mercoledì 30 novembre 2011

CAPIRE LA GERMANIA

The only Solution to Crisis: Culture
Une  seule solution à la crise: la culture
Einzige Loesung zur Krise: Kultur

Quando Nietzsche affermava che "il mondo vero è diventato favola" intendeva riferirsi ad un fenomeno generale di storia della filosofia europea.

E, tuttavia, tale frase si applica altrettanto bene alla storia della cultura in senso più ristretto, vale a dire al modo in cui la cultura moderna si rapporta alle proprie stesse basi, cioè con un atteggiamento totalmente manipolativo, che si ripercuote sulla stessa possibilità di apprendere la realtà, quindi, di prevedere e decidere.

La stratificazione delle manipolazioni storiografiche è divenuta oggi così densa, da paralizzare totalmente la capacità decisionale delle classi dirigenti, e, quindi, dell' intera società.L'esempio tipico di questa paralisi è la dfficoltà con cui si sta portando avanti la costruzione eurtopea. Ed è per questo che siamo convinti che solo una radicale opera di destrutturazione di tutte le narrazioni contemporanee costituisca il necessario presupposto per qualunque progetto sensato per l'avvenire.

A cominciare dall' Euro.

1.Le manipolazioni della storia europea.

La prima grande manipolazione fu costituita dalla costruzione dello stereotipo germanico da parte di Tacito e di Jordanes,con cui si propose  il mito di un popolo originario e puro, contrapposto alla Romanità decadente; la seconda, la narrazione biblica, che fuse in un'unica vicenda le tradizioni medio-orientali e classiche, senza però rendere conto della loro rispettiva autonomia. La terza  fu costituita dalla "vulgata" della Rivoluzione Francese, con cui si stabilirono manicheamente due campi, Rivoluzione e Controrivoluzione, che, invece, non erano affatto così  contrapposti. La quarta fu quella dell'Europa delle Nazioni, dove si perdettero di vista le reali identità e differenze, per sostituirle con nuove, fittizie ipostasi; la quarta, quella del progresso occidentale contro l'arretratezza del resto del mondo (Condorcet); la quinta, quella dello Stato Mondiale, che, per Juenger, ma anche per l'Unione Europea, sarebbe la provvidenziale sintesi finale dell'epopea produttivistica dell'Operaio e di quella borghese della Pace; l'ultima, infine, quella kojeviana della Globalizzazione come Fine della Storia.

2.I tre Paesi vincitori della crisi

Quando apriamo le pagine di un giornale, o ascoltiamo un talk show, non possiamo non rimanere esterrefatti nell'ascoltare, da pretesi esperti, cose che non hanno alcun reale riscontro. Gli esempi più evidenti sono costituiti dall' immagine che, in questi giorni, si sta dando della Germania.

Intanto, nessuno riesce a spiegare come mai, dal bailamme generale della crisi, solo tre Paesi stiano uscendo indenni: gli Stati Uniti, la Cina e la Germania.

Gli Stati Uniti sono i primi responsabili di ciò che è accaduto, per avere perseguito e realizzato l'obiettivo storico di rimodellare il mondo a loro immagine, per avere portato al parossismo le logiche del leverage finanziario, sostenendo con esse un apparato burocratico-militare unico nella storia, per essere una vera e propria fabbrica di inflazione, per avere innescato la crisi dei subprime e anche la crisi più recente, col mancato accordo sul budget fra Obama e il congresso. Eppure, alla fine, non sono stati essi a pagare il conto più salato. 

Nonostante le proposte di un nuovo Sistema Monetario Mondiale, il dollaro continua ad essere la valuta di riserva e a rivalutarsi su tutte le altre. Nonostante i tagli di bilancio, gli Stati Uniti non diminuiscono, bensì incrementano, il loro impegno militare, per esempio, in Pakistan, in Europa Orientale, in Australia e in Africa.

Nonostante i proclami liberistici, le banche e le case automobilistiche sono state salvate con enormi interventi finanziari pubblici e con il "quantitative easing". Grazie alla loro forza culturale, politica, militare, propagandistica ed economica, gli Stati Uniti fanno sempre ancora pagare i propri debiti agli altri.

