sabato 2 luglio 2011

THEOLOGIA EUROPAEA

Meister Eckhard, autore di 
     "Theologia Theutsch"
Blair's Intervention provokes Reflection over Universality of Religions. 
L'intervention de Blair solicite une reflection sur le   caractère universel des réligions. 
Blairs Stellungnahme stimuliert Ueberlegungen ueber Universalitaet   von    Religionen.


Nel post di ieri, avevamo affrontato da un punto di vista molto generale
gli interrogativi posti dalla provocatoria intervista di Tony Blair su "La Stampa" circa politica e religione.

Mentre la tesi secondo la quale, per comprendere la globalizzazione, i politici dovrebbero studiare la religione, è originale e degna di plauso, il resto dell' intervista ci è sembrato piuttosto scontato, e conforme ad una sorta di "pensiero unico", in base al quale tutte le religioni vanno bene, ma ciò che rovina una felice coesistenza fra le stesse sarebbe l'"estremismo", presente in ciascuna religione, che  impedirebbe a queste  di "dialogare" con le altre. Già l'adozione, per le religioni, di concetti tipici della politica contemporanea, come "moderati" e "estremisti" ci sembra rendere impossibile la comprensione della complessità del fenomeno religioso, che ha  parametri ben più complessi di quello "moderatismo" e "estremismo". Cos'è più "moderato" e che cos'è più "estremista", il Carttolicesimo o il Luteranesimo, la Sunna o la Shi'a, lo Hinayana o il Theravada?

Tra l' altro, il punto di riferimento per decidere chi è "moderato" o "estremista" è il livello di gradimento dei diversi gruppi religiosi per la società tecnologica e capitalistica mondiale di tipo occidentale. Sono "moderati" coloro i quali, pur professando una religione diversa dalla versione più secolarizzata del puritanesimo protestante, accettano che i loro fedeli vivano, sostanzialmente, come dei protestanti anglosassoni contemporanei, e sono estremisti coloro che vogliono vivere in modo  diverso.Sono moderati coloro i quali pregano in lingue diverse dall' Arabo Classico, o dal Latino, non si circoncidono, ecc...Sono estremisti coloro i quali vestono con lunghi mantelli, sanno a memoria il Corano, ecc..

La spiegazione che diamo a questo fenomeno è che il  vero problema per la coesistenza di varie religioni non è una questione di "estremismo" o di "moderatismo", bensì una questione di lotta fra modelli societari, di interpretazione del "principio di elezione".Tale principio è antico quanto l' uomo. Eliade ricordava che già l' uomo primitivo considerava il palo centrale della propria capanna come "l'Asse del Mondo". I Greci avevano, a Delfo, l' "Omfalòs"; i Cinesi continuano a definire se stessi come "Zhong Guo", vale a dire comne il "Luogo di Mezzo", anticamente l' altare dell' Imperatore.

Ma, per i popoli antichi, la determinazione del carattere "eletto" di coloro che abitavano intorno al Centro del Mondo era più che altro teorica, in primo luogo perchè nessuno riusciva di fatto ad arrivare in tutto il mondo, e, in secondo luogo, perchè il politeismo non cercava proseliti. Con l' avvento delle "Religioni di Salvezza", si è posta la questione della "Vera Religione", che deve prevalere sulle altre, tra l'altro insegnando ai popoli barbari costumi più umani. Certo,non già  i costumi, bensì la salvezza, è la caratteristica delle nuove religioni.E, tuttavia, negli ultimi 400 anni , sotto la spinta del Protestantesimo, si è teso ad identificare sempre più una religione, anziché con la sua propria "via" verso la salvezza, con le sue "conseguenze sociali".Fino al punto che abbiamo l' impressione che i più, quando parlano di Dio, pensino, oggi,  ad una sorta di mostruosa  ipostasi divinizzata della propria società.

A questo punto, il conflitto  si configura come lotta non fra le religioni, bensì fra i sistemi sociali: l'animismo diventa il simbolo e il pretesto delle società tribali, dominate dai capifamiglia; l'Islam di quelle patriarcali, dominate dai clan; il Confucianesimo delle società autoritarie dell' Estremo Oriente, dominate dallo Stato; il Cattolicesimo delle società comunitaristiche e tolleranti dell' Europa Meridionale, governate consociativisticamente; il Protestantesimo di quelle severe e individualistiche del Nord Europa, dominate dal lavoro; il Puritanesimo della società democratica e capitalistica americana, dominata dalla finanza.

E'lì che nasce l'intolleranza: gli "occidentali", convinti di avere la forza dalla loro parte, cercano di costringere gli altri ad adottare il loro modello di società, convinti, in base alla "teoria della modernizzazione" ,che le altre siano tutte superate. Gli altri Paesi inaspriscono, per autodifesa, le loro regole. Certo, gli islamisti non tollerano, nei loro paesi, le donne troppo scoperte o l' uso degli alcolici. Però, le società laicistiche vietano  l' uso del velo e  quello dell' Arabo Classico. Non già per motivi religiosi, ma per motivi di ordine pubblico, di etica del lavoro,  di equilibrio fra i sessi o di orgoglio nazionalistico.

