sabato 27 febbraio 2010

LA PROVINCIA DI TORINO RILANCIA L' EUROREGIONE ALPI-MEDITERRANEO

Torino's Province Devotes Top Level Debate to Euroregion Alpes-Méditerranée. La Province de Turin Dédie Débat au Sommet à Relance d' Eurorégion Alpes-Méditerranée.Provinz Turin widmet Erhobene Debatte zum Wiederbeleben der Euroregion Alpes-Méditerranée.




Venerdì 26 Febbraio, si è svolto, presso la nuova, splendida, sede della Provincia di Torino, un ristretto, ma approfondito, dibattito, circa la scelta, che il Piemonte sembrerebbe chiamato ad adottare, fra, da un lato, la proposta sempre più insistente, da parte di Milano, di unire le forze per la costituzione di una sorta di "città a rete", e, dall' altro, lo sforzo portato avanti da ormai molti anni per sviluppare il progetto dell' Euroregione.

Hanno partecipato il Presidente della Provincia di Torino, Antonio Saitta, l' Assessore alla Cultura, Ugo Perone, e il Vice-Sindaco di Torino, Tom Dealessandri. Ospite d' onore, Juergen Fischer, coordinatore dell' Iniziativa Ruhr 2010.

Notevole anche il numero e la qualità degli intervenuti, fra i quali anche l' ex Sindaco di Torino, Valentino Castellani.

Nella sostanza, la maggior parte degli oratori e degli intervenuti hanno manifestato la loro preferenza per la soluzione "Euroregionale", che risponde ad interessi permanenti di Torino.

Nella sostanza, la manifestazione ha confermato quelle che erano state le ipotesi iniziali da cui era partita, negli ormai lontani Anni '90 dello scorso secolo, l' intera nostra azione politico-culturale:

-la crisi delle ideologie otto-novecentesche, e la conseguente necessità di nuove forme di pensiero e di azione politica, ben radicate nella dialettica identità-differenza, a livello continentale, nazionale e locale;

-il ruolo trainante dei miti di Europa e Euroregione.

In quegli anni, le ipotesi da noi portate avanti (fra l' altro, attraverso l' Associazione Indipendente per l' Integrazione dell' Europa Occidentale), avevano incontrato serie difficoltà a svilupparsi, i quanto, nonostante la fine della 1a Repubblica e la caduta del Muro di Berlino, erano ancora forti opposte tradizioni politiche, in particolare quella incentrata su una concezione assiale e lineare della storia, e quella mercatistico-occidentale.

Oggi, quando anche i miti del Progresso Lineare e quello dell' onnipotenza del mercato hanno, oramai, perduto tutto il loro smalto, si fa finalmente sentire un po' dovunque l' esigenza di nuove idee-forza e nuove aggregazioni.

Noi restiamo sulla breccia, con le nostre idee di pluralismo culturale a livello mondiale, di riforma paritetica delle istituzioni internazionali, di aggregazioni continentali, di identità europea e delle Euroregioni. Siamo lieti che anche Istituzioni e gruppi influenti della nostra Città si interessino a questi temi, e sollecitino i cittadini a partecipare al loro svuluppo.

Non mancheremo di fornire i nostri contributi.




DAN BROWN E L' IDENTITA' AMERICANA

Dan Brown’s Lost Symbol Unravels Debate on American Identity.« Le symbole perdu » de Dan Brown déchaîne le débat sur l’identité américaine.Dan Brown’s « Verlorenes Symbol » entfesselt Debatte über amerikanische Identität

Coloro i quali criticano, talvolta anche motivatamente, le inesattezze, la superficialità, la pretenziosità dei libri di Dan Brown, non hanno capito la natura profonda della cultura della postmodernità. Termine, quest’ultimo, molto ampio, ed, all’interno del quale è assolutamente lecito tracciare fondamentali linee di confine, e che, tuttavia, designa, oramai, uno spazio davvero imponente di produzioni ideologiche, artistiche e di comunicazione, un mondo nel quale siamo sommersi, e che, se non impareremo a padroneggiarlo, ci sommergerà.

La cultura postmoderna, la quale è (almeno per ora) prevalentemente americana, è egemonizzata dalla cosiddetta “cultura popolare”, una cultura che, inestricabilmente legata ai mezzi di comunicazione di massa, si serve di questi come di un fondamentale strumento di coesione sociale e di indirizzo ideologico.Solo opere che siano capaci di affermarsi a livello di milioni di copie, con la massiccia presenza nei “talkshows” di prima serata e trasformandosi in grandi “colossals”, possono fare sentire il loro messaggio almeno ad una minoranza percentualmente rilevante della popolazione, in tal modo, avere un’eco nelle grandi scelte culturali delle masse.

Il produttore della postmoderna cultura di massa è dunque la forma più aggiornata, più sofisticata e, se vogliamo, anche più pericolosa, dell’“intellettuale organico”.Fra tutti i grandi produttori di cultura di massa, a noi pare che, accanto a Walt Disney, a Bill Gates ed a Madonna, dobbiamo oramai inserire d’autorità anche Dan Brown.Il quale, con la “Trilogia di Robert Langdon” (Angeli e Demoni, Codice da Vinci, e Il Simbolo Perduto), ha costruito un vero e proprio monumento all’identità americana, e posto le basi per un “movimento culturale”, che vive dell’esegesi delle sue opere e del dibattito sulle stesse.

Occorre, a nostro avviso, por mente preliminarmente a due aspetti fondamentali:

- l’architettura complessiva della trilogia;

- il fatto che ciascun volume di Dan Brown sia seguito da una miriade di opere esegetiche, autorizzate o meno, fra le quali spiccano quelle ufficiose di Dan Burstein e di Arne De Keijzev.

Quanto al primo punto, i tre volumi, che hanno molti aspetti in comune (il personaggio di Langdon, la simbologia, l’andamento da “noir”, le società segrete), si pongono, nei loro rapporti reciproci, come una sorta di iniziazione, che ha sempre, come cuore, le società segrete. In tal modo, essi possono “pescare” liberamente in una letteratura oramai sterminata, di due secoli e mezzo, dedicata alle complesse vicende di tali società segrete (ciò che, in America, si chiama “Conspiracy Theory”).Tanto che chi ne scriva ora, come Dan Brown, può, spesso, limitarsi a degli accenni, ben sapendo che i suoi lettori (e/o spettatori) coglieranno tali accenni e sapranno ampliarli con la loro fantasia (basandosi sul patrimonio inconscio che trascinano con sé).

L’opera di Brown appare quindi come una sorta di “guida finalizzata” attraverso questa eredità di conoscenze, miti e polemiche.

Qual è l’obiettivo di Dan Brown in questo suo percorso?

Mettere in rilievo la convergenza fra, da un lato, la Massoneria, quale scuola di pensiero universale, e l’Impero Americano, quale sintesi delle grandi tradizioni dell’Umanità.

Per pervenire alla comprensione di questa tesi , in cui si fondono esoterismo ed essoterismo, Brown sceglie un percorso iniziatico, semplice, perché è anche un percorso storico.

I - ANGELI E DEMONI

In Angeli e Demoni, che è il primo dei tre romanzi (anche se è il secondo fra i film), il problema è il rapporto fra Chiesa e Modernità (identificata, quest’ultima, con la scienza).

Qui, è un ecclesiastico ambizioso e conservatore che, per prendere il potere ed imporre una politica reazionaria, suscita un conflitto inesistente fra la Chiesa ed un resuscitato “Ordine degli Illuminati” (altra setta para-massonica, a cui sono stati attribuiti infiniti meriti e colpe, fra cui la stessa fondazione degli Stati Uniti): un conflitto all’interno della Chiesa sul se cooperare con la scienza. Il tema del complotto massonico è puramente inventato dall’ aspirante pontefice, come si diceva avesse fatto l’Abate Barruel con gli Illuminati di Baviera.

II - IL CODICE DA VINCI

Ne “Il Codice da Vinci” si tratta delle origini neopagane e templari della Massoneria, il cui “nocciolo duro” si può riassumere nella “demitizzazione” del Cristianesimo, privando la figura di Cristo della sua unicità, e confondendola con l’antica “religione naturale” della fertilità e dell’amore, nella quale la figura divino-umana si avvicina, e talvolta si confonde, con l’Eterno Femminino, la Grande Dea, la Maddalena.