La Cina ha sempre avuto, fino alla caduta dell' Impero Qing, esattamente un secolo fa, il maggiore PIL del mondo. Una volta finite l'occupazione straniera, il regime delle concessioni, la guerra civile e la Rivoluzione Culturale, era  inevitabile che essa sarebbe ritornata, come in tutta la sua storia, al vertice, anche economico, del mondo. La stessa enorme drammaticità delle esperienze attraversate (le rivolte dei Taiping e dei Boxer, le Guerre dell' Oppio, le occupazioni occidentale e giapponese, il movimento modernista, la guerra civile, le stragi maoiste) non hanno rallentato, bensì accelerato una trasformazione, innanzitutto culturale, indispensabile: dal subire passivamente l' influenza occidentale, all' imitare il Giappone, l'Occidente e l'Unione Sovietica, per poi costruire un nuovo sistema nuovamente centralizzato, e, infine, allentare progressivamente le redini del controllo.
L'enorme attivo della bilancia dei pagamenti incomincia con le politiche draconiane di Mao, che, contrariamente a quasi tutti i leader comunisti, non volle mai indebitarsi con l'estero, preferendo comprimere all' inverosimile il tenore di vita dei cittadini. La grande competitività dei prodotti cinesi comincia, nel 1978, con la decisione di svalutare lo Yuen del 30%, imponendo così di fatto un risparmio forzoso anche nella fase di apertura al commercio internazionale. La Cina continua a prosperare anche ora grazie alla sua capacità unica di realizzare in tempi brevissimi "manovre" ritenute impossibili altrove, come per esempio l'attuale incremento a tappe forzate del mercato interno.

In ambedue i casi, quello americano e quello cinese, la spiegazione della forza economica sta non già nella presunta assenza di controlli statali, bensì nerll'inesorabile connessione fra la pretesa di una missione storica, la capacità di controllo centralizzato e l'abilità nello sfruttare questo controllo per influire a proprio favore sul resto del mondo. 

Quindi, c'è una spiegazione per l' America e per la Cina. Ma, per la Germania?

Le due spiegazioni più diffuse, quella data dai Tedeschi e quella data dagli altri, non ci convimncono per il loro carattere mitologico.
Secondi i Tedeschi, la Germania sarebbe in una situazione economica migliore per il suo maggior rigore di bilancio (che, infatti, si vorrebbe imporre anche agli altri). Secondo gli altri, la Germania sarebbe più forte per avere imposto all'Unione Europea il proprio modello economico, rendendo impossibile agli altri Paesi europei di competere con la Germania attraverso le svalutazioni competitive che essi usavano in precedenza.

3.Un pò di storia

A noi pare che la ragione vera della maggior forza della Germania risieda nella sua particolare struttura sociale, molto diversa da quella degli altri Paesi d'Europa.

Ricordiamo, intanto, che la Germania è l' erede storico-culturale del Paese esaltato da Tacito, e che quella memoria ne condiziona ancora l'autopercezione. Anche il Rivoluzionario dell' Alto Reno, Muenzer e Lutero avevano attribuito alla Germania una missione salvifica. La Germania a cavallo della Rivoluzione Francese è un Paese che unisce la conservazione di strutture sociali medievali con uno sviluppo senza precedenti della cultura moderna. A cavallo fra l'Ottocento e il Novecento, la Bildungsbuergertum tedesca elabora la mitica contrapposizione fra Kultur e Zivilisation, evocando l'idea di un diverso modello di società,o meglio,  una "comunità" (Gemeinschaft), non già una vera "società" (Gesellschaft).

Le due Guerre Mondiali furono combattute in gran parte cojn il mito della Gemeinschaft (Volksgemeinschaft).

Anche la "denazificazione" imposta alla Germania dalle potenze occupanti fu mediata da intellettuali che partecipavano al mito della Gemeinschaft, come il liberista austriaco Von Mises, che apirava a ricostruire, contro il costruttivismo dei comunisti e dei nazisti, la "società naturale" dell' "Austria Felix", o come i filosofi francofortesi Horkheimer e Adorno, che, sempre in nome della Kultur, volevano ricostituire la vecchia Germania della "Gemeinschaft".

Gli Alleati cercavano di impedire che il nazismo potesse rinascere: quindi, imposero il contrario di ciò che gli intellettuali tedeschi loro alleati descivevano come "tipicamente nazista": il federalismo contro lo Stato accentrato, la decartellizzazione contro i Konglomerat, la cogestione operaia contro lo strapotere dei grandi industriali, ecc...

Essi non si accorgevano, per altro, di stare ricostruendo, sotto nuove spoglie, una Germania ancor più "tradizionale" che non quella nazista. La stessa cosa avveniva, "mutatis mutandis", nella Repubblica democratica, un "Kommunistischer Beamtenstaat" molto simile allo "stato commerciale chiuso" di Fichte, con un culto della "Kultur" molto simile a quello delle monarchie ottocentesche (cfr. Thomas Mann, Bloch, Gehlen).

