martedì 29 novembre 2011

SENZA UNA SCELTA IDENTITARIA FORTE, NON C'E'SALVEZZA PER L'EUROPA


No Exit from Crisis Without European Identity
Pas de sortie de la crise sans identité européenne
Kein Ausgang aus der Krise ohne europaeischer Identitaet

L' opinione pubblica europea, cloroformizzata dall'eccesso di informazione, si risveglia, di tanto in tanto, dal suo torpore quando è in gioco il portafoglio.

E' così che si è manifestato un certo qual interesse per la crisi europea e la creazione dei "Governi tecnici". Tuttavia, a noi sembra che l'invadenza del circo mediatico  sia voluta anche in questo caso proprio per offuscare la chiarezza dei termini della questione.

Che le Comunità Europee siano state volute "senza un anima" per poter comunque realizzare qualcosa  dopo lo sfacelo della 2a Guerra Mondiale, era chiarissimo a tutti, ivi compresi i Padri Fondatori; che l'Euro sia stato costruito per costringere gli Europei a darsi una politica comune, è altrettanto noto.

Inutile, perciò, lamentarsene.

Ora, però, siamo venuti al dunque.

L'Europa senz'anima è sotto gli occhi di tutti: genera  mancanza di senso, corruzione, mancanza di entusiasmo. Lo squilibrio  dell' Euro è inevitabile, con una Germania fanatica della stabilità e tutto il resto d'Europa sempre più fagociato dall' economia ipercreditizia americocentrica.

Finalmente, si è capito che ci vuole almeno una politica finanziaria comune. E'difficile però comprendere come questa potrebbe funzionare senza una politica economica comune, che, infatti, almeno alcuni invocano.Quello che pochi capiscono, è che una politica economica comune non è possibile senza una politica generale comune, e quest'ultima senza un' identità comune.

La politica economica americana, quella della crescita infinita, del leverage finanziario, dell'egemonia delle corporations, del "fallout tecnologico" dal militare al civile, sta e cade con il ruolo messianico dell'America quale realizzatrice del paradiso in terra grazie alle "robuste virtù" puritane e all'esportazione della democrazia (la "Casa sulla collina"). Le diverse declinazioni, più militaristica o più ecologica, sono variazioni all' unico tema, dal quale non si può uscire: "love it or leave it".

La politica economica cinese, dal "grande balzo in avanti" alle "Quattro Modernizzazioni", dalla svalutazione dello Yuan al privilegiamento dei consumi interni, stanno e cadono con la massima confuciana: "se il Zhong Guo (il Regno) è in ordine, il Tian Xia (l'Ecumene) è in ordine", in chiaro: la Cina è una parte così essenziale della comunità mondiale, che quest'ultima si può reggere solo   sulla stabilità e sulla prosperità della Cina. Un'altra massima, pronunziata anch'essa da Confucio al tempo degli Stati Combattenti, è stata manoscritta dal fondatore del KuoMinTang, SunYatSen, su un foglio oggi esposto nel suo mausoleo, e costituisce il punto di riferimento anche dei leaders della Cina Popolare: "Tian Xia Wei Gong" ("l'Ecumene riguarda tutti"). Anche qui, le scelte possono essere più integrazioniste, come avrebbero voluto i Taiping, o più isolazioniste, come cercavano di imporre le Guardie Rosse, ma si trattava sempre di variazioni sull' unico tema del Tian Xia (che non a caso è al centro del film "Hero" (Ying Xong) di ZhangYiMou.

L'Europa non può decidere nulla di sostanziale perchè si rifiuta di individuare il suo "Leitmotiv", che le permetterebbe di condurre, al proprio interno, un dibattito sensato. Anche noi abbiamo una massima lasciataci dai Padri Fondatori: "RICOMINCIARE DALLA CULTURA".

Contrariamente dall'America e dalla Cina, la nostra cultura non è, come si dice oggi, "essenzialistica", cioè fondata su un "ordine del cosmo"(Li), "eguale", come diceva Bush, "in ogni tempo e in ogni luogo". Essa è una ricerca, che ci accomuna per esempio all' Islam, che afferma, con Maometto: "utlub il-haqqan, wahwa fis-Sin" (cerca la verità, foss'anche in Cina). E, tuttavia, anche questa ricerca ci impone dei vincoli: il dialogo socratico, il rispetto perfin suicida per le leggi non scritte, la "parrhesia", cioè la libertà di parola fino al martirio, l'"aletheia", cioè il non nascondimento, e, quindi, l'angoscia esistenziale, da cui nasce la vita autentica.

Questa "ricerca" ha anche dei risvolti politici, anche se non così evidenti: il rispetto e la difesa delle identità e delle differenze, nostre e degli altri, il che, nol mondo globalizzato, significa innanzitutto controllo della tecnica e dell' economia e ricerca di nuovi meccanismi di partecipazione,  capaci di non fare sparire la persona, né sotto un unico apparato mondiale,