mezzo", anticamente l' altare dell' Imperatore.

Ma, per i popoli antichi, la determinazione del carattere "eletto" di coloro che abitavano intorno al Centro del Mondo era più che altro teorica, in primo luogo perchè nessuno riusciva di fatto ad arrivare in tutto il mondo, e, in secondo luogo, perchè il politeismo non cercava proseliti. Con l' avvento delle "Religioni di Salvezza", si è posta la questione della "Vera Religione", che deve prevalere sulle altre, tra l'altro insegnando ai popoli barbari costumi più umani. Certo,non già  i costumi, bensì la salvezza, è la caratteristica delle nuove religioni.E, tuttavia, negli ultimi 400 anni , sotto la spinta del Protestantesimo, si è teso ad identificare sempre più una religione, anziché con la sua propria "via" verso la salvezza, con le sue "conseguenze sociali".Fino al punto che abbiamo l' impressione che i più, quando parlano di Dio, pensino, oggi,  ad una sorta di mostruosa  ipostasi divinizzata della propria società.

A questo punto, il conflitto  si configura come lotta non fra le religioni, bensì fra i sistemi sociali: l'animismo diventa il simbolo e il pretesto delle società tribali, dominate dai capifamiglia; l'Islam di quelle patriarcali, dominate dai clan; il Confucianesimo delle società autoritarie dell' Estremo Oriente, dominate dallo Stato; il Cattolicesimo delle società comunitaristiche e tolleranti dell' Europa Meridionale, governate consociativisticamente; il Protestantesimo di quelle severe e individualistiche del Nord Europa, dominate dal lavoro; il Puritanesimo della società democratica e capitalistica americana, dominata dalla finanza.

E'lì che nasce l'intolleranza: gli "occidentali", convinti di avere la forza dalla loro parte, cercano di costringere gli altri ad adottare il loro modello di società, convinti, in base alla "teoria della modernizzazione" ,che le altre siano tutte superate. Gli altri Paesi inaspriscono, per autodifesa, le loro regole. Certo, gli islamisti non tollerano, nei loro paesi, le donne troppo scoperte o l' uso degli alcolici. Però, le società laicistiche vietano  l' uso del velo e  quello dell' Arabo Classico. Non già per motivi religiosi, ma per motivi di ordine pubblico, di etica del lavoro,  di equilibrio fra i sessi o di orgoglio nazionalistico.

Le religioni non sarebbero  fonti di intolleranza se le diverse nazioni rinunziassero ad imporre ad altri il proprio modello di società, e a rivestire questa pretesa con pretesti religiosi. Ma questo è proprio ciò che si ritiene impossibile, in quanto è divenuta centrale, per l'ideologia del progresso,  la lotta universale perl'omologazione dei costumi a livello mondiale.

L'ideologia del progresso, nella  formulazione attualmente prevalente nelle Vulgate del mondo occidentale avanzato soffre, per altro ,  di un' insanabile contraddizione:

-da un lato, predica l' assoluta eguaglianza di tutte le opzioni etiche, e, quindi, anche quelle delle altre religioni e/o società, e vieta assolutamente l'uso della violenza di un soggetto qualsiasi per imporre la propria volontà a un altro;

-dall' altro, predica l' universalità di tutti i propri valori (razionalità, progresso, efficienza, eguaglianza, democrazia), che dovrebbero essere validi "sempre ed ovunque",  -mentre molti di essi non sono ancora applicati neppure adesso in Occidente e la maggior parte non erano certamente validi (ma neppure conosciuti) in nessun Paese fino a qualche decennio fa-, e  esportati con la destabilizzazione politica, con le "guerre umanitarie",

La spiegazione di questa contraddizione viene fornita dall' idea kantiana dell'Imperativo Categorico, che impone che ogni azione buona debba poter essere pensata come universale.Ma, a parte che questa è un' idea personale (e estremamente astratta) di uno specifico filosofo di uno specifico  Paese, la prima osservazione che ci viene alla mente è che,a forza di  pensare tutte le azioni come universali si è giunti alla cosiddetta "omologazione", all' "uomo senza qualità", all' "uomo ad una dimensione".Solo in base all' idea di un "uomo senza qualità" si può pensare che ogni azione debba essere concepita come universale.