L'Economia Sociale di Mercato di Erhard doveva molto alla "concezione istituzionale dell' impresa e del diritto", così come la DDR doveva molto al "Socialismo della cattedra" e al "consociativismo" che Elazar considera tipico dell'eredità del Sacro Romano Impero.

Le due Germanie coltivarono così il culto goethiano della stabilità , che impedisce l'egemonia dello spirito mercantile, e permette alle anime belle di deicarsi alla natura e alla cultura.

Nell'ambito di questa concezione classicistica e conservatrice va anche situata l'idea della stabilità monetaria, esaltata, nel 2° Reich e nella Repubblica di Weimar, da conservatori come Bruening, e osteggiata dai "progressisti" (socialdemocratici e liberali) perchè avrebbe sfavorito  la mobilità sociale.

La stabilità economica si sposa infatti bene con una forte integrazione fra città e campagne, sull' esaltazione del ceto operaio come professione altamente tecnicizzata e giuridicamente protetta, con il carattere strettamente familiare e perfin clanico della piccola e media impresa, con la quadripartizione del potere, nelle grandi imprese, fra lo Stato, gli azionisti, i lavoratori e lo Stato azionista.

A ciò si aggiunga un'ulteriore nota antinazista: giacché la "vulgata" afferma che il Nazismo fu propiziato dall' inflazione della Repubblica di Weimar, si decise che il caposaldo della politica monetaria sarebbe stato costituito dalla lotta all' inflazione, garantita dal divieto alla Banca Centrale di perseguire obiettivi di crescita mediante l'emissione di carta-moneta. 

4.L'economia sociale di mercato

Tutto si lega.Il mantenimento di una societò stabile viene garantito dal freno al Governo, alle banche e alle imprese, affinche non spingano il sistema oltre i limiti del possibile. I profitti e i salari crescono modestamente e costantemente. I sindacati, potentissimi, riescono a tenere a freno il movimento operaio con il prestigio della loro presenza negli organi decisionali.

Il risparmio è incentivato da uno stile di vita ecologico, con un'urbanistica decentrata e gusti vicini al mondo contadino.

Paradossalmente, quest'economia "conservatrice" si è rivelata più efficiente delle economie degli altri Paesi europei, che si sono lasciate grtadualmente trasformare sul modello americano, con l'apertura ai capitali internazionali, la mancanza di barriere alla speculazione, l'autonomia del movimento sindacale, un'urbanizzazione selvaggia e la perdita dei valori "romantici" della natura e della cultura. Infatti, è ben vero che le economie di tipo "occidentale" riescono, in certi periodi, a conseguire una crescita spettacolare, però compensano ciò con ancor maggiori periodi di crisi e di recessione, che azzerano tutto quanto conseguito in precedenza.

E il motivo per cui la Germania è così è, da un lato, il suo mito della Kultur, e, dall' altro, il fatto che le imprese, che non hanno una proprietà speculativa, bensì una "governance" mista e profondamente radicata nel territorio,  hanno continuato per un cinquantennio a reinvestire nell' innovazione e nella qualità, in modo da risultare sempre più imbattibili.

Per quanto riguarda i Paesi europei, essi non hanno neppure i paracadute del Governo americano, i salvataggi miliardari, le commesse militari, il Quantitative Easing, l'"advocacy" sui mercati esteri, ecc.., e, quindi, quando c'è la crisi, pagano per forza duramente.

Questa situazione non è cambiata sostanzialmente, né con la riunificazione della Germania, né con la creazione dell'Euro.

L'enorme facilità con cui la Germania Orientale è riuscita ad adattarsi al sistema della Germania Occidentale si spiega con due ragioni: la forza del sistema occidentale e la relativa forza anche di quello orientale. Infatti, non è solo la Germania Orientale a realizzare ottime performances economiche, bensì anche la confinante Polonia, e anche la Russia, che a sua volta confina con la Polonia.

L'Euro non ha modificato questa situazione per la Germania, in quanto il sistema Euro non ha fatto che estendere a tutta l'Europa il sistema del Marco. Non, per altro, l'"economia sociale di mercato" alla tedesca, ché, anzi, in questi anni, tutto il resto d'Europa si è lanciata in un processo di accelerata americanizzazione, con la cessione dei "campioni nazionali", lo smantellamento della concertazione con i sindacati, le delocalizzazioni selvagge, ecc..

