Seminar
in Unione Industriale of Torino Emphasizes role of Emerging Countries
Un
séminaire auprès de Unione Industriale de Turin souligne l'impoertance des pays
émergents
Ein
Seminar bei Unione Industriale in Turin behauptet wachsende Rolle der neuesten
entwickelten Laender.
La globaliizzazione non è un fenomeno nuovo, tanto che la stessa emigrazione “Out of Africa” può essere considerata come una prima forma di globalizzazione. Secondo Le Monde Diplomatique, quella attuale sarebbe addirittura la quinta globalizzazione della storia.
D'altra parte, è da molto tempo che i
grandi pensatori si affannano a definire i parametri di una convivenza
mondiale. Basti pensare a Dante.
L’urgenza delle sfide della
contemporaneità (umano e postumano, sostenibilità del modello economico,
rischio di una guerra infinita) rende più che mai evidente, l’esigenza di
migliorare la cooperazione internazionale, superando l’inadeguatezza del quadro
attuale delle organizzazioni internazionali a rispondere alle domande del mondo
attuale.
Per questo, da parecchi secoli anche
i giuristi hanno cercato di definire il ruolo delle organizzazioni
internazionali.
I mondi della tecnologia, della
finanza e della guerra affrontano già oggi efficacemente a modo loro le grandi
questioni dell’umanità, con una sperimentazione tecnologica sganciata da ogni
considerazione etica e perfino dal principio di precauzione, la perpetuazione
di una crisi economica endemica, che non tiene conto delle esigenze vitali
dell’umanità, e, infine, la contrapposizione forzata fra popoli e civiltà.
1. Inadeguatezza del quadro internazionale
Le varie conferenze sull’ambiente, i
G7, G8 e G20, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e
le proposte di rilanciare la crescita a livello mondiale assomigliano sempre
più a grida manzoniane, mentre si susseguono notizie allarmanti in tutti i
campi, come quelle sulla clonazione di esseri viventi, sui licenziamenti in
massa, sui sempre nuovi teatri di guerra, dichiarata o no, simmetrica o
asimmetrica, ecc..
Al di là delle giustificazioni
tecniche e/o geopolitiche, l’attuale impasse delle organizzazioni
internazionali è dovuta, a nostro avviso, a un vizio di carattere culturale,
vale a dire l’impostazione cosiddetta “funzionalistica” delle strutture politiche,
sulla base della quale, per dare, al mondo, un reggimento comune nell’interesse
di tutti, basterebbe l’applicazione di principi di ragione che si suppongono
comuni a tutti.
Questa illusione ha, a nostro avviso,
un carattere marcatamente ideologico: essa presuppone, infatti, che per tutte
le questioni, e comprese quelle sociali, vi sia un’unica soluzione
universalmente valida, e che, perciò, basti individuare, e, successivamente, se
del caso, imporre, tale soluzione.
Tale approccio si sta rivelando,
prima ancora che sbagliato, inefficace perché irrealistico.
2. Globalizzazione e identità
Proprio il diffondersi della
globalizzazione ha fatto emergere con sempre maggiore evidenza che quest’ultima
non può essere accettata senza una contemporanea rivitalizzazione delle
identità locali e culturali. Quanto più gli scambi tecnici ed economici pongono
gli uomini a contatto gli uni con gli altri, tanto più ogni individuo, gruppo o
territorio, sente il rischio di essere travolto da un meccanismo impersonale, e
si aggrappa all’identità individuale, di gruppo e/o di territorio, come ad un
punto di riferimento su cui fare leva per affermare le proprie esigenze.
3. Il pluralismo come necessario supporto alle
decisioni
La soluzione dei grandi problemi dell’umanità
non può avere luogo senza, da un lato, tenere conto dei punti di vista di
diverse culture, tradizioni e gruppi, e, dall’altro, offrire, grazie
all’applicazione del “principio di sussidiarietà”, a tutte le parti
dell’Umanità, il diritto di gestire il proprio ambito interno secondo le
esigenze della propria cultura e le risultanze delle proprie interne
dialettiche.