Ma questa non è necessariamente un' idea religiosa, o, almeno, non di tutte le religioni. Basti pensare al sacerdozio, che è "universale" nell'Islam e  nel  protestantesimo, ma non già nel Cattolicesimo o nell'Induismo.

Le Religioni di salvezza sono oggi dunque combattute circa l'accettazione, di un modello sociale normativo unico, o la difesa dei modelli societari dei loro rispettivi Paesi. Ma questo non è ancora il problema centrale della coesistenza delle religioni.

Esse potranno sottrarsi a questa spirale solo concentrandosi sul tema della salvezza, e lasciando maggiormente alla cultura e alla politica il terma dei costumi. Questo anche e soprattutto perchè le religioni universali sono estese in tutto il globo. E, per questo, sanno bene che i comportamenti societari che vanno bene a Roma non possono essere gli stessi che si applicano in un villaggio africano o fra i grattacieli di Manhattan, quelli che valgono al Cairob non possono essere gli stessi di Sarajevo o dell' Uganda. Sarebbe un errore se una qualunque Chiesa pretendesse di dettare standard uniformi di comportamento per tutti i Continenti. E, di fatto, tutte le Chiese, quale più, quale meno, si danno anche un'articolazione territoriale, continentale e nazionale.

Nel caso della Chiesa Cattolica, sono state emanate, a quiesto scopo, lettere pastorali, dedicate all' "Ecclesia in Europa", all' "Ecclesia in America", all' "Ecclesia in Africa", ecc....Anche il Sinodo delle Chiese Protestanti, le Comunità Ebraiche, le presenze islamiche, tentano di darsi una fisionomia europea.

Molti sono gli interrogativi che ci si pongono a questo riguardo:

-come si  prospetta il contributo culturale delle varie sezioni di una religione poste in diversi Paesi e continenti?

-vi possono essere temi comuni e specifici fra le varie confessioni cristiane, le varie scuole mussulmane e le varie comunità ebraiche che vivono in Europa?

-vi può essere una specifica "lealtà" di questi segmenti delle varie Chiese e confessioni per la Patria Europea?

Noi crediamo di si. La prova numero uno dovrebbe essere costituita dal fatto che le tendenze culturali  più importanti del Cristianesimo , dell' Islam e dell'ebraismo traggono la loro fonte dal pensiero di filosofi europei medioevale fra loro strettamente interconnessi, come Averroè, Maimonide e San Tommaso, ai quali le rispettive istituzioni religiose sono ancora fortemente legate.

Poi, simili sono i problemi che tutti debbono affrontare: la critica agli eccessi della scienza e della tecnica, la convivenza in un territorio così ristretto di un numero pressoche infinito di popoli e culture che vogliono mantenere la propria identità; la comune esposizione all' influenza culturale nordamericana; gli incerti confini con l' Asia, con il Medio Oriente, con il Nordafrica.



























venerdì 1 luglio 2011

BLAIR, RELIGIONE E GLOBALIZZAZIONE




Politicians Should Learn more  about Globalisation, not just Religion.
Les politiciens devraient apprendre d'avance sur la globalisation, pas seulement sur la réligion.
Politiker sollten mehr ueber Globalisierung, nicht nur ueber Religion.

L'intervista di Tony blair a "La Stampa" di Torino del 30 giugno u.s., la quale riecheggia per altro sue precedenti prese di posizione (vedi video), ha certamente il pregio di "gettare il sasso sullo stagno" circa i temi fondamentali del dibattito culturale e politic dei prossimi anni:

-necessità di "iniettare", nel mondo politico, una robusta  dose di cultura;

-ruolo centrale della religione  e della globalizzazione.

Soprattutto il riferimento al ruolo della religione, su un giornale che, normalmente, viene definito come "laico", e, soprattutto,  in connessione con la creazione di un sito piuttosto insolito come "Vatican Insider" ha suscitato scalpore.