Il mito della Maddalena, quale ripreso dai Vangeli Apocrifi, costituisce, secondo una lunga tradizione anticlericale, l’esempio più eclatante della funzione mistificante delle Chiese (ed, in particolare, della Chiesa Cattolica), che, attraverso il precetto dell’ascesi e del celibato, vogliono affermare la differenza e la trascendenza della Divinità.

Protagonisti del Codice da Vinci sono, da un lato, il Priorato di Sion, antica organizzazione aristocratica e templare che custodisce il segreto del Graal (cioè la discendenza terrena di Gesù Cristo), e, dall’altro, l’Opus Dei, moderna “Massoneria Cattolica”, che cerca di distruggere il “Priorato”, Priorato che è la prima ipostasi della Massoneria.

III - IL SIMBOLO PERDUTO

Ne “Il Simbolo Perduto”, si ripropone la stessa problematica che in Angeli e Demoni. Il conflitto non è più fra la Chiesa “dialogante” con la Modernità e quella conservatrice, bensì all’interno stesso della Massoneria (una Massoneria identificata, per altro, secondo gli schemi della “Teoria del Complotto”, in un’élite finanziaria ebraica che vive in simbiosi con le istituzioni di Washington).

Questo è il conflitto più vero e più mortale: quello fra il Gran Maestro, che è anche un grande finanziere ed un grande “commis d’état” americano, ed il figlio degenere, dedito ad una massoneria “deviata” (anche questo, descritto con caratteri assolutamente grandguignoleschi, come tutti i personaggi negativi di Brown).

Il conflitto fra padre e figlio ripercorre addirittura la vicenda di Abramo ed Isacco. Il “massone cattivo” (“Mal’akh”, “nome d’arte” ebraico) interpreta la Massoneria come un egoistico strumento di perfezionamento e di compimento individuale (la “Vita Eterna”, secondo lo schema egizio/cristiano); il “massone buono”, come un compito sociale di miglioramento dell’umanità.

Il “massone cattivo”, per raggiungere i suoi obiettivi, deve ricorrere alla magia nera, alla violenza, al sacrilegio. Il “massone buono” è la vittima sacrificale.

Per fortuna che anche qui interviene Langdon, che interrompe il rito sacrilego che Mal’akh stava inscenando, e salva il Gran Maestro.

Non è, tuttavia, costui, a formulare l’insegnamento da trarre da questa vicenda, bensì sempre Langdon, nelle sue interminabili (ed improbabili) “lezioni” nei momenti culminanti del “thriller”, e, soprattutto, nei colloqui con Catherine Solomon, la sorella del Gran Maestro, e studiosa di “noetica”, la “scienza della mente”. Sarebbe appunto quest’ultima, che insegna le interrelazioni fra la mente ed il mondo fisico, il messaggio ultimo della Massoneria.

Il segreto massonico sarebbe che ragione ed esoterismo non sono in conflitto.Attraverso lo sviluppo convergente della scienza e dell’esoterismo massonico, si potranno integrare la mente, l’inconscio e la realtà fisica, e l’uomo sarà davvero signore dell’Universo, come prefigurato dall’affresco massonico sulla cupola del Campidoglio, che raffigura l’apoteosi di Giorgio Washington.

IV CRITICHE ALL’ ESEGESI DI BURSTIJN E SOCI

Massimo Introvigne, nel suo “Segreto ritrovato”, si comenta anch’egli nell’ esegesi del “Simbolo perduto”, criticando le conclusioni di Dan Brown e di Burstijn.

Il nocciolo dell’ identità americana sarebbe, non già, come sostiene Dan Brown, nella tradizione esoterica dei Massoni, bensì in quella religiosa protestante. Questa era già stata, con diversi accenti, la tesi di Burke, di Kirk, di Huntington e di Walzer. E, tuttavia, tale tesi non è atta a rendere conto della dialettica esistente, in America, fra il fondamentalismo protestante, e, dall’ altro, il laicismo illuministico.

La tesi di Brown e di Burstij sembrerebbe gettare una luce sul nesso segreto che anima questa dialettica fra due tendenze apparentemente così inconciliabili.

Se è vero che le identità sono lungi dal costituire fatti scientifici, e che, pertanto, ciascuno può dire la sua, noi avremmo, in primo luogo, la tendenza a privilegiare il punto di vista dei diretti interessati, cioè gli Americani.

Secondo Burke ,Hegel e Kirk, la Rivoluzione Americana avrebbe avuto un carattere meno radicale di quella francese in quanto essa sarebbe già stata anticipata dalla “Glorious Revolution” inglese.

Secondo Huntington e Walzer, il nocciolo dell’ identità americana è costituito non già dal protestantesimo “tout cout”, bensì dal segmento più millenaristico dei Puritani, “the Dissidence of Dissent”.

Nella “Dissidence of Dissent”, la distanza fra il fondamentalismo protestante ed il laicismo illuminismo è già molto ridotta. La religione cessa di essere una via di illuminazione interiore, per divenire una metafora del progresso terreno.E, tuttavia, la religione conserva il lato non razionale della fede.

L’ esoterismo pretende di dissolvere anche quest’ ultima barriera. La fede è irrazionale solo perchè non è in grado di fondare razionalmente la propria esistenza. Tuttavia, essa addita realtà e conoscenze di cui la Scienza non è ancora riuscita ad impadronirsi. Quando essa se ne impadronirà, anche ciò che oggi è Fede diverrà Scienza.

La “Noetica” sarebbe proprio questa estrema conoscenza, che riunifica scienza e fede, e spiegherebbe anche il miracolo.

Sappiamo che molti aspetti della Noetica stanno divenendo realtà scientifiche e tecnologiche (per esempio, il lettore del pensiero).

E, tuttavia, ci chiediamo se anche allora non resterà alcun margine di mistero, che la Scienza non possa spiegare.

A nostro avviso, l’ esistenza di queste grandi forze: fondamentalismo puritano, laicismo illuministico, e tentativo esoterico di conciliazione, mi pare descrivere in modo credibile l’ Identità Americana, così come le “San Jiao” definiscono l’ identità cinese, e la dialettica Chiliasmo-Katèchon definisce quella europea.

EDUCAZIONE SIBERIANA ED EREDITA' COSACCA

Lilin’s Book Raises Questions about Russia’s Identity. Le livre de Lilin ouvre des questions sur l' identité de la Russie. Lilins Buch entfaltet Neugier über Russlands Identität

Abbiamo parlato, in questo nostro blog, dell’“Europeità” di vari Paesi, dall’Olanda alla Polonia, ai Paesi Baltici, all’Ucraina. Indirettamente, anche di Turchia ed Israele.Abbiamo parlato molto anche della Russia, ma non abbiamo mai ancora affrontato il tema della sua appartenenza all’Europa: tema complesso, controverso ed attualissimo, al quale contiamo di dedicare al più presto un intero volume.

Tuttavia, un fenomeno letterario degli ultimi giorni ci ha stimolato ad intervenire al più presto, attraverso questo blog, su un aspetto molto specifico.Innanzitutto, siamo stupiti ed ammirati per il libro di Nikolai Lilin,Educazione Siberiana (Einaudi, Torino, 2010), e per la lungimiranza della casa editrice Einaudi, che è riuscita (come capita di rado in Italia), a mettere sul mercato un prodotto letterario innovativo, tempestivo, e capace di fare riflettere. A nostro avviso, non sono estranee (come non lo sono state mai nella storia di Einaudi), considerazioni molto ampie di politica culturale, che ci ricordano un poco lo spirito della “Collana Viola” di Cesare Pavese.

Lilin è un giovanissimo cittadino della Transnistria, piccola repubblica secessionista della Moldova, sita sulla fascia costiera orientale del Dniestr, che separa la Moldova dall’Ucraina.Ciò per cui siamo soliti sentire parlare della Transnistria è il fatto di essere dominata dalla mafia russa. Il che è, in fondo, l’oggetto del libro.

La Transnistria, nonostante la sua pessima fama, ha anch’essa, come tutte le terre d’Europa, una lunga e nobile tradizione culturale. La sua capitale, Tiraspol, è una delle più antiche città greche, Tyras, da cui si dice siano partiti i Greci per la conquista del loro paese.Nel Medioevo, Tyras appartenne, fra gli altri, al Granducato di Lituania ed all’Impero Ottomano, che la ribattezzò Akkerman.Dopo la 1ª Guerra Mondiale, avendo la Renania occupato l’attuale Moldova (allora, Bessarabia), i bolscevichi costituirono, all’interno della Repubblica Socialista Ucraina, una Repubblica Autonoma di Moldavia (l’attuale Transnistria), come possibile “testa di ponte” per la riconquista della Bessarabia.