Ciò vale fra la comunità
internazionale e le grandi aree culturali, fra le grandi aree culturali e i
grandi Stati, fra i grandi Stati e le loro Regioni, fra le Regioni e gli Enti
Locali, fra gli Enti Locali e i corpi intermedi, la Società Civile e
l’Associazionismo, fra l’Associazionismo e le persone.
È quanto viene normalmente sotteso
dalla parola “democrazia”, ma non dalla realtà fattuale che viene, oggi,
identificata con questa parola, in quanto la maggior parte delle persone e
delle idee non ha oggi spesso la possibilità di farsi ascoltare di fronte alle
grandi strutture egemoni.
4. Pari dignità
delle culture
La riforma delle organizzazioni
internazionali dovrà, quindi, a nostro avviso, passare prioritariamente
attraverso il riconoscimento della pari dignità delle grandi aree culturali:
occidentale, estremo orientale, del Sud del Mondo, eccetera.
Pari dignità che non va confusa con un
generico buonismo (che non accetta fino in fondo la diversità), ma deve
prendere atto che queste aree culturali posseggono una loro intrinseca logica,
loro propri costumi, un certo modo di vedere i problemi dell’umanità - logica,
costumi e visione che possono (e debbono) essere anche confliggenti, se si
vuole che possano costituire effettivi contributi al dibattito ed alla
creatività -.
Questa banale realtà è, a mio avviso,
totalmente misconosciuta anche da coloro che si ritengono accesi
multiculturalisti.
L’argomento è troppo vasto per
trattarlo in questa sede; mi limiterò perciò ad un esempio, a mio avviso molto
eloquente.
Nelle scuole occidentali o, almeno,
in quelle italiane, l’insegnamento della filosofia è normalmente limitato alla
sola filosofia europea. Nessuno avverte neppure, di solito, che il corso è,
appunto, di filosofia europea, e che esistono corpi analoghi, e dello stesso
spessore, di filosofia indiana, cinese, islamica, americana, ebraica, eccetera,
che, da un lato, sono simili, ma, dall’altro, diversi dalla filosofia europea,
e che, inoltre, l’hanno influenzata e ne sono state influenzate.
5.Occidentalismo
Orbene, quando si passa al discorso
politico e sociale, si pretende che i concetti derivati da questa filosofia
europea costituiscano principi universali, validi per tutti i continenti.
Concetti fortemente radicati in altri
contesti culturali come Dharma, Karma, Samsāra, Tiān-Xia o Sharīa, sono
considerati del tutto irrilevanti per la soluzione delle questioni
socio-politiche del mondo intero, o, addirittura, vengono considerati come
ostacoli per una corretta soluzione degli stessi.
Questo punto di vista è irrealistico,
perché i fatti dimostrano che tali concetti continuano ad improntare i
comportamenti dei governanti e della popolazione di ampie aree del mondo, come,
per esempio, quando, ai Giochi di Pechino, è stata presentata una storia
dell’umanità tutta incentrata sulle conquiste e le scoperte della Cina (il
Zhong-Guo, il Paese di mezzo del Tiān-Xia), o come quando, in seguito alle
rivolte popolari nel mondo arabo, i nuovi governanti hanno riaffermato il ruolo
della Sharīa come fonte del diritto - ruolo che nessuna legislazione
medio-orientale, né quella modernistica ottomana , né quelle coloniali,
né quella degli Stati sorti dall’indipendenza, ha sostanzialmente intaccato.
D’altronde, anche le legislazioni codicistiche di origine occidentale nel
Medio Oriente,hanno riservato spazi alla Sharīa come fonte, o hanno,
addirittura, ricalcato certi articoli sui principi del diritto mussulmano. Il
che è assolutamente normale se si pensa che anche le legislazioni occidentali
hanno come fonti storiche fondamentali diritti antichi non statuali, come il
diritto romano, il diritto comune medievale quando non il diritto canonico.
Come ha affermato recentemente su La Stampa Ian Lindon:
«Se non si capisce questo può sfuggire
come le problematiche standard legate ai modelli di sviluppo abbiano spesso
suscitato il garbato rifiuto dei supporti beneficiati. Risultato: un mucchio di
soldi buttati via».