Le religioni non sarebbero  fonti di intolleranza se le diverse nazioni rinunziassero ad imporre ad altri il proprio modello di società, e a rivestire questa pretesa con pretesti religiosi. Ma questo è proprio ciò che si ritiene impossibile, in quanto è divenuta centrale, per l'ideologia del progresso,  la lotta universale perl'omologazione dei costumi a livello mondiale.

L'ideologia del progresso, nella  formulazione attualmente prevalente nelle Vulgate del mondo occidentale avanzato soffre, per altro ,  di un' insanabile contraddizione:

-da un lato, predica l' assoluta eguaglianza di tutte le opzioni etiche, e, quindi, anche quelle delle altre religioni e/o società, e vieta assolutamente l'uso della violenza di un soggetto qualsiasi per imporre la propria volontà a un altro;

-dall' altro, predica l' universalità di tutti i propri valori (razionalità, progresso, efficienza, eguaglianza, democrazia), che dovrebbero essere validi "sempre ed ovunque",  -mentre molti di essi non sono ancora applicati neppure adesso in Occidente e la maggior parte non erano certamente validi (ma neppure conosciuti) in nessun Paese fino a qualche decennio fa-, e  esportati con la destabilizzazione politica, con le "guerre umanitarie",

La spiegazione di questa contraddizione viene fornita dall' idea kantiana dell'Imperativo Categorico, che impone che ogni azione buona debba poter essere pensata come universale.Ma, a parte che questa è un' idea personale (e estremamente astratta) di uno specifico filosofo di uno specifico  Paese, la prima osservazione che ci viene alla mente è che,a forza di  pensare tutte le azioni come universali si è giunti alla cosiddetta "omologazione", all' "uomo senza qualità", all' "uomo ad una dimensione".Solo in base all' idea di un "uomo senza qualità" si può pensare che ogni azione debba essere concepita come universale.

Ma questa non è necessariamente un' idea religiosa, o, almeno, non di tutte le religioni. Basti pensare al sacerdozio, che è "universale" nell'Islam e  nel  protestantesimo, ma non già nel Cattolicesimo o nell'Induismo.

Le Religioni di salvezza sono oggi dunque combattute circa l'accettazione, di un modello sociale normativo unico, o la difesa dei modelli societari dei loro rispettivi Paesi. Ma questo non è ancora il problema centrale della coesistenza delle religioni.

Esse potranno sottrarsi a questa spirale solo concentrandosi sul tema della salvezza, e lasciando maggiormente alla cultura e alla politica il terma dei costumi. Questo anche e soprattutto perchè le religioni universali sono estese in tutto il globo. E, per questo, sanno bene che i comportamenti societari che vanno bene a Roma non possono essere gli stessi che si applicano in un villaggio africano o fra i grattacieli di Manhattan, quelli che valgono al Cairob non possono essere gli stessi di Sarajevo o dell' Uganda. Sarebbe un errore se una qualunque Chiesa pretendesse di dettare standard uniformi di comportamento per tutti i Continenti. E, di fatto, tutte le Chiese, quale più, quale meno, si danno anche un'articolazione territoriale, continentale e nazionale.

Nel caso della Chiesa Cattolica, sono state emanate, a quiesto scopo, lettere pastorali, dedicate all' "Ecclesia in Europa", all' "Ecclesia in America", all' "Ecclesia in Africa", ecc....Anche il Sinodo delle Chiese Protestanti, le Comunità Ebraiche, le presenze islamiche, tentano di darsi una fisionomia europea.

Molti sono gli interrogativi che ci si pongono a questo riguardo:

-come si  prospetta il contributo culturale delle varie sezioni di una religione poste in diversi Paesi e continenti?

-vi possono essere temi comuni e specifici fra le varie confessioni cristiane, le varie scuole mussulmane e le varie comunità ebraiche che vivono in Europa?

-vi può essere una specifica "lealtà" di questi segmenti delle varie Chiese e confessioni per la Patria Europea?

Noi crediamo di si. La prova numero uno dovrebbe essere costituita dal fatto che le tendenze culturali  più importanti del Cristianesimo , dell' Islam e dell'ebraismo traggono la loro fonte dal pensiero di filosofi europei medioevale fra loro strettamente interconnessi, come Averroè, Maimonide e San Tommaso, ai quali le rispettive istituzioni religiose sono ancora fortemente legate.

Poi, simili sono i problemi che tutti debbono affrontare: la critica agli eccessi della scienza e della tecnica, la convivenza in un territorio così ristretto di un numero pressoche infinito di popoli e culture che vogliono mantenere la propria identità; la comune esposizione all' influenza culturale nordamericana; gli incerti confini con l' Asia, con il Medio Oriente, con il Nordafrica.



























Nessun commento:

Posta un commento