Con il Patto Molotov-Ribbentrop, la Moldova fu assegnata all’URSS, ma, subito dopo, nell’ ambito dell’Operazione Barbarossa, essa fu occupata dai Romeni.Dopo la 2ª Guerra Mondiale, l’Unione Sovietica occupò nuovamente la Moldova, fondendola con la Transnistria in una “Repubblica Sovietica Moldava”.

Alla caduta dell’Unione Sovietica, la Transnistria, nel frattempo abitata da popolazioni di tutta l’ex URSS in gran parte deportate e parlanti in Russo, si dichiarò indipendente, e si difese, nel corso di una guerra civile, dal tentativo di occupazione da parte della Moldova (divenuta indipendente), e della Romania. Alla fine, la Transnistria fu occupata dall’esercito russo, ed ai suoi cittadini fu concessa la cittadinanza russa.Tuttavia, la Russia, fedele al principio della continuità dei confini interni dell’URSS (che però ha ignorato in Ossetia e Abkhasia), rifiuta (nonostante le continue richieste del governo locale), di riconoscere l’indipendenza della Transnistria che, tra l’ altro, è completamente isolata dalla Russia, essendo “incuneata” fra la Moldova e l’ Ucraina.

Che cos’ha tutto ciò a che fare con il libro di Lilin?Molto, perché è il substrato storico e geografico in cui il libro si colloca.

Si parla di una Transnistria creata dai Bolscevichi con popolazioni deportate. Ed, infatti, è questa la condizione di Lilin, ragazzo che nasce nell’ex Unione Sovietica da una famiglia siberiana deportata ai tempi di Stalin per le sue attività criminose.

Perché è proprio questo il punto. Convalidando, con ciò, fino al paradosso, lo stereotipo che un po’ tutti ne abbiamo, dal libro si direbbe che, in Transnistria, praticamente tutti (se non, forze, i poliziotti e le truppe russe), siano criminali, e, tuttavia, ciò non darebbe luogo a seri problemi di convivenza civile, in quanto i delinquenti della Transnistria sarebbero soggetti a codici d’onore così rigidi, da sostituire egregiamente le leggi.Tali codici sarebbero interiorizzati come una vera e propria religione laica (in cui si incastrano miti e riti ancestrali siberiani e la religione ortodossa). Ma perfino i pochissimi “devianti” sarebbero riportati subito all’ordine dall’immediata reazione del gruppo.

Almeno la comunità dei criminali Urca, di origine siberiana, con il loro proprio linguaggio, con la loro arte dei tatuaggi, con le loro gerarchie familiari, con i riti delle armi, con il codice di condotta cavalleresca, sono un’immagine perfetta di una società tradizionale e guerriera, vivente a diretto contatto con la natura e con il divino. La loro specifica subcultura ha un nome “Educazione Siberiana”, che si estende all’ intero quartiere abitato dagli Urca.Essa ci ricorda altri mondi dell’ex Unione Sovietica, come, per esempio, quello del Caucaso.All’interno della Transnistria, accanto ad altre comunità di criminali - georgiani, armeni, ucraini - gli Urca si considerano come un’“élite morale”, in quanto i loro codici d’onore sono i più puri.

Lilin è orgoglioso di appartenere a questa comunità. Partecipa ai riti di passaggio, venera gli anziani, partecipa agli scontri armati con lo stesso spirito con cui lo facevano i guerrieri omerici.Aborre la politica, il nazionalismo, la polizia, l’esercito. Quando viene convocato dall’Esercito Russo, vorrebbe esercitare una sorta di “obiezione di coscienza”, in quanto delinquente pluricondannato, ma per questo suo scatto d’orgoglio (e per il suo prezioso curriculum di misfatti) viene inviato nelle truppe speciali in Cecenia.

Perché Lilin? Che messaggi si possono trarre da questo libro?

Intanto, perché qui in Europa, ed, in particolare, qui a Torino, c’è sempre stato un rifiuto, se vogliamo snobistico, degli eccessi di razionalità che ci hanno caratterizzati. È per questo che già 50 anni fa Pavese aveva fatto pubblicare dalla sua razionalissima e marxistissima Casa Editrice, libri come quelli di De Martino e di Ginzburg, che parlavano di popoli pre-moderni, di miti, di riti, di irrazionale.

In secondo luogo, perché quest’idea del “criminale onesto” (vecchia come il mondo, e tipica, in particolare, della vecchia letteratura popolare), costituisce un contraltare provocatorio agli stereotipi mafiosi e corruttivi tipici della cultura italiana. Non per nulla, Roberto Saviano è stato lo “sponsor” n. 1 del libro di Lilin.

Poi anche perché, in questo momento di espansione ad Est dell’Europa, di conflitti nell’Europa Centro-Orientale e di riaffermazione della cultura russa, tutto ciò che viene da quelle parti, se adeguatamente “impacchettato”, può vendersi molto bene. D’altra parte, il mito dei “delinquenti onesti”, che vivono in quest’autonoma repubblichetta fra la steppa ed il grande fiume, si ricollega in modo troppo puntuale a quel mito del cosacco, di cui tutti, in Europa Centrale ed Orientale, e, soprattutto, Ucraina e Russia, cercano di riappropriarsi. Kozak (o Kasakh) significherebbe, nelle varie lingue turciche della steppa, “fuggiasco”, “cavaliere errante”. Tale nome viene usato, nel Medioevo, a nord del Mar Nero, per indicare quegli ultimi nomadi che non si sono ancora integrati negli imperi bizantino, ungherese, bulgaro, lituano, russo, tartaro, turco.I Cosacchi appaiono così come mercenari, prima dei Bizantini, poi dei Polacchi. Verso i Cosacchi fuggono, secondo la leggenda, i contadini russi costretti alla schiavitù della gleba.

A Zaporozhie (oggi, Zaporizzhja), sulle rapide del Dniepr, si crea la “Repubblica cosacca di Zaporozhie”, fortemente fortificata, titolare di una potente flotta, capace di saccheggiare Istanbul,e vassalla del Re di Polonia, che affida ai Cosacchi il governo dell’Ucraina, ma rifiuta loro lo “status” di “piccola nobiltà”(“szlachta”).

I Cosacchi sono diventati famosi per il quadro (che alleghiamo) che li ritrae nell’atto di scrivere al Sultano una lettera di insulti. Poco dopo, si ribelleranno ai Polacchi, saccheggiando la Polonia, e passeranno dalla parte della Russia, anche se con continue ribellioni (Mazeppa, Razin, Pugačëv).Infinite le loro vicende successive, con lo Zar, con la Russia, perfino con Hitler.

Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, e, soprattutto, in questi ultimi giorni, si è assistito ad un vero e proprio “tiro alla fune” culturale fra Ucraina e Russia per appropriarsi dell’eredità cosacca, dove l’Ucraina ha fatto dei Cosacchi dei “borghesi” che si ribellano all’autocrazia zarista, e la Russia li ha ritrasformati in un corpo militare privilegiato. È di questi giorni il decreto del Presidente Medvedev che crea 10 “armate cosacche” a cavallo e con uniformi zariste.

Che parte potrà avere il “mito cosacco” nell’“Identità Europea”?

Di questo, ad un altro post.

venerdì 19 febbraio 2010

EUROPEAN FINANCIAL INTELLIGENCE

Further Details about Swift Vote and Goldman Sachs ( JP Morgan)Investigation. Des détails ultérieurs sur la résolution sur Swift et sur l’enquête sur Goldman Sachs / JP Morgan.Alle Einzelheiten über Swift-Entscheidung und Goldman Sachs / JP Morgan-Fall.


Avevamo preannunziato, anche in risposta ai nostri lettori, l’intenzione di seguire, anche nei dettagli tecnici, il follow-up della risoluzione del Parlamento Europeo, con cui quest’ultimo ha “bocciato” l’accordo Swift raggiunto fra il Consiglio e gli Stati Membri, da una parte, e gli USA, dall’altra, delle richieste del Parlamento Europeo di svolgere un’indagine circa le connivenze fra, da un lato, il Governo greco, e, dall’altro, le banche Goldman Sachs e JP Morgan.


Questi due casi ci sembrano importanti come prova dell’assertività e concretezza che il Parlamento Europeo sembra dimostrate in questi primi giorni dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.


Accordo Swift


L’accordo Swift, fra la UE e gli USA, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione il 13/01/2010, prevedeva la messa a disposizione degli Stati Uniti, su richiesta del Treasury, a scopo di prevenzione, indagine, scoperta o repressione del terrorismo e del finanziamento del terrorismo, i dati sulle transazioni internazionali edffettuate in Europa.