Per evitare che le
deliberazioni degli organismi internazionali restino lettera morta, e si
scatenino infinite guerre aventi, come obiettivo effettivo, quello di imporre a
tutti i continenti l’adozione alla logica, ai costumi ed alle visioni occidentali,
occorre, dunque, che le logiche “altre” vengano accettare come base del
dibattito internazionale, con la stessa forza ed importanza di quella
occidentale.
6. Critiche al multiculturalismo
C’è chi sostiene che tali logiche non
sarebbero pertinenti in quanto, di fatto, esse non sarebbero più utilizzate
neppure più nei Paesi dove esse sono nate, nei quali si applicherebbe, in
realtà, solo la logica occidentale.
Quest’affermazione deriva in gran
parte dalla disinformazione. Di tutti i giorni dei cittadini comuni come delle
“élites” restano estremamente diversi nei vari Continenti. Come possono,
infatti, uomini politici, intellettuali e uomini dei media (per non parlare dei
comuni cittadini), che non hanno ricevuto una formazione neppure elementare
sulle storie, culture, religioni e politiche degli altri continenti, affermare
che cosa sta succedendo in tali continenti? Personalmente, ho viaggiato,
soprattutto per lavoro, nelle Americhe, in Africa, in Europa Orientale e in
Estremo Oriente e posso confermare che le idee e i comportamenti
Costituisce, perciò, a mio avviso, un
compito preliminare quello di riformare i curricula di insegnamento in modo
tale da fornire, nelle scuole di ogni ordine e grado, una preparazione adeguata
circa la linguistica, la storia, la filosofia, la cultura e la politica di
tutte le parti del mondo.
Ci sono poi altri che sostengono che,
addirittura, le identità collettive non esistono perché, in realtà, ogni
individuo è diverso da un altro, sicché raggrupparli in qualunque modo avrebbe
un carattere arbitrario.Prescindendo per un momento dal fatto che, come
osservava Huntington, proprio un grande antropologo che aveva scritto il libro
“Contro le identità”, pochi anni dopo si era ricreduto, ed aveva scritto un
altro libro per combattere la perdita dell’identità ebraica, crediamo che la
dimostrazione più semplice ed efficace dell’esistenza delle identità e dei
rischi della loro eliminazione sia costituito proprio dall’esempio della storia
della filosofia.
7.La filosofia come cultura media
territorializzata.
Il dibattito pubblico fra i nostri
cittadini ed i nostri politici è fondato su argomenti tratti dalla storia della
filosofia europea (arbitrariamente definita come “filosofia” tout court):
“libertà” e “tirannide”, “monarchia” ed “oligarchia”, “aristocrazia” e
“democrazia”, “repubblica” ed “impero”, “Stato” e “Chiesa”, “progresso” e
“rivoluzione”, sono tratti da questa filosofia.
Una conoscenza, per quando mediata e
riflessa, di tali concetti, costituisce dunque un presupposto necessario per
partecipare a qualsivoglia dibattito politico in Occidente, e la loro ignoranza
da parte dei più è una delle principali ragioni dell’inefficacia dell’attuale
democrazia.
Se però i nostri cittadini dovessero
dibattere anche di “Karma” e di “Dharma”, di Tiān-Xia, di Velayet-i-Faqih, o di
“Eurasia”, si troverebbero, certamente, in una ancor maggiore difficoltà. Quel
poco di partecipazione effettiva, che ancora è presente nel nostro sistema,
andrebbe definitivamente perduto. Un radicale multiculturalismo è possibile
solo a livello di vertice, mentre un dibattito largo è possibile solamente in
base a culture localizzate.
Con ciò, risulta già definita, anche
se rozzamente, la sostanza di un’identità culturale occidentale, così come si
possono definire parallele identità culturali di altre aree del mondo,
caratterizzate da un’analoga concentrazione dell’ educazione su una determinata
parte della storia culturale.
L’impossibilità di abbracciare
l’intera gamma della ricchezza culturale dell’Umanità è un’ennesima
dimostrazione della finitudine umana, una finitudine che, paradossalmente,
proprio globalizzazione e democrazia rendono più evidente.