Tuttavia, anche il riconoscimento che i politici abbiano molto da imparare è coraggioso e estremamente tempestivo.

1.Il perchè della questione

Dunque, plaudiamo a tutte queste iniziative.E, tuttavia, noi abbiamo l'impressione che anche queste siano ancora inadeguate alla gravità dei problemi che ci attendono.

Problemi che attengono proprio al lato "spirituale" del nostro avvenire.

Con tutta la difficoltà che vi può essere nel tentare di formulare una sintesi di fenomeni così complessi, la questione si riduce al tema della "Fine dell' Umano". Tema che era ben noto e presente a tutte le culture, ma che la nostra pretenderebbe, nel momento stesso in cui tenta il superamento terreno della finitezza creaturale, di ignorare. Perseguendo, attraverso il progresso economico e medico, la conservazione della memoria culturale, le biotecnologie, l' intelligenza artificiale, l'"enhancement" delle caratteristiche psico-dfisiche dell' Umanità, si sta creando, di fatto, una specie nuova, che assomiglierà all' uomo, ma non sarà più tale.

Questo fatto getta nello scompiglio, paradossalmente, proprio l' umanesimo laico e le ortodossie cristiane, che partono dall' idea della fissità dei dati intellettuali e psicosomatici dell' Umanità, ma non le religioni nel loro complesso, le quali, con gli "avatar", il "Nirvana", l' "Incarnazione", la "Resurrezione dei Corpi", sono, da sempre, familiari con le trasformazioni ontologiche dell' umanità e dell' Essere, e, addirittura, con l' idea della finitezza dell' uomo e del mondo.

Ed è proprio per questo che le religioni hanno molto da insegnare sulla natura umana, sulla vita e sulla morte, sul loro trascendimento, sul mistero che circonda tutto ciò, sui percorsi che l' Umanità può compiere per fronteggiare questo mistero.

2.Tutto è religione

Certo, intanto, il discorso sulla religione, sulle religioni, e su religione e cultura,  va aperto in un modo che, fino ad ora, non è mai avvenuto.

Occorre riconsiderare l'intera storia dell' Umanità, dai primi reperti paleolitici fino ai progetti scientifici di Post-Umanità, per vedere ovunque la presenza della religione. Rito che accompagna la nascita delle tecniche e dei linguaggi, mito che struttura le società e le culture, storia di salvezza che giustifica gli Imperi e la globalizzazione, secolarizzazione della salvezza che sostanzia il dominio  della scienza e della tecnica.

Quando si invoca la liberazione dalla religione, si tenta con ciò stesso di imporne un'altra. La religione del progresso (in tutte le sue articolazioni -quasi immortalità, unità del genere umano, passione dell' eguaglianza, nichilismo)è a tutti gli effetti un dogma, come esplicitamente affermava, per esempio, Mazzini, secondo il quale occorreva sostituire questo nuovo dogma a quelli cristiani della caduta, della Grazia e della Resurrezione.

3.Crisi della religione del Progresso

E, proprio come per tutte le religioni, si pone, per la Religione del Progresso, un problema di fede e di Grazia.

L'idea che sta in fondo a questa inaspettata alleanza fra politica e religione sarebbe che, poiché, con la postmodernità, la fede nel progresso si è vista anch'essa venire a mancare la vocazione, cioè a visto venir meno la fede e la Grazia, la religione tradizionale dovrebbe soccorrere con un "Supplemento di Anima", sostenendo così la traballante fede nel progresso . In pratica, alla domanda del progressista in crisi: "perchè dovrei credere nel Progresso?", sarebbe comodo  poter rispondere. "perchè lo vuole Dio". E' la strada intrapresa dagli Stati Uniti, e, poi, seguita, fra gli altri,  da Lessing, Gioberti e Mazzini, e che tenta oggi molti, per salvare l'ordine sociale.