I principali motivi di politica legislativa che hanno indotto il Parlamento Europeo a rifiutare l’approvazione del provvedimento sono i seguenti:

  • l’accordo avrebbe costituito la prima importante deviazione dalle modalità con cui, secondo il diritto europeo, si possono acquisire dati finanziari; in particolare, non era previsto un mandato di perquisizione;

  • come affermato dal Servizio Legale del Parlamento Europeo, per motivi tecnici, il trasferimento dei dati ai sensi dell’Accordo non avrebbe potuto aver luogo se non “in blocco”;tale “trasferimento in blocco” avrebbe aperto la strada allo spionaggio industriale ai danni delle imprese europee (come denunziato dalla stessa Confindustria tedesca);
  • non c’era nessun limite di tempo per l’immagazzinamento dei dati;
  • come affermato dalla Commissione di inchiesta del Parlamento Europeo, l’accordo prevedeva una sorta di “delega”, da parte dell’Unione Europea, agli USA, a svolgere, per conto della UE, le indagini di “financial intelligence”;
  • la Polizia Criminale Tedesca aveva fornito un parere secondo cui l’accordo non forniva nessun elemento utile per la lotta contro il terrorismo.


Indagine sulle connivenze banche-Governo greco


Arlene McCarthy, Vice Presidente della Commissione del Parlamento per gli Affari Economici e Monetari, ha chiesto al commissario Olli Rehn di spiegare “quali azioni intenda intraprendere per impedire alle banche di assistere i Governi nel nascondere il debito pubblico”.


Oggi, sarebbero genericamente competenti a svolgere questi compiti tre organismi comunitari: Eurojust (per la cooperazione giudiziaria); OLAF (per la repressione antifrodi), e Europol (per gli aspetti di polizia giudiziaria). Come nel campo della politica economica, manca una chiara forma di collegamento, da un lato fra queste Entità, e, dall' altro, con le Istituzioni della UE (Parlamento, Corte di Giustizia, Commissione e BCE)


Occorrerebbe che il Parlamentari Europei, se vogliono che le loro non rimangano “grida manzoniane”, pensino ad una riforma legislativa, che garantisca un coordinamento serio dell’“Intelligence Economica”, da intendersi non solamente come fatto poliziesco, bensì anche, e soprattutto, come “cellula di riflessione ”, centralizzata e permanente, sui fenomeni più preoccupanti dell’economia mondiale: crisi finanziarie, speculazioni, spionaggio industriale, crisi aziendali transfrontaliere, mergers & acquisitions che coinvolgano aziende di interesse strategico per l’Europa.


Quali Europarlamentari vorranno o farsi portatori di tale esigenza?

martedì 16 febbraio 2010

LA BATTAGLIA DELL' EURO

Weakness of Euro-Economy in front of Crisis Shows "Cultural Gap" of Euro. La faiblesse de l' économie européenne démontre les "lacunes culturales" de l' Euro. Wirtschaftsschwaeche entlarvt Euros"Kulturleeres" .


Mentre, fino ad oggi, la nostra critica alla costruzione europea in quanto priva di un persuasivo elemento culturale fondante sembrava destinata a restare una "vox clamantis in deserto", stiamo constatando che si levano sempre più voci a sostegno della necessità di mettere in rilievo tale elemento.

Nel sito de Il Sole 24 Ore , il corrispondente dalla Germania, Beda Romano, afferma che la crisi finanziaria in corso "scuote le fondamenta culturali" dell' Euro.

A ciò hanno fatto eco le dichiarazioni del Segretario Generale della CGIL, Epifani: In questa crisi paghiamo l’assenza di un’identita’ europea”. Parola del segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, che, a margine dell’assemblea congressuale della Fisac Cgil, ha spiegato: “Durante la crisi si sta vedendo la differenza tra l’avere un governo democratico e avere un istituto che e’ a meta’ strada come l’Unione europea e la Banca centrale europea. Scontiamo debolezze costituzionali e funzionali dell’Ue”. La differenza e’ che “la Federal Reserve americana risponde a una logica, la nostra Banca centrale a che logica risponde? Ci sono 27 Paesi, ognuno con la sua politica economica e fiscale, come puo’ pensare l’Europa di affrontare la crisi con strumenti vecchi?”.

Politica economica europea e critica del monetarismo

Il fondamento "culturale" dell' Euro sarebbe costituito dalla supposizione che gli Stati Membri sarebbero riusciti ad armonizzare le rispettive politiche economiche, cosa che non è avvenuta, in quanto, per esempio, la Germania e la Grecia hanno imboccato strade completamente opposte

Inoltre, come affermato poi in un'altra sede dallo stesso Romano, un fondamento mancante della cultura dell' Euro è anche la sua incapacità a legarsi con la politica economica, e con la politica generale, dellì' Europa.

In effetti, a crisi greca mostra due limiti della costruzione dell' Euro: la mancanza di strumenti dell' Unione per guidare la politica economica dell' Europa e il rigido monetarismo.

Che questa situazione sia in fase di superamento, lo dimostrano molti sintomi, dalla proposta dei "fondi anticrisi" alla riaffermazione della centralità della politica economica.

Fin qui, tutto bene.

Che la crisi dell' Euro sia un fenomeno politico di primaria importanza, che impone di riconsiderare anche in modo radicale le scelte già fatte, è una cosa ovvia.

Crisi culturale, quindi, sì, ma più vasta.Questa crisi non è certo solo economica, né di dottrina economica.

Carattere endemico e politico delle crisi finanziarie

La ciclicità delle crisi del sistema economico mondiale dimostra che tali crisi non sono accidentali, esse sono endemiche: si verificano puntualmente ogni circa 5 anni.La funzione delle crisi finanziarie è innanzitutto ideologica: distruggere ricchezza con un fenomeno che sembra "accidentale", in modo da poter dire che "normalmente", nella società moderna, la ricchezza dei cittadini cresce costantemente. In realtà, se ciascuno si facesse bene i conti, constaterebbe che il suo patrimonio e la sua capacità di produrre reddito, nel lungo periodo, restano, nella migliore delle ipotesi, costanti, in quanto le crisi distruggono tutto quanto si è acquisito con la carriera , con il risparmio e con gli investimenti.A questo punto, molti potrebbero chiedersi: ma, allora, a che cosa mi serve il progresso?Quindi, ogni crisi dev'essere solo la colpa di errori economici o della disonestà dei banchieri.

La "dottrina" dell' Euro, basata sull' esperienza storica della Germania Federale partiva dall' idea che, con una politica economica molto prudente, un colosso come la Germania, e, a maggior ragione, l' Europa, può crescere, anche se lentamente, senza fenomeni speculativi, e così tenersi lontani dalle crisi. Ciò non è più vero come una volta, perchè le economie di tutto il mondo sono così intrecciate che le crisi degli Stati Uniti, che perseguono una politica economica ben più avventurosa ed aggressiva di quella della Germania e dell' Europa, si ripercuotono su tutti i continenti.

Di conseguenza, la battaglia per le monete è innanzitutto una battaglia politica fra grandi potenze continentali, per il predominio economico, ma, innanzitutto, per scaricare sugli altri le conseguenze delle proprie crisi.Il che costituisce innanzitutto la materia del contendere del contenzioso USA-Cina.

Nel caso della crisi Euro, istituzioni, pubbliche e private, americane e inglesi, dalle agenzie di "rating" al "Financial Times" stanno facendo di tutto per distruggere il "rating dei "PIGS" (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna),e fare rivalutare il dollaro e la sterlina nei confronti dell' Euro. Come tutti hanno potuto osservare, il livello di indebitamento dei "PIGS" è perfino inferiore a quello dell' America e dell' Inghilterra: allora, perchè tanto allarmismo?

Le esigenze dell' Europa

L'Euro ha effettivamente conseguito un livello di successo notevole. Se non ci fosse l' Euro, la situazione di cui sopra sarebbe, per l' Europa, ancora peggiore.Deve, però, difendere questo successo.E, certamente, per fare ciò, deve, innanzitutto, darsi gli strumenti di politica economica, monetaria e industriale che hanno gli Stati veri e propri: una programmazione indicativa, ma, sotto certi aspetti, vincolante anche ai livelli sottoordinati; la possibilità di intervenire sul mercato dei cambi; la possibilità di indebitarsi; un collegamento stretto fra queste politiche economiche e le politiche estere e di difesa.