8. L’emergenza dei BRICS
Se l’invocazione di un atteggiamento
più equanime nei confronti delle diverse culture è stato sempre privilegio di
un’élite, e lo ritroviamo, per esempio, in Erodoto, nel Corano, in
Sant’Agostino, Marco Polo, Kabir, Bartolomé De Las Casa e Matteo Ricci,
nell’imperatore Akbar, in Leibniz, Voltaire, Diderot, Goethe e Jung, nella
cultura pietroburghese dell’800 e ’900.Essa non ha mai trovato un’eco
altrettanto chiara nella politica, nelle dottrine politiche e nelle culture
popolari, dove è prevalso molto spesso un atteggiamento di disprezzo verso i
“barbari”, i “goīm”, i “kuffār”, i “miscredenti”, i “diavoli stranieri”,
l’“Asse del Male”.Per altro anche alcuni "grandi", come Kant,
Voltaire e Marx, hanno dato prova di uno sconcertante disprezzo per i popoli
extraeuropei.
Tuttavia, a meno che non vi voglia
arrivare a una terza Guerra Mondiale, è chiaro che oggi il ruolo sempre
crescente dei BRICS fa sì che non sia più neanche realisticamente possibile
immaginare un mondo globalizzato che prescinda dall’universo culturale dei
grandi popoli dell’Asia.
Ci sono già state in passato fasi e
momenti in cui il mondo occidentale è stato fortemente influenzato, anche
culturalmente, dai popoli asiatici, non solamente nell’antichità e nel
Medioevo, ma anche, per esempio, il gauchismo dalle idee del Presidente Mao, il
movimento hippy dalla cultura indiana ed in mondo manageriale da quella
giapponese.Tutto fa prevedere che, nei prossimi decenni, vi sarà una nuova
ondata di interessamento per le culture dell’Oriente, le quali, in ogni caso,
hanno scoperto l’esigenza di imitare l’Occidente nel creare proprie industrie
culturali, che veicolano i loro valori in tutto il mondo.
9. Fuori
dall’egemonia del Chiliasmo
Poiché riteniamo che le identità
collettive esistano, riteniamo anche che la nostra identità, come europei e
come piemontesi, possa trarre grande giovamento da questa prevista ondata di
interessamento per le culture orientali.
Le ragioni di questo giudizio sono le
più svariate.
La prima è che, come ho già
illustrato, a mio avviso, è impossibile risolvere i problemi mondiali senza il
contributo attivo di tutte le culture del mondo. Orbene, se siamo seriamente
interessati alla soluzione di questi problemi, dobbiamo auspicare una più ampia
utilizzazione dei concetti delle culture orientali.
La cultura occidentale è, a mio
avviso, oggi troppo unilateralmente influenzata dall’interpretazione
secolarizzata della tradizione apocalittica, interpretazione denunziata già da
Sant’Agostino, la quale incomincia a prevalere fra il 18° ed il 19° secolo,
trasformandosi ben presto nel mito di un’apocalisse materialistica (la
Rivoluzione, la “Pace
Perpetua”, il Superuomo, la “Fine della Storia”, la “Singularity”).
Si è perduta, in tal modo, la
salutare ambiguità del "Mysterium Iniquitatis" annunziato dalla 2ª
Lettera ai Tessalonicesi, che era stata, in passato, un'eredità della cultura
europea.
Le culture orientali offrono, di
converso, importanti spunti di riflessione sull’ambiguità della fine
della storia, dalla ricchissima tradizione indiana circa l’infinità degli eoni
(i “Kalpas”), alle idee confuciane di Dagong e Taiping, fino alle visioni
islamiche sul Mahdī. Tutte idee che hanno, non meno dell’Apocalisse di
Giovanni, uno stretto collegamento con l’attualità.
A nostro avviso, una cultura
occidentale che tenesse conto di questi insegnamenti, e che, pertanto, si
interrogasse più seriamente sul significato, sociale ma anche individuale,
della finitezza umana, potrebbe reinterpretare in modo più equilibrato la
stessa cultura occidentale, allontanandosi, così, dal “mainstream” culturale
scientistico e tecnocratico, per il quale la “fine della storia” consisterebbe
nella realizzazione dell’obiettivo della tecnica di sostituire, alla religione,
alla cultura umanistica ed alla stessa natura umana, un universo artificiale
dotato di quelle stesse caratteristiche di unitarietà, perfezione, spiritualità
ed immortalità che un tempo venivano riconosciute alla divinità.