Peccato che chi dubita della religione tradizionale e dubita del progresso, lo fa perchè ambedue si stanno rivelando inadeguati a rispondere alle domande del presente: l'Ummanità finirà presto? La storia è decisa da sempre?  La resurrezione dei corpi sarà un esperimento di bioingegneria? E'meglio vivere (quasi)eternamente o morire? Se fossimo eterni, ci annoieremmo? E'giusto rinunziare alla nostra identità a favore dell' unità ed eguaglianza del genere umano? E' vero che esiste un' unica verità?

Non si può certo dire che le religioni tradizionali siano sempre in grado di rispondere a queste domande. Eppure, esse possono essere utilizzate come "mattoni", i quali tutti permettono di fornire una parte della risposta. Questa non è "Religione Fai da Te", né "Sincretismo", né"Relativismo", bensì ciò che gli spiriti più alti di tutte le Chiese e di tutte le filosofie hanno sempre percepito. Per esempio, Dionigi l' Aeropagita, che reintrodusse nel Cristianesimo tutte le religioni orientali e le filosofuie neoplatoniche. Per esempio, Maometto, che, nella sua ansia di far rientrare più religioni possibili fra quelle "del Libro", vi fa rientrare gli zoroastriani e perfino la minuscola setta dei Sabei. Per esempio,   Dante, nella cui opera si trovano tanti contenuti pagani, islamici e cabbalistici che sfuggivano, forse, a quello stesso Grande. Per esempio, Hegel, che, pur affidando a ciascuna religione una fase subordinata e storicamente contingente, le fa rientrare tutte nel cammino provvidenziale dello Spirito.Per esempio, Toynbee, il quale, alla fine del suo ciclopico confronto fra tutte le civiltà, si sforza di creare una "Theologia Historici", nella quale hanno posto tutte le religioni, anche se, a quella cristiana, viene riconosciuto un ruolo privilegiato.

Da uno studio attento, si evince che la "differenza" fra le varie religioni consiste piuttosto sul fatto che ciascuna si concentra su un aspetto della realtà (il politeismo sulla molteplicità della natura,il taoismo sulla corrispondenza fra uomo e natura,  l' induismo sugli infiniti stati dell' Essere, le Religioni del Libro sull' infinità dell' Essere in quanto tale, il buddhismo sull'esigenza di prepararsi alla morte). Essi non affermano "verità differenti", bensì "verità parallele". Questo è il risultato della differenza delle tradizioni storiche e dei linguaggi.
Si ha un bel dire, ma concetti come "Tao Te Jing", "Sobornosc" o "Baidaliyya" non sono ancora stati tradotti adeguatamente.

4."Studiare religione"

Tutto questo è tanto bello, ma non offre ancora alcuna guida per l' azione, né a livello storico (p.es.:fine dell' umano), né a livello politico-sociale (p.es.:diritti umani, politiche del corpo), né a livello individuale (p.es.:fede nell' immortalità, morale sessuale). Se potessero essere risposte definitive a queste questioni, non ci sarebbe stato bisogno di migliaia di religioni e di ideologie, di milioni e milioni di saggi, di profeti e di filosofi. La cultura dell' Umanità è, e resta, un Work in Progress.

Lo "studiare religione" dignifica solamente creare i canali (di studio, di dialogo, di comunicazione) perchè queste ricerche siano possibili. Lo "studiare la globalizzazione" significa invece cercare di trovare un collegamento fra queste ricerche e le grandi domande tipiche del nostro momento storico.Studiare le varie civiltà, per vedere che cosa vi è di comune, e che cosa varia nelò termpo e nello spazio. Studiare la storia per vedere come si è arrivati al presente. Studiare la scienza e la tecnica, per vedere che cosa ci preparano.

Dibattere, cercare dei punti in comune, ma, soprattutto, osare essere se stessi, osare proporre propri modelli, portarli avanti, difenderli, in un mondo sempre più conformistico e svogliato.