Dubitiamo che la cultura puramente tecnica che ha presieduto, fino ad ora, alla creazione dell' Euro sia sufficiente. Sarebbero necessari una maggiore attenzione alle caratteristiche specifiche della società europea verso quella di altre parti del mondo. Inoltre, una maggiore attenzione anche per le culture specifiche dei diversi Paesi, i quali, pure con il coordinamento dell' Europa, non dovrebbero essere soffocate.Infine, una maggiore attenzione alla geopolitica, e a tutte le aree a questa connesse, come per esempio i contenuti dell' import-export, il rapporto centri-periferie, le tendenze di fondo nelle grandi aree extraeuropee, come America e Cina, che tanto influenzano le nostre stesse realtà politiche ed economiche . Tutto quello che, a nostro avviso, costituisce, appunto, l' oggetto dello studio dell' Identità Europea.



domenica 14 febbraio 2010

WILDERS: VERZUILING ED EUROPEITA' DEI PAESI BASSI

Wilders' Trial Fosters Debate on Dutch Identity. Le procès contre Geert Wilders stimule le débat sur l' identité hollandaise. Wilders-Prozess foerdert Debatte ueber niederlaendische Identitaet






Geerd Wilders è un parlamentare olandese fortemente liberista e occidentalista, noto per la sua avversione all' Islam, e per avere prodotto un piccolo documentario , intitolato "Fitna", nel quale si evidenziano gli aspetti del Corano e dell' attuale discorso politico del fondamentalismo islamico che incitano alla Guerra Santa.

Le espressioni usate da Wilders nella sua propaganda politica, e in "Fitna", sono state considerate come in violazione di alcuni articoli della legge penale olandese del 1934, approvati per rendere illegali i movimenti filonazisti del tempo, nei quali si vietano l' incitamento all' odio razziale, all'odio religioso, alla discriminazione su base razziale e religiosa.Tale legge era nata in parallelo all' "Anti-Terror-Gesetz" austriaca, nella quale, con gli stessi obiettivi, si concentrava sulla repressione della violenza politica.

Su questa incriminazione, si è aperto venerdì scorso un processo penale dinanzi al Tribunale di Amsterdam.

Winters sta cercando di trasformare tale processo in una forma di propaganda per le sue posizioni. Il processo ha, infatti, una forte copertura mediatica, e molti seguaci di Wilders stazionano dinanzi al Tribunale di Amsterdam per sostenerlo.Non dimentichiamo, ad onore del vero, che, in Olanda, anche la posizione dei sostenitori dell' Islam viene sostenuta con una forza addirittura eccessiva, al punto di avere dato luogo ad alcuni omicidi politici contro i sostenitori delle tesi di Winters, vale a dire quelli di Theo van Gogh e quello di Pim Fortuyn.

Questa vicenda tocca, infatti, i "nervi scoperti" dell' attuale Europa, non solamente dell' Olanda,in quanto mette in gioco vari asapetti controversi ed eterogenei dell' attuale cultura politica: critica dell' Islam in quanto "arretrato", e laicità assoluta; libertà di pensiero, e delitti di opinione; critica del "sacro violento", e difesa della "tradizione giudaico-cristiana; rifiuto del "politicamente corretto", e pretesa di interpretare la "vera" identità nazionale o europea.

A nostro avviso, l' incapacità di comprendere queste contraddizioni nasce dalla carenza di una cultura storica pluralistica, storica e non settaria dell' Europa. La contraddizione di fondo della "vulgata" degli "establishments" è stata quella di imporre l' idea che la Storia sia un' evoluzione lineare e necessaria dal peggio al meglio, ma, nello stesso tempo, pretendere anche che i nostri valori di oggi siano assolutamente validi in ogni tempo e in ogni luogo. A questo punto, la gente non capisce più perchè certi comportamenti, che vengono dati per scontati da parte dei nostri antenati e perfino da parte di personaggi "sacri", come Mosè, San Paolo, o Garibaldi, poi non vadano bene quando le fanno altri, per esempio i Mussulmani.

Nel caso che ci interessa, non si capisce più se si deve permettere la libertà di espressione di tutti: cristiani, mussulmani, ebrei, atei, progressisti, democratici o autoritari, oppure solo quella di qualcuno (ma chi?), oppure, infine, quella di nessuno, in quanto deve valere un' unica espressione, quella "politicamente corretta"(la "linea del Partito"-oggi, la "memoria condivisa"-).

Tradizione occidentale o europea?

Wilders ha giocato su questi equivoci con il suo intervento al processo, fondato su un'esaltazione della tradizione olandese di libertà, così estrema, da sfiorare una sorta di "teologia politica" della libertà. Ma, a nostro avviso, come indicato in un precedente post, proprio seguendo la falsariga della "Storia della Libertà", si perdono di vista le libertà concrete, quella "negativa", quella "positiva" e quella "morale", e non si riesce più ad articolare nessun discorso.

A nostro avviso, Wilders gioca anche, sottilmente, su un altro equivoco: quello fra "identità olandese" (e/o europea), e "identità occidentale". Certamente, Wilders ha ragione nell' affermare che la legislazione in base alla quale egli è processato costituisce un limite alla libertà di espressione.Il reato di incitamento all' odio razziale e religioso (che è stato introdotto in molti Paesi europei, e recentemente, anche in Italia), è effettivamente espressione di un valore molto radicato in Olanda, e, seppure in altra forma, in tutta Europa: il comunitarismo. Secondo alcuni politologi, come Lijphardt e Elazar, il comunitarismo, nella sua formulazione olandese ("Verzuiling"), costituisce il più importante contributo dell' Europa Centrale ex-asburgica (Benelux, Svizzera e Austria) alla cultura europea e mondiale (si parla anche di Israele, Libano e Sudafrica).Un attacco troppo violento contro un' altra comunità, razziale, religiosa o ideologica, comunque motivato, mina la tradizione olandese di pacifica convivenza (e di reciproca sopportazione) fra diverse comunità, che viene considerata perfino più importante dei tradizionali valori in materia di libertà di espressione e di verità storica.

Verzuiling

"Verzuiling" significa "costruzione fondata su pilastri".

Essa nasce con la creazione delle Province Unite, in senso stretto come sforzo di tenere insieme confessioni diverse (cattolica, luterana e calvinista). A ciascuna confessione, venivano concessi eterminati diritti ed istituzioni.In un certo senso, la "Verzuiling" era la conformazione del principio dell' equilibrio vestfaliano, fondato sul "cujus regio ejus religio" all' interno di una repubblica pluriconfessionale, federale ed aristocratica.Nel tardo Ottocento, con l' affermarsi di culture politiche laiche, si erano ammess a fare parte della"Verzuiling" anche i due "pilastri "liberale e socialista.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale,una volta liberatasi dal Nazismo, in un empito di entusiasmo patriottico, l' Olanda si era dotata di un complesso sistema istituzionale solidaristico, incentrato sulle "Product-en Bedrijfschappen", una sorta di "Verzuiling" dell' Economia, comprendente anche le due "colonne" dei lavoratori e dei datori di lavoro.

Tutte queste istituzioni esistono ancora, e sono totalmente operative, anche se, a livello ideologico-mediatico, si tende a nasconderne l' esistenza sotto gli stereotipi globalizzati del "liberismo"a destra e del "liberalismo di sinistra" a sinistra.

In Belgio, poi, la "Verzuiling" è talmente fondamentale che, senza di esso, lo stesso Paese sarebbe andato recentemente in pezzi. La costituzione federale fà sì che vi sia una "Verzuiling" etnica, una religiosa ed una ideologica. Tutti sono concordi nel riconoscere, in Herman van Rompuy, l' attuale Presidente dell' Unione Europea, il massimo esperto del la"Verzuiling", il quale, forte di questa competenza, era riuscito non molti anni fa a mettere insieme i cocci del suo Paese.

Presupposto della "Verzuiling": non c'è un solo concetto della "vita buona". Dove possiamo, viviamo insieme, dove non possiamo, viviamo separati, anche se nello stesso Paese, ciascuno con le sue idiosincrasie, i suoi costumi e le proprie istituzioni.

Wilders è uno di coloro che contestano il "Verzuiling", volendo che l' Olanda divenga un "melting pot" universalistico con un' egemonia culturale nettamente occidentale, sul modello americano. Perciò, per lui, l' attacco all' Islam diventa un potente strumento per fare saltare il "Verzuiling"(almeno nella sua visione culturale).