Se, e nel caso in cui, la
riequilibratura in corso fra le culture dell’Est, del Sud, dell’Ovest e del
Nord del mondo avesse successo, lo stesso Occidente ne trarrebbe un obiettivo
vantaggio, in quanto l’eccessivo peso acquisito dalla visione chiliastica del
fondamentalismo puritano e del materialismo economicistico non permette, oggi,
di vedere che, dell’Occidente, fanno egualmente parte l’estremo Nord russo, e
perfino, a nostro avviso, lo stesso Islam, che è una religione abramitica, con
tratti molto forti che lo accomunano, alcuni all’ebraismo, ed altri al
cristianesimo.
Infatti, l’affinità fra America e
Russia, Europa e Medio Oriente, risulta evidente se si confrontano le loro
scritture alfabetiche con le scritture ideogrammatiche o sillabiche
dell’Oriente, le loro religioni di salvezza con le religioni filosofiche
dell’Oriente, la loro idea di storia con le idee di permanenza o di ciclicità
delle filosofie orientali.
Una siffatta rivisitazione del
concetto di Occidente dovrebbe portare, a nostro avviso, anche a comprendere il
carattere centrale dell’Europa, sede storica del Cristianesimo, vera religione
mondiale, ma anche luogo di scontro fra le sue più svariate tendenze ed
eredità, e, inoltre, base importante tanto per l’Islam quanto per l’Ebraismo.
Una siffatta Europa “Centrale”
dovrebbe, a mio avviso, orientarsi verso modelli culturali nuovi e diversi, che
comprendano nuovamente gli insegnamenti degli altri continenti, tanto nella
teologia, quanto nella gnoseologia, che, infine, nel pensiero politico ed
economico.
Quindi, l’Europa ha tutto da
guadagnare da questo riequilibrio delle culture mondiali, già solamente dal
punto di vista della riconquista della propria autenticità, che non può essere
letta senza le influenze dei popoli delle steppe, delle civiltà
medio-orientali, senza l’ammirazione per la Cina di Marco Polo, di Ricci, di
Leibniz e di Voltaire, senza la base induistica della filosofia di
Schopenhauer, e, indirettamente, di tutta la cultura decadente europea.
11. Lo spostamento dell’economia ad Oriente
Se così stanno le cose, allora anche
lo spostamento dell’economia ad Oriente, che ora fa tanto paura, va visto, a
mio avviso, più come un’opportunità che non come un pericolo.
Contrariamente ad una sorta di
“arrier pensé” molto diffuso, a me non è mai sembrato che il periodo del
miracolo economico, prolungatosi nella versione francese con le “trente
glorieuses”, sia stato un periodo particolarmente positivo della storia
dell’Europa, che aveva vissuto certo ben altri periodi aurei come quello della
Grecia classica, della Roma augustea, dell’al-Andalūs ebraica e islamica,
dell’Impero degli Hohenstaufen, dell’Umanesimo e del Rinascimento,
dell’Illuminismo e del Romanticismo.Fu un’epoca di irrilevanza politica
dell’Europa, di vano affaccendarsi, di oblio della grande cultura, di esagerata
politicizzazione.La fine di quell’epoca, e l’avvio di una nuova epoca di più
ampi orizzonti, di maggiore apertura culturale, di nuove opportunità di
creazione, dev’essere, a nostro avviso, benvenuta.
Certo, a partire dallo “shock
petrolifero”, dalla caduta del Muro di Berlimo e dall’emergere dei BRICS,
viviamo una fase di grandi assestamenti, che rivelano le debolezze della
società europea costruita, nella seconda metà del 20° secolo, su un concreto
equilibrio mondiale, che, come tutti gli equilibri storici, non avrebbe potuto
comunque essere eterno.
La complessità della crisi sta
giustamente costringendo gli Europei a riflettere sulla sostenibilità a lungo
termine del loro sistema economico, sulla ragionevolezza o meno di rimanere
ancorati ad un sistema finanziario occidentale che ha difficoltà a
sopravvivere, sulle opportunità, anche economiche, offerte dalle tumultuose
economie dei BRICS.
