Intended Merkels Proposals will Cause Disconcert
Les propositions en préparation par Merkel causeront des troubles.
Merkels mutmaessige Vorschlaege werden Erschuetterung verursachen.
Non essendo un economista, non ho
espresso fino ad ora il mio punto di vista sulle modalità per risolvere quella
crisi economica europea, che le autorità europee e nazionali non avevano
previsto, e che continuano a non riuscire a risolvere nonostante le continue
riunioni e le infinite ricette.
A noi sembra pazzesco che l’Europa
possa accontentarsi di un lento e progressivo (e, per altro, aleatorio
quant’altri mai) miglioramento, quando, essendo essa il blocco economico più forte
del mondo, avrebbe tutti gli strumenti per risolvere i propri problemi
economici al meglio e rapidamente, superando addirittura gli altri blocchi.
Perché, ricordiamolo ancora una volta,
il PIL complessivo dell’UE (senza contare altri Paesi europei come i Balcani
Occidentali, la Turchia,
il Mercato Comune Eurasiatico, la
Svizzera e la Norvegia), supera quelli degli USA e della Cina. E,
se vi si aggiungessimo anche quelli dei 5 blocchi economici sopra indicati (con
i loro rapporti con il Medio Oriente, il loro petrolio, gas, gasdotti, banche
svizzere, eccetera), lo supererebbero, ma di gran lunga.
In secondo luogo, come non mancano di
far rilevare i cittadini dei BRICS, criticando le politiche filo-europee dei
loro Governi, gli abitanti dell’Unione Europea hanno un tenore di vita ben
superiore al loro, sicché basterebbe che gli Europei sfruttassero meglio ciò
che hanno, e potrebbero vivere da
signori.
Invece, gli Europei vogliono a tutti
i costi continuare a inseguire assurdi miti ideologici, come quello del PIL
(che rappresenta solo una misura degli sforzi - culturali, politici,
lavorativi, di consumo di materie prime, di perdite di tempo -) e non di
risultati (in termini di armonia, di moralità, di gratificazione, di sicurezza,
eccetera); oppure quello dell’apertura a tutti i costi agli scambi internazionali
(che significa solo importare in Europa modelli culturali in conflitto con i
nostri, modelli economici di instabilità, crisi endemiche, eccetera).
Quindi, nella sostanza, basterebbe
che l’Europa cercasse, come abbiamo già detto, di porre , con una severa regolamentazione e con un’agenzia di rating
europea, seri freni all’eccessiva volatilità
dei mercati, e imitasse maggiormente la Germania e la sua società fondata sulla
stabilità.
Per fare ciò occorrerebbe, ovviamente,
una profonda trasformazione, prima culturale, e, poi, politica - che, a nostro
avviso, dovrebbe partire da un ricambio della classe dirigente, fondata su una
cultura che permettesse a tutti (ma in primo luogo alle classi dirigenti stesse), di
capire finalmente come funziona veramente l’Europa (con le reali strutture
delle sue società, con i suoi reali rapporti con il resto del mondo), e non
secondo le favole ideologiche della globalizzazione, della liberalizzazione,
dei “mercati”,né quelle opposte del “capitalismo”.
Questo ricambio della cultura della
classe dirigente potrebbe essere ottenuto, a nostro avviso, solamente
inserendo, nella prevista revisione dei Trattati, un ruolo centrale delle
politiche culturali europee, fondate su semplici pilastri come un’Accademia
Superiore dell’Europa, l’armonizzazione dei curricula scolastici e la creazione
di media pubblici europei.
In secondo luogo, si dovrebbero
armonizzare le politiche sociali intese, non già come un buonistico sussidio ai
più svantaggiati perché possano partecipare anche loro ai consumi di massa,
bensì come la diffusione a tutti i livelli di meccanismi reali di partecipazione
della base, come accade già oggi al massimo livello in Germania e in Olanda (ed
anche, seppure in misura minore, in Francia, Austria, Svezia e Norvegia).
Infine, occorrerebbe riorientare i
modelli di consumo degli Europei, privilegiando il legame con il territorio, una
concezione attiva e creativa della cultura, una grande mobilità culturale
intraeuropea e forti legami culturali con le grandi aree culturali del mondo.
Un siffatto orientamento farebbe sì
che l’ossessione per i “mercati” e per il “PIL” potrebbe venire frenata, in
quanto gli Europei (Stati e cittadini) investirebbero più in beni stabili come
cultura, natura, territorio, case, monumenti, scienza, tecnologia, difesa,
anziché in beni effimeri come vacanze, divertimento, gadgets tecnologici,
abbigliamento, arredamento.
Ciò non significa, a nostro avviso, che
il reddito medio pro-capite non crescerebbe (anche se moderatamente, ma
stabilmente); solo , intanto, che non verrebbe più misurato con il PIL
pro-capite, che comprende soprattutto, come noto, gli sperperi della politica,
l’inquinamento, la droga, la delinquenza, le guerre, eccetera, bensì con
qualche altro misuratore che tenga conto di valori come l’indipendenza
nazionale, la conservazione delle risorse, l’incremento del valore delle città
di cultura, la sicurezza, l’accrescimento della cultura e delle competenze
professionali, eccetera.
Tutto ciò è a portata di mano, purché
gli Europei rivisitino il quadro del mondo in cui
vivono, che essi hanno acquisito ultimamente a causa delle ideologie superficiali e inefficaci dei loro establishment, si
mettano a studiare e a dibattere in modo autonomo, e incomincino a creare
autonomamente reti intraeuropee di cittadini impegnati, capaci e disponibili ad
esercitare una forte pressione sull’establishment affinché metta in opera un
programma come sopra, “incominciando dalla cultura”.
Facciamo anche notare che questo
desiderio di rinnovamento comincia a serpeggiare anche fra i rappresentanti
dell’ “establishment”. Esempio tipico le posizioni che il Governo Merkel
starebbe preparando secondo lo “Spiegel”, le quali opporrebbero, alle retoriche
richieste di “investimenti per la crescita” (che non significano di per sé nulla se non si hanno in vista obiettivi concreti dell' economia reale), misure molto concrete come l’eliminazione
delle spese per l'Afganistan, l’introduzione in tutta Europa di una
legislazione sociale di tipo tedesco (fondata sulla cogestione e sull’ apprendistato),
e il ritorno alla vecchia impostazione degli “Obiettivi 1 e 2”, con notevoli agevolazioni
fiscali per i Paesi del Sud Europa, che sono,poi, i “Nuovi Poveri”:
L’eventuale adozione (certo,
politicamente molto difficile) di queste provocatorie proposte costituirebbe un duro colpo per i miti
della “crescita per la crescita”, della “flessibilità verso il basso” e della
solidarietà europea intesa solo come finanziamento degli sprechi per mantenere
in piedi una società consumistica.
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