Da quando, infatti, il numero degli islamici ha raggiunto il milione, è chiaro che, nella logica del Benelux, si porrebbe la questione di considerare anche l' Islam come parte della "Verzuiling." Un diverso atteggiamento sarebbe contraddittorio, e rientrerebbe perfino nel divieto di discriminazione della Legge del 1934.

Tuttavia, l'introduzione dell' Islam nel concetto di "Verzuiling" si urta contro una parte della popolazione e della cultura olandesi, che vedono, come Wilders, come centrale, nella tradizione olandese,solo il calvinismo protestante, sul modello puritano(la "Dissidence of Dissent", di cui parla Huntington. Fin dall' origine, la cultura politica calvinista fu scossa dal conflitto con questa tendenza. Basti ricordare che Ugo Grozio, il "regista" del Trattato di Vestfalia (e, quindi, dell'equilibrio europeo fondato sul "cujus regio, ejus religio"), e "Pensionaris"(Giudice Supremo) della Provincia di Olanda ( quindi, "antenato "degli attuali giudici di Amsterdam), era stato addirittura condannato a morte in seguito ad un complotto dei calvinisti estremisti (riuscendo, per altro, a fuggire nascosto in una cassa di libri e passando al servizio dei Re di Svezia e di Francia).

La "pretesa universale" dell' Islam

L'attacco di Wilders all' Islam, contenuto soprattutto nel documentario "Fitna", è basato ssoprattutto sul fatto che, in parte il Corano, in parte le sue interpretazioni nei secoli, hanno costruito una teoria del "Jihad", ("Guerra Santa"), che prevede l'obbligo, per i credenti, di espandere l' "egemonia" dell' Islam nel mondo, se necessario con la guerra. La tesi di Wilders è che, giacché questa tendenza nell' Islam c'è, egli non può essere condannato per averla messa in evidenza.La Guerra Santa, che, in effetti, nel Corano, esiste, ha costituito, come tante altre cose, come rilevato da Papa Ratzinger, un' "innovazione"(negativa) dell' Islam, nella quale (diciamo noi) si fondono le due tradizioni, lievemente diverse, della "conquista di Canaan" del Vecchio Testamento, e il "compelle intrare" del Nuovo.

In realtà, nel Vecchio Testamento, vediamo espresso (ed attuato)l' imperativo della Guerra Santa con molto maggiore violenza e concretezza che nel Corano stesso: tuttavia, tale violenza è (si fa per dire)"limitata" alla repressione degli scismi ebraici ed alla "debellatio" del popolo di Canaan. Il "compelle intrare" è una serie di puri accenni del Nuovo Testamento all'opportunità di convincere i renitenti a convertirsi, se necessario con le maniere forti.

Successivamente, il Cristianesimo, parzialmente l'ebraismo, ma, soprattutto, le culture modernistiche che affermano di ispirarsi alla tradizione giudaico-cristiana, hanno ripreso e ingigantito l' idea islamica della Guerra Santa, nelle forme della Reconquista, dell' Era Messianica, delle Crociate, delle "Esplorazioni Geografiche", della Rivoluzione Mondiale, della "Globalizzazione" e dell' "Impero Democratico".

A oggi, gli elementi dell' Islam che lo contraddistinguono in tal senso non sono molto dissimili da quelli delle altre religioni e convinzioni filosofiche.Anzi, si direbbe che, dopo un periodo di calma, nell' ultimo periodo degli imperi Mughal e Ottomano, sia stata proprio l' espansione europea a sollecitare, per "rivalità mimetica", un rinnovato interesse per il "jihad".

Le tendenze delle diverse culture di origine monoteistica si sono infatti stimolate ed esaltate a vicenda nel corso della storia. In ultimo, come l' Occidente non fa mistero di considerare se stesso culturalmente e storicamente superiore al resto del mondo, e di desiderare di diffondere in tutti i Paesi i propri valori morali, culturali e politici, il proprio modo di vivere e perfino la lingua inglese, così non c'è da stupirsi se certi islamici (in primis la fazione sciita al potere in Iran e al-Qaida) affermano, in sostanza, che questa missione di unificare il mondo spetta alla religione, ai valori e alla cultura islamica, e, "last but not least", all'Arabo Classico(che non per nulla viene utilizzato nel documentario di Wilders quasi fosse una prova della volontà imperialistica degli Islamici).

In ultima analisi, l' addebito che viene fatto a Wilders sarebbe quello di sottolineare in modo troppo esasperato una caratteristica dell' Islam, che non è condivisa da tutti gli Islamici e che presenta molte affinità con aspetti religioni e culture "occidentali"(sì che andrebbe almeno parzialmente "contestualizzata"). In tale modo, egli cercherebbe di suscitare l' avversione contro gli islamici come gruppo e di legittimare provvedimenti legislativi discriminatori (divieto di immigrazione, ecc...).

Limiti della libertà di opinione.

A questo punto, il problema è fino a che punto sia possibile lasciare scatenare in territorio europeo la lotta fra le concezioni del mondo che deriva automaticamente dall' ambizione ,di alcune tendenze politiche e culturali, di egemonizzare il processo di integrazione internazionale.

La tradizione europea non è nel senso di una dottrina dominante, bensì di una pluralità di tendenze.Questo era tanto più forte, quanto più si risale nel tempo.

Addirittura, la tanto decantata "Magna Charta" e il Giuramento del Ruetli, che, secondo la vulgata storiografica, costituiscono l' origine storica del costituzionalismo liberaldemocratico moderno, contenevano in bell' evidenza addirittura il "diritto di resistenza" dei sudditi, riconosciuto perfino dalla filosofia scolastica, e che, oggi, invece, viene strenuamente negato a chi non si identifichi con il "mainstream".

A nostro avviso, dev' essere mantenuto almeno il diritto al dissenso, anche se radicale, purché non si traduca in atti di violenza contro la legge. Ricordiamo che, ai tempi ,tanto vituperati, della nostra gioventù, erano perfettamente accettati dal sistema gruppuscoli intellettuali che predicavano rivoluzioni di sinistra o di destra; erano ben rappresentati in Parlamento partiti di radicale, anche se pacifica, alternativa al sistema, e partecipavano perfino alla dialettica governativa partiti che miravano a modifiche sostanziali. Oggi, invece, le posizioni estreme vengono sempre più criminalizzate e soggette a misure amministrative.

Riteniamo che anche oggi, intanto, i controlli di vario genere volti a salvaguardare la sicurezza dello Stato vadano svolti in modo tale da non soffocare la libertà e la diversità fino al punto da rendere impossibile la dialettica delle idee, e, quindi, il cambiamento.

Riteniamo anche che i due progetti estremi che si scontrano nel mondo: l' imposizione a tutti di una tecnocrazia di marca occidentale, e la conversione di tutti verso forme estreme di Islamismo, come quello mahdista della dirigenza sciita, siano sostanzialmente estranee alla tradizione europee (nel caso specifico, la"Verzuiling"), e che, quindi, non vadano, certo, incoraggiate sul nostro territorio. Neppure esse dovrebbero, per altro, essere vietate, ma non potrebbero entrare a far parte della"Verzuiling", inteso come patto fondativo della comunità (ma, a mio avviso, esse non lo chiedono neppure, perchè contestano il concetto stesso di "Verzuiling").

Se, poi, Wilders vada, in concreto, condannato o assolto
è un compito, non facile, dei giudici olandesi, nel quale non abbiamo intenzione di interferire.

venerdì 12 febbraio 2010

EUROPARLAMENTO DIFENDE PRIVACY EUROPEI

EU-Parliament Blocks Agreement with CIA Limiting Banking Privacy. Parlement Européen bloque accord avec CIA limitant la confidentialité bancaire.EU-Parlament blockiert CIA-uebereinkunft gegen Bankgeheimnis.



Il Parlamento Europeo ha bloccato un accordo, raggiunto dai Governi negli scorsi giorni con le Autorità americane, in forza del quale l' Europa stessa avrebbe obbligato il consorzio interbancario internazionale Swift a comunicare agli Stati Uniti i dati delle transazioni bancarie degli Europei.

Questo accordo era stato reso necessario dalla decisione di Swift di trasferire in Europa i servers precedentemente in America. In tal modo, la cooperazione di Swift con le Autorità americane, durata dall' 11 Settembre, non può più essere basata sulla legge americana, bensì richiede, per poter esere attuata, una base giuridica in Europa. Pertanto, i dati, accessibili alla CIA da 10 anni, non lo saranno più senza una procedura approvata dal Parlamento Europeo.