Tutto ciò ha indebolito, non già rafforzato, le imprese europee occidentali rispetto a quelle tedesche, che hanno mantenuto sostanzialmente la loro precedente struttura nonostante le insistenze dei "privatizzatori". Basti dire che, quando i sindacati e la Confindustria tedesca hanno concordato nuove forme di flessibilità del lavoro, il Governo Merkel ha introdotto una legislazione che rende difficili certe forme di flessibilità, considerate dannose per la salute e per la famiglia.

5.L'Europa dinanzi alla crescita dei BRICS.

Ma c'è di più. La Germania, con la sua struttura economico-sociale, ha sfruttato al massimo l'era delle delocalizzazioni, delocalizzando al massimo le attività a basso valore aggiunto, ma mantenendo in Germania le sue produzioni di valore aggiunto più elevato, per le quali non vale  la concorrenza al ribasso, ma che possono essere realizzate solo in un Paese, come la Germania, in cui tutti, a cominciare dagli operai,  hanno un livello di preparazione incommensurabilmente superiore a quelli degli altri Paesi.


Se la Germania difende, dunque, a spada tratta queste sue carattteristiche, è perchè il suo modello è vincente.
Con il conseguimento, da parte dei BRICS, della piena autonomia dall' Occidente, culturale, politica, finanziaria, tecnologica, industriale, economica, anche gli altri Paesi d'Europa, se non vogliono decadere sempre più, devono imitare il modello tedesco, investendo nelle stesse cose della Germania (cultura, ricerca scientifica, capitalizzazione dei campioni nazionali, qualificazione e retribuzione della forza-lavoro qualificata, produzioni di qualità, ambiente), evitando gli assurdi sperperi, finanziari e economici, degli ultimi anni (come tante inutili privatizzazioni, i finanziamenti a pioggia a innovazioni solo sulla carta,i salvataggi di ciò che non si può salvare, una concorrenza assurda fra Europei perfino in campo militare, ecc...).

Solo così potranno offrire ai BRICS quelle poche cose che ad essi ancora mancano ( e si presume continueranno a mancare ancora per un pò), come quelle che hanno uno stretto legame con la qualità dei Paesi produttori (come la auto di lusso e la meccanica di precisione tedeschi, la moda e i vini francesi, l'artigianato italiano).
Nel frattempo, l'Europa potrebbe avere il tempo di convertirsi ad un nuovo tipo di economia, più ambientale, cibernetica e diffusa, che sarà il tema del domani e potrebbe costituire una nuova speranza di eccellenza europea (il "sogno europeo" di Rifkin).

Certo, per far fronte all'enorme squilibrio finanziario di oggi, occorre assumere provvedimenti finanziari urgenti, primo fra cui l'attribuzione, agli organi europei, dei normali compiti di coordinamento di uno Stato Federale (sicurezza nazionale, cultura, moneta, finanza, legislazione economica, settori industriali strategici, ecc..).

Nel fare ciò, occorre comprendere tanto le ragioni della Germania, che giustamente non vuole "annacquare" un modello vittorioso, quanto degli altri Paesi d'Europa, che non possono andare avanti senza un aiuto immediato della Germania. 

Quindi, si creerà per forza un sistema intermedio, che concilierà l'attenzione tedesca per la stabilità con l'esigenza degli altri Paesi di un maggior tasso di crescita. In questo contesto, i famosi "sacrifici" rivestono un ruolo tutto sommato marginale.

Tuttavia, il problema fondamentale è che la politica economica comune non spinga la Germania ad una maggiore finanziarizzazione e precarizzazione, bensì gli altri Paesi verso una maggiore cura per la cultura, la ricerca,la qualità,  la scuola, la capitalizzazione delle imprese, la partecipazione dei lavoratori.

Solo così, al posto di un "sistema socio-economico tedesco" e un "sistema socio economico europeo-occidentale", potrà crearsi un nuovo "sistema socio-economico europeo", che, a nostro avviso, costituirebbe anche la miglior garanzia della sopravvivenza dell' Identità Europea.

Per arrivare a ciò, occorre ancora una volta molta cultura, con cui "decostruire" le assurde narrazioni ideologiche che hanno portato le nostre economie fino a questo punto. Per esempio, la teoria assurda secondo cui il sistema tedesco sarebbe stato "rigido" e non avrebbe quindi permesso lo sviluppo dell' economia; che esso avrebbe garantito solo lo sviluppo delle grandi imprese e non di quelle familiari; che l'"ingabbiamento" della conflittualità operaia in sindacati forti e nell' autogestione avrebbe indebolito la forza contrattuale degli operai, ecc...

Tutte cose che si stanno rivelando non solo false, ma, addirittura, l'esatto opposto della realtà.Speriamo che qualcuno abbia il coraggio di dirlo e di agire di conseguenza.

















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