giovedì 26 marzo 2009

La tenaglia - 3

(foto: Farid Zakaria)

Fini warns against "Sole Way of Thinking".Fini conjure la "Pensée Unique". Fini warnt vor "Alleiniges Gedanke"

Appare singolare che, proprio nel momento della creazione, con il Popolo delle Libertà, di un soggetto politico che rappresenta quasi la metà dell’ elettorato italiano, uno dei suoi principali fondatori, Gianfranco Fini, denunzi il rischio di un “pensiero unico” legato a questa nuova realtà. Questo non per le dimensioni di questo soggetto, né per la pluralità degli elementi che lo compongono, bensì per l’implicito conformismo che regna nei partiti-aziende, nelle burocrazie tecnocratiche, nel consensualismo forzato e nel culto dei sondaggi.


Questo pensiero unico, che già si coglie nella ricerca ossessiva di “una memoria condivisa”, e nella banalizzazione dei conflitti, tipica dei “talk shows”, coinvolge tutti i soggetti, ma soprattutto quel partito che, per le sue dimensioni, aspira ad identificarsi allo stesso tempo con il popolo, con lo Stato e con l’ economia (se non anche con la Chiesa).

Eppure, da quando il nuovo progetto bolle in pentola, il Governo che ne è l’ espressione, e il suo leader, hanno fatto anche cose ottime, che, forse, prima, non sarebbero state possibili. Ad esempio,le proposte per una politica economica per l’ Europa, o i rapporti inediti con la Russia e con la Libia, che non rispondono, come alcuni credono, solo a interessi particolari, bensì a tendenze di fondo dell’Italia e dell’Europa.

Solamente, tutto ciò è avvenuto senza un progetto politico trasparente; anzi, sostanzialmente, a dispetto delle ideologie prevalenti nel PDL, che restano quelle euroscettica, mercatistica ed occidentalistica.

Il problema è veramente complesso: il PDL viola di fatto il Pensiero Unico nello stesso momento in cui lo impone ai suoi quadri.

La vera difficoltà è costituita dalle società contemporanee, così complesse da sfuggire ad ogni definizione. Qui coesistono identità ancestrali, rinnegate ma mai morte: lobbies più o meno occulte ancora impregnate dei dogmi della modernità; strutture statali di una tale completezza da rischiare la paralisi; un’ economia di mercato in perenne crisi; ceti tradizionali che resistono e una gran massa di ”déracinés” ; un pubblico manipolabile indaffarato e semi-alfeabetizzato ed intellettuali troppo sofisticati, chiusi nelle loro torri d’ avorio.

Probabilmente, una certa dose di centralismo e di opacità intellettuale sono oggi necessarie per gestire i grandi aggregati continentali a dispetto della complessità e dei “media". Tuttavia, se non vogliamo avere da un giorno all' altro delle sgradite sorprese, dovremmo pretendere che la politica renda conto delle proprie strategie almeno nel limitato agorà della cultura politica.

Proprio realtà enormi ed inafferrabili come il PDL, l’ UMP o Edinaja Rossija avrebbero tutto da guadagnare nel suscitare, almeno nelle classi dirigenti, un dibattito politico serio sui grandi temi storico-politici.

Almeno come fa quel centinaio di pensatori politici che animano i “think thanks” americani (da Kennan a Kissinger, da Brzezinski a Huntington, da Fukujama a Podhorez, da Kagan a Zakaria), e che, ad ogni cambio di presidenti, si alternano nel ruolo di “consiglieri del Principe”.

A nostro avviso, i temi su cui cimentarsi non mancherebbero: a cominciare dall’ Identità Europea, per passare alla laicità, poi, i rapporti con il resto del mondo; la concezione dell’ ambiente, delle autonomie locali e sociali, il ruolo della cultura, ecc...

Quindi, non già un “pensiero unico”, bensì un’ “Agenda” di temi, sui cui i vari soggetti pensanti siano chiamati a pronunziarsi.

Agende che possono essere diverse da Paese a Paese, da partito a partito, ma che, alla fine, devono trovare una loro sintesi sensata.

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