Ma anche qui una rivoluzione
culturale sta per rivelarsi indispensabile. Per decenni abbiamo costruito la
formazione dei giovani sull’Inglese, sulle teorie di management americane, su
tecniche di comunicazione mutuate da Hollywood, senza che nessuno sappia
nemmeno dove si trovano, per esempio, il Guandong o il Tamil Nadu, dei veri e
propri mega-stati che hanno un peso determinante sullo sviluppo della cultura e
dell’economia mondiale.
Ma i nostri studenti non sanno nulla
neppure della storia dell’Impero Ottomano, né sulla cultura russa o polacca,
tutte cose che dovrebbero costituire una parte integrante di una formazione
europea.
Così stando le cose, è più che
normale che le nostre imprese non siano in grado di cogliere in modo pieno
tutte le opportunità economiche del momento.
12. Un concetto olistico di multiculturalismo
Quanto sopra costituisce, per così
dire, un’introduzione a quello che è, per me, il nuovo concetto di
multiculturalismo, adatto ai tempi che ci attendono.
Multiculturalismo significa vedere in
modo quanto più obiettivo possibile, coll’aiuto di uno studio aperto ed
approfondito e con l’aiuto dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, le
infinite sfaccettature della realtà del mondo di oggi, che non si lasciano
incasellare in nessuna formula semplicistica: né cristianesimo contro
miscredenza, né progresso contro arretratezza, né Occidente contro Oriente, né
ricchi contro poveri, eccetera.
Nel mondo vi sono, oggi, Paesi
sovraffollati e Paesi pressoché deserti, Paesi opulenti e Paesi devastati dalla
fame e dalle epidemie, Paesi in tumultuoso sviluppo ed altri in totale
decadenza.Si confrontano stili di vita, culture, ideologie, diversissime: da
quello, rarissimo ma ancora presente, dei cacciatori-raccoglitori, a quello,
anch’esso ristretto ma in espansione, dei ricercatori di frontiera;
dall’ideologia della conservazione della tradizione a quella del progresso
permanente; dai cultori della liberaldemocrazia occidentale a quelli di uno
Stato-partito.
Capire questo mondo significa
ottimizzare tutte le opportunità di conoscenza, in modo da ampliare
quest’ultima quanto più possibile, seppur compatibilmente con il carattere
limitato e differenziato dell’umanità.
Occorre sfruttare la curiosità dei
giovani, lo zelo degli specialisti, il coraggio dei pionieri, la potenza dei
mezzi di comunicazione, le risorse pubbliche e private.Portatori di questa
rinnovata cultura pluricentrica saranno, sicuramente, organismi pubblici, come,
per esempio, gli Istituti Confucio o Russkij Mir, ma anche istituzioni
indipendenti, come le Chiese e le Università, e, soprattutto, gli intellettuali
indipendenti ed i lavoratori migranti, che costituiscono un’enorme armata in
continuo movimento, che portano con sé il patrimonio vivo delle loro culture.
Così, i Cinesi d’oltremare portano la loro cultura in tutto il mondo, gli
immigrati medio-orientali in Europa, i sudamericani in America.
L’Europa, meta di flussi di
migrazione diversissimi all’interno dell’Europa stessa, dal Medio Oriente,
dalle ex colonie e dalle ex Repubbliche ex-sovietiche, dispone, con ciò, di uno
strumento unico di internazionalizzazione, che è lungi dall’essere stato
adeguatamente e completamente sfruttato.
Gli euro-islamici, euro-cinesi, euro-indiani,
eccetera, possono e debbono divenire un indispensabile ponte fra l’Europa ed il
resto del mondo, per una migliore comprensione reciproca, ma anche per favorire
al massimo le opportunità economiche.Ma ciò presuppone di abbandonare su tutti
i piani i vecchi stereotipi: immigrati poveri ed ignoranti che devono
integrarsi, abbandonando la loro cultura; popoli extraeuropei arretrati che
devono essere salvati e indottrinati; cultura occidentale che deve costituire
la base, su cui le altre si devono allineare.
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