domenica 27 maggio 2012

COME RISOLVERE LA CRISI EUROPEA?


Intended Merkels Proposals will Cause Disconcert
Les propositions en préparation par Merkel causeront des troubles.
Merkels mutmaessige Vorschlaege werden Erschuetterung verursachen.

 Non essendo un economista, non ho espresso fino ad ora il mio punto di vista sulle modalità per risolvere quella crisi economica europea, che le autorità europee e nazionali non avevano previsto, e che continuano a non riuscire a risolvere nonostante le continue riunioni e le infinite ricette.
A noi sembra pazzesco che l’Europa possa accontentarsi di un lento e progressivo (e, per altro, aleatorio quant’altri mai) miglioramento, quando, essendo essa il blocco economico più forte del mondo, avrebbe tutti gli strumenti per risolvere i propri problemi economici al meglio e rapidamente, superando addirittura gli altri blocchi.
Perché, ricordiamolo ancora una volta, il PIL complessivo dell’UE (senza contare altri Paesi europei come i Balcani Occidentali, la Turchia, il Mercato Comune Eurasiatico, la Svizzera e la Norvegia), supera quelli degli USA e della Cina. E, se vi si aggiungessimo anche quelli dei 5 blocchi economici sopra indicati (con i loro rapporti con il Medio Oriente, il loro petrolio, gas, gasdotti, banche svizzere, eccetera), lo supererebbero, ma di gran lunga.
In secondo luogo, come non mancano di far rilevare i cittadini dei BRICS, criticando le politiche filo-europee dei loro Governi, gli abitanti dell’Unione Europea hanno un tenore di vita ben superiore al loro, sicché basterebbe che gli Europei sfruttassero meglio ciò che hanno, e potrebbero vivere  da signori.
Invece, gli Europei vogliono a tutti i costi continuare a inseguire assurdi miti ideologici, come quello del PIL (che rappresenta solo una misura degli sforzi - culturali, politici, lavorativi, di consumo di materie prime, di perdite di tempo -) e non di risultati (in termini di armonia, di moralità, di gratificazione, di sicurezza, eccetera); oppure quello dell’apertura a tutti i costi agli scambi internazionali (che significa solo importare in Europa modelli culturali in conflitto con i nostri, modelli economici di instabilità, crisi endemiche, eccetera).
Quindi, nella sostanza, basterebbe che l’Europa cercasse, come abbiamo già detto, di porre , con una severa  regolamentazione e con un’agenzia di rating europea, seri freni all’eccessiva volatilità dei mercati, e imitasse maggiormente la Germania e la sua società fondata sulla stabilità.
Per fare ciò occorrerebbe, ovviamente, una profonda trasformazione, prima culturale, e, poi, politica - che, a nostro avviso, dovrebbe partire da un ricambio della classe dirigente, fondata su una cultura che permettesse a tutti (ma in primo luogo alle classi dirigenti stesse), di capire finalmente come funziona veramente l’Europa (con le reali strutture delle sue società, con i suoi reali rapporti con il resto del mondo), e non secondo le favole ideologiche della globalizzazione, della liberalizzazione, dei “mercati”,né quelle opposte del “capitalismo”.
Questo ricambio della cultura della classe dirigente potrebbe essere ottenuto, a nostro avviso, solamente inserendo, nella prevista revisione dei Trattati, un ruolo centrale delle politiche culturali europee, fondate su semplici pilastri come un’Accademia Superiore dell’Europa, l’armonizzazione dei curricula scolastici e la creazione di media pubblici europei.
In secondo luogo, si dovrebbero armonizzare le politiche sociali intese, non già come un buonistico sussidio ai più svantaggiati perché possano partecipare anche loro ai consumi di massa, bensì come la diffusione a tutti i livelli di meccanismi reali di partecipazione della base, come accade già oggi al massimo livello in Germania e in Olanda (ed anche, seppure in misura minore, in Francia, Austria, Svezia e Norvegia).
Infine, occorrerebbe riorientare i modelli di consumo degli Europei, privilegiando il legame con il territorio, una concezione attiva e creativa della cultura, una grande mobilità culturale intraeuropea e forti legami culturali con le grandi aree culturali del mondo.
Un siffatto orientamento farebbe sì che l’ossessione per i “mercati” e per il “PIL” potrebbe venire frenata, in quanto gli Europei (Stati e cittadini) investirebbero più in beni stabili come cultura, natura, territorio, case, monumenti, scienza, tecnologia, difesa, anziché in beni effimeri come vacanze, divertimento, gadgets tecnologici, abbigliamento, arredamento.
Ciò non significa, a nostro avviso, che il reddito medio pro-capite non crescerebbe (anche se moderatamente, ma stabilmente); solo , intanto, che non verrebbe più misurato con il PIL pro-capite, che comprende soprattutto, come noto, gli sperperi della politica, l’inquinamento, la droga, la delinquenza, le guerre, eccetera, bensì con qualche altro misuratore che tenga conto di valori come l’indipendenza nazionale, la conservazione delle risorse, l’incremento del valore delle città di cultura, la sicurezza, l’accrescimento della cultura e delle competenze professionali, eccetera.
Tutto ciò è a portata di mano, purché gli Europei rivisitino il quadro  del mondo in cui vivono, che essi hanno acquisito ultimamente a causa delle ideologie superficiali e inefficaci dei loro establishment, si mettano a studiare e a dibattere in modo autonomo, e incomincino a creare autonomamente reti intraeuropee di cittadini impegnati, capaci e disponibili ad esercitare una forte pressione sull’establishment affinché metta in opera un programma come sopra, “incominciando dalla cultura”.
Facciamo anche notare che questo desiderio di rinnovamento comincia a serpeggiare anche fra i rappresentanti dell’ “establishment”. Esempio tipico le posizioni che il Governo Merkel starebbe preparando secondo lo “Spiegel”, le quali opporrebbero, alle retoriche richieste di “investimenti per la crescita” (che non significano di per sé nulla se non si hanno in vista obiettivi concreti dell' economia reale), misure molto concrete come l’eliminazione delle spese per l'Afganistan, l’introduzione in tutta Europa di una legislazione sociale di tipo tedesco (fondata sulla cogestione e sull’ apprendistato), e il ritorno alla vecchia impostazione degli “Obiettivi 1 e 2”, con notevoli agevolazioni fiscali per i Paesi del Sud Europa, che sono,poi, i “Nuovi Poveri”:
L’eventuale adozione (certo, politicamente molto difficile) di queste  provocatorie  proposte costituirebbe un duro colpo per i  miti della “crescita per la crescita”, della “flessibilità verso il basso” e della solidarietà europea intesa solo come finanziamento degli sprechi per mantenere in piedi una società consumistica.

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