Il voto ha dimostrato che il Parlamento Europeo, quando vuole, può incidere anche su questioni di carattere fondamentale.Così facendo, ha dimostrato di volere esercitare energicamente i diritti di veto appena concessigli dal Trattato di Lisbona

Tecnocrazia contro tutela della persona

Infatti, la questione dei dati elettronici fa parte del "campo di battaglia" complessivo fra le due grandi tendenze che dividono in modo trasversale la società contemporanea.

Da un lato, i fautori della globalizzazione tecnocratica, i quali ritengono che i progressi tecnici conseguiti e progettati nell' ambito dell' attuale modello di sviluppo costituiscano il bene supremo da difendere con qualunque mezzo. Di conseguenza, la libertà di pensiero, di religione, di parola, di associazione, di manifestazione, e perfino economica, debbono essere subordinate a questo supremo obiettivo.

Dall' altro, coloro i quali ritengono che l'obiettivo dell' Umanità resti il massimo dispiegamento della personalità di ciascuno. Di conseguenza, gli obiettivi, seppur validi, della concordia fra i popoli, della pianificazione razionale, dello sviluppo economico, della sicurezza collettiva, debbono cedere quando possano compromettere la libera esplicazione della personalità umana.

I primi insistono che il massimo dispiegamento della potenza trasformatrice della tecnica non è possibile senza porre sotto pesante controllo le diversità che caratterizzano l' umanità, provocando dialettiche culturali e politiche estranee alle esigenze puramente tecniche. Questo "blocco" implica una visione in un certo senso "militare" (di tipo schmittiano) dei rapporti interpersonali ed internazionali, dove ogni cittadino è un potenziale "diverso": ogni "diverso" è un "avversario", ogni "avversario" è un potenziale "nemico", ogni potenziale "nemico" è un potenziale "combattente", e ogni potenziale "combattente" è un potenziale"terrorista".A questo punto, i normali cittadini debbono essere tenuti sotto controllo permanente, perchè potrebbero rivelarsi dei "diversi", e i "diversi" vanno comunque combattuti, perché potrebbero diventare "terroristi". Questa dialettica porta al dissenso, alla radicalizzazione e all' incremento della conflittualità.

Le idee dei secondi hanno trovato attuazione nella Carta di Nizza, il più completo documento di tutela dei diritti personali e sociali.

I fatti dell' 11 Settembre sono stati assunti , invece, come pretesto per imporre in tutto il mondo la logica del primo tipo cui sopra. Se ogni "diverso" è sospetto, occorre una "guerra infinita", per rendere tutti "eguali".In nome di questa "guerra" si può fare qualunque cosa.

La tesi opposta è che, intanto, questa "guerra infinita" vada fermata (come tutti i politici dicono di voler fare). Se, dopo 10 anni, non sì è ancora riusciti a bloccare i "terroristi", e gli stessi Stati belligeranti riconoscono che non sono più "terroristi", bensì "insorti",ciò significa che stiamo parlando di uno specifico territorio e di uno specifico scenario bellico. Non si può coinvolgere il mondo intero in una guerra che riguarda solo pochi. Dopo 10 anni, non si può controllare indefinitamente in modo poliziesco il territorio del mondo solo perchè c'è la guerriglia in Afganistan, in Pakistan, in Irak, in Palestina e nel Golfo di Aden. Se lo scopo è quello di evitare il rischio, assai potenziale, che qualcuno venga ad imporci una dittatura islamica, questa non è una buona ragione per imporci fin da subito una reale dittatura poliziesca.

Dal punto di vista dei difensori della "privacy", le invasioni nella sfera privata del cittadino, anche se, apparentemente, circoscritte, come quelle sui dati bancari, una volta inserite in un contesto più generale, che va dalle extraordinary renditions ai campi di concentramento, dalla detenzione a tempo indeterminato e senza processo alla censura sui libri di testo delle scuole, dalle interferenze partitiche sulle televisioni e sul cinema ai centri di ascolto intercontinentali sulle comunicazioni, dal controllo delle scatole nere del "web" fino all' oscuramento dei siti, incomincia ad assomigliare ad un complessivo disegno totalitario per schedarci e per disciplinarci.

Un modello europeo di difesa della "privacy" e della libertà di espressione

La ricerca dell' identità europea è anche quella di un modello armonioso di contemperamento fra le esigenze di sviluppo della persona e quelle del controllo sociale.Controllo che non si limita alle misure di polizia, ma comprende anche la promozione dall' alto di una "memoria condivisa", e l' imposizione della cultura del "politicamente corretto". Tale contemperamento si situa perciò ben lontano dall' attuale "vulgata", secondo cui ideologie lontane da quelle dominanti sono considerate come una patologia che sconfina col delitto.

La tanto decantata "Magna Charta"e il Giuramento del Ruetli, che, secondo la vulgata storiografica, costituiscono l' origine storica del costituzionalismo liberaldemocratico moderno, contenevano in bell' evidenza addirittura il "diritto di resistenza" dei sudditi, riconoscuto perfino dalla filosofia scolastica, e che, oggi, invece, viene strenuamente negato a chi non si identifichi con il "mainstream".Ciò vale non solo per coloro che dissentano dalle guerre in Medio Oriente, ma anche per il fronte opposto, come sta succedendo con il processo in corso in Olanda contro l' On.le Geert Wilders, accusato di incitamento all' odio contro l' Islam

La tutela dalle forme di controllo poliziesco, come la politica della "privacy" ha come presupposto il fatto di concepire i cittadini come originariamente dotati di libertà, e quindi anche di non accettare le scelte della maggioranza.

A nostro avviso, dev' essere mantenuto almeno il diritto al dissenso, anche se radicale, purché non si traduca in atti di violenza. Ricordiamo che, ai tempi ,tanto vituperati, della nostra gioventù, erano perfettamente accettati dal sistema gruppuscoli intellettuali che predicavano rivoluzioni di sinistra o di destra; erano ben rappresentati in Parlamento partiti di radicale, anche se pacifica, alternativa al sistema, e partecipavano perfino alla dialettica governativa partiti che miravano a modifiche sostanziali. Oggi, invece, le posizioni estreme vengono sempre più criminalizzate e soggette a misure amministrative.

I controlli di vario genere volti a salvaguardare la sicurezza dello Stato vanno svolti in modo tale da non soffocare la libertà e la diversità fino al punto da rendere impossibile la dialettica delle idee, e, quindi, il cambiamento.

Le cessioni di libertà non possono, in nessun caso, essere fatte a favore di Autorità straniere, ma, al massimo, a favore dell' Europa, sotto lo stretto controllo della Carta di Nizza, della Corte di Giustizia Europea e del Parlamento Europeo.SEcondo i Parlamentari Europei, e secondo alcuni degli stessi politici nazionali che avevano approvato l' accordo, questo era contrario ai principi "costituzionali" europei, fra i quali quelli della proporzionalità e della reciprocità. I controlli polizieschi e quelli di carattere militare possono essere necessari, ma solo se, e nella misura in cui, i primi siano legittimati dalla magistratura con adeguati mandati di perquisizione, e i secondi si svolgano in territori in cui vige il diritto bellico.I giuristi europei dovrebbero sviluppare una ben precisa "expertise" in questo campo.

Infine, non possono essere forniti ad Autorità straniere dati sensibili di carattere economico che possano compromettere la sicurezza economica internazionale dell' Europa, come sta accadendo oggi con l' attacco all' Euro.Anche per questo , gli Europarlantari hanno impostato il dibattito su questo tema come una forma di lotta per la sovranità europea. er tutti questi motivi avevamo formulato, in un precedente "post", la provocatoria proposta di formare una sorta di "intelligence economica" dell' Europa, che vegliasse su questa tormentata frontiera, essendo sottoposta alla legge ed ai tribunali europei.

Ignoriamo in che modo il legislatore comunitario intenda intervenire per colmare la lacuna venutasi a creare con la bocciatura dell' accordo. Ciò che è certo è che intendiamo essere ben presenti sul tema, seguendone tutti gli sviluppi.

giovedì 11 febbraio 2010

FIAT IN RUSSIA

Fiat SpA and Russia's Sollers will Invest 2.4 Billion Euros in Carmaking Venture. Signing Overseen by Putin at S Naberezhnye Chelny (Tatarstan). Fiat SpA et L'entreprise russe Sollers investiront 2,400 milliards d' Euros dans une société mixte de production automobile. La signature, à Naberzhnye Chelny, (Tatarstan), avec la participation de Putin. Fiat SpA und russische Gesellschaft Sollers investieren 2,4 Milliarden Euro in Gemeinunternehmen fuer PKW .Die Unterzeichnung in Naberezhnye Chelny (Tatarstan), mit Teilnahme Putins.