Intanto, anche il mondo globalizzato  non  è estraneo alla religione. Quando, ne "i Persiani" di Eschilo, Serse esprime il programma (instillatogli dai Magi) di conquistare tutta l' Europa, in modo che il suo impero confini con quello degli Dei, Eschilo interpreta l' imperativo mazdeistico della lotta mondiale del Bene contro il Male come una "hybris" contro gli Dei, contro il loro carattere pluralistico.Quando il Corano  invita alla Piccola Jihad, lo fa perchè, se vi è un unico Dio, vi dev' essere una sola Dar al Islam. Quando Cristoforo Colombo parte per il suo viaggio, lo fa per dare una spinta decisiva alle Crociate. Quando Vieira va in Brasile,o i Puritani vanno in Nordamerica,o Buber va in Israele,  lo fanno pensando di creare il  Regno Messianico.Quando Reagan lancia la corsa allo Scudo Spaziale, parla, in termini zoroastriani, di Impero del Bene contro Impero del Male.

Non dobbiamo nascondere la testa come gli struzzi, questa tendenza assolutistica è implicita nell' idea di "universalismo": esiste una soluzione valida per tutti, e, poiché è impossibile che vari miliardi di persone vi convergano spontaneamente, essa va imposta, o con la forza, o con l' inganno, o con ambedue.

Si può ovviare a questo inconveniente, oppure, quand'anche non siamo condannati a trasformarci tutti in files informatici in un grande cervello, dobbiamo rassegnarci a divenire tutti dei "meticci" asessuati, conformisti e obbedienti  in  un' enorme "terra-alveare", dominata da un grade computer, dai social networks, dai robot e dai droni? Si realizzaranno le profezie di Zamyatin, Asimov,  Huxley, Burgess?Verranno esse benedette dai sacerdoti? Da che cosa si potrà riconosce la venuta di Cristo (del Mahdi, di Kalkin) da quella dell' Anticristo (di ad-Dajjal, di Azhi Dhahaka)?

4.Studiare la politica

Dopo il livello teologico, è quello politico, su cui questi grandi temi dovranno essere dibattuti. Non è detto che l'armamentario concettuale  debba essere così fortemente impregnato di terminologia religiosa, come noi abbiamo qui, provocatoriamente, ipotizzato. Dovranno venire in considerazione anche altre grandi tematiche tecnologiche, filosofiche, sociali, come, per esempio, il "Destino della Tecnica"di Heidegger,i "valori spessi" e i "valori sottili"di Huntington,  l' Homunculus di Goethe e il  Superuomo di Nietzsche,  la fallibilità del pensiero di Feyerabend,  ma anche il "principio di indeterminazione" di Heisenberg, il "principio di precauzione"di Jonas,  l' "ecologia della mente"di Bateson, l'idea di identità, individuuale e collettiva(Boas), l' universale esigenza di conciliare l'aspirazione alla partecipazione alle decisioni, al dibattito, al farsi della storia, con la difesa delle radici, dei luoghi, della "privacy", della famiglia, della proprietà, delle tradizioni.

Infine, occorrerà "ritornare alla cultura".Perchè tutto quanto sopra ci parla del cosmo e della storia, ma  non ci dice ancora nulla sulla cultura dell' uomo singolo, sulla sua sensibilità, sui suoi sentimenti, sulle sue idee, sui suoi progetti e comportamenti, sulla sua religiosità, sulle sue abitudini, sulla sua etica, sulle sue preferenze in campo artistico, storico, letterario, musicale, ecc.. Eppure sono queste le cose di cui è vissuta fino ad ora l' umanità, e sono queste che rischiano di essere travolte nel gran vortice di profezia e ideologia, scienza e tecnica, progresso e commercio,diritto e guerre, tecnica  e conformismo sociale, crisi e lavoro.

Come si vede, si tratta di un campo di ricerca vastissimo, a cui non rispondono, oggi, né una sclerotizzata cultura accademica e/o ecclesiale, e/o partitica, né il pensiero ufficiale delle Istituzioni.

E' per questo che ci sforziamo di creare occasioni di incontro e di dibattito, perchè sentiamo che questi sono le condizioni preliminari ed imprescindibili sui sempre nuovi problemi che incombono su di noi più che mai minacciosi.