Sergio Marchionne, numero uno del gruppo Fiat, non si ferma all'accordo con Chrysler, ma rivolge lo sguardo anche verso il grande mercato dell'est Europa, firmando una lettera d'intenti per la realizzazione di una joint venture con la russa Sollers, che già distribuisce le vetture del marchio torinese.

L'obiettivo della neonata joint venture è quello di raggiungere una capacità produttiva di 500.000 veicoli l'anno entro il 2016. In Russia saranno commercializzati ben nove nuovi modelli (berline medie e medio-grandi e Suv), sei dei quali avranno come base una nuova piattaforma derivata dall'accordo di Fiat con Chrysler. Almeno il 10% dei veicoli prodotti sarà destinato all'esportazione.

E' previsto che il Governo russo supporti l'attuazione del progetto della joint venture attraverso l'erogazione di prestiti agevolati a lungo termine che coprano l'intero ammontare degli investimenti necessari, stimati in 2,4 miliardi di euro.

La Fiat sul mercato russo

La Sollers è una holding russa che controlla parti di diverse compagnie, fra cui la Uaz e la Zmz: di questi marchi distribuisce anche i veicoli, così come fa per Fiat, Isuzu, Ssangyong e New Holland.

La Fiat era presente sul mercato russo a partire dalla costruzione, nel 1912, di una fabbrica di cuscinetti a sfere dell' allora SKF.

Negli Anni '60, la FIAT costruì, per l' allora Governo Sovietico, a Togliatti, una "città nuova" non distante da Naberezhnye Chelny, la fabbrica della Volzshkij Avtomobil'nyj Zavod (Fabbrica di Automobili del Volga-VAZ).

Dopo di allora, nonostante le infinite trattative, la Fiat non si era più ripresentata direttamente sul mercato russo. Solo ultimamente, sta già partecipando a diverse iniziative minori con la Sollers e con la Kamaz.

L' accordo è organizzato sulla falsariga dell' accordo con il Governo Americano per la Chrysler, nel quale la Fiat apporta tecnologie e macchinari, mentre il produttore locale mette a disposizione gli impianti.Il finanziamento viene erogato dalla Sberbank, che sarebbe stato l' investitore russo anche nel caso dell' operazione Opel.

L' iniziativa di oggi si inserisce in un quadro più complesso, che comprende la produzione di 300.000 auto all' anno in Polonia, oltre alle 200.000 che già produce in Polonia. Il "nocciolo duro" della produzione automobilistica FIAT viene, pertanto, spostato verso l' Europa Centro-Orientale, così come i governi di transizione del "dopo-perestrojka" avevano richiesto infinite volte.

Non possiamo negare che le alterne vicende della FIAT sui mercati dell' Europa Centrale e Orientale siano strettamente intrecciati ad una molteplicità di evoluzioni politiche internazionali.

Senza entrare nei dettagli, a noi pare che si possa, sinteticamente, affermare che almeno alcuni dei Governi e delle grandi imprese europei (e quelli italiani sono all' avanguardia) stiano finalmente comprendendo, da un lato, quali incredibili possibilità di sinergia vi siano, oggi, fra l' Europa Occidentale e quella Centro-Orientale, ed, inoltre, che queste sinergie possono costituire l' elemento propulsore di un' allargata e rafforzata identità europea.

Nuove politiche industriali sull' auto

L'accordo che pare sussistere con il Governo italiano circa la posizione da tenersi a Bruxelles sulle politiche dell' auto parte dal presupposto che il futuro dei Gruppi multinazionali a base europea non possa più essere garantito da un sostegno all' occupazione ed agli acquisti, bensì debba basarsi sul supporto alle spese di ricerca e sviluppo. Se, infatti, i nostri Gruppi delocalizzano le loro attività extra-CEE, debbono possedere tencnologie superiori per essere appetibili come partners, e per avere un ruolo di "leadership".

Ricordiamo che, invece, 20 anni, quando lavoravo per l' industira automobilistica, le nostre imprese si distinguevano per la loro scarsa attenzione per la proprietà intellettuale. Non che non ne avessero (che, anzi, avevamo realizzato studi da cui risultava una bilancia tecnologica in pareggio), solo, non sapevano che fosse proprietà intellettuale, come quel personaggio di Molière che faceva prosa senza saperlo.

Il tipo di aiuti a cui si sta pensando "sotto il cappello" della "politica industriale europea per l' automobile" sono, sostanzialmente, aiuti alla creazione e/o al mantenimento in Europa, e/o nello specifico Paese donatore, di holding finanziarie, delle strutture direzionali e dei centri di ricerca e sviluppo, mentre le capacità produttive dovrebbero essere trasferite verso paesi meno sviluppati. Un errore di prospettiva potrebbe essere , a nostro avviso, non rendersi conto che i Paesi dell' Europa Centrale e Orientale possono considerarsi paesi meno sviluppati solo in senso molto relativo. Per non parlare, ovviamente, degli Stati Uniti, verso i quali le nostre imprese stanno avviando un trasferimento di tecnologia.

Ma, per capirlo, ci vorrebbe, a monte della Politica Industriale Europea, una visione strategica e proattiva dell'economia nel mondo multipolare, dei suoi "centri" e delle sue "periferie", visione che oggi non c'è, perchè non c'è l' "identità europea".

E' chiaro che i nuovi modelli di rapporto con le multinazionali americani,cinesi e russi, non hanno neppure la più lontana parentela con il "mercatismo" degli ultimi 20 anni. Pur di avere le holdings,i marchi e il controllo politico, i grandi Paesi offrono finanziamenti del 100% sul valore dell' investimento, e, in più, pagano anche la tecnologia. Altro che il deprecato "assistenzialismo" italiano degli anni '60-80, che, comunque, presupponeva almeno un minimo di investimento del partner privato!

Non ci pare casuale che il nuovo modello abbia due soli illustri precedenti: il rapporto pubblico-privato nell' Impero Cinese, e il rapporto principi-finanza ebraica nel Sacro Romano Impero.

In ambo i casi, le "élites" preferivano delegare la finanza o l' industria a ceti specializzati, così "non sporcandosi le mani".L' economia nel suo complesso era un pubblico servizio dato in "outsourcing" (come la Protezione Civile SpA!), a una sola condizione: non entrare in concorrenza con la politica dei mandarini/dei principi.Anche qui, però, un dubbio: quelle erano élites serie, che sapevano mantenere i ruoli: le nostre sarebbero all' altezza?

Inoltre, nell' Impero Cinese,nel sacro Romano Impero, c'era, e, oggi, in America, in Cina,e, in parte, in Russia, c'è, una politica globale, che può essere il metro per misurare la conformità del comportamento dei "concessionari" alla linea politica del Paese donatore. In Europa, in mancanza di una politica economica veramente globale, c' è il rischio che prevalgano gli egoismi degli Stati membri, interessi particolari dei governanti o delle imprese, o, addirittura, gli interessi di Paesi terzi.

Per questo, crediamo che la società civile debba essere molto presente nell' elaborazione delle politiche economiche dell' Europa.

Offerta di Alpina per l' Europa Centro-Orientale.

Alpina, Diàlexis e Identità Europea hanno, da sempre, investito l' insieme delle loro risorse proprio su questa ipotesi politica, culturale e industriale. Le nostre esperienze pregresse, dal punto di vista di "business", linguistico e culturale, ci qualificano in modo particolare a svolgere queswto compito.

Siamo a disposizione di chiunque ne sia interessato, per:

-organizzare iniziative culturali finalizzate all' interscambio con l' Europa Centrale e Orientale;

-fornire alle piccole e medie imprese consulenze di "business" relativamente a progetti di sviluppo industriale in quelle aree;

-tradurre opere letterarie italiane per i mercati dell' Europa Orientale, e opere dell' Europa Orientale per l' Italia e per l' Europa;

-organizzare iniziative di studio e di proposizione sulle politiche industriali europee.

Chiunque sia interessato a queste nostre attività, è pregato di mettersi in contatto con noi con la massima urgenza, per esaminare insieme le opportunità che potremmo sfruttare congiuntamente.

Riccardo.lala@alpinasrl.com


Alpina SpA,

Via Pietro Giuria n. 6

10125

Torino

Tel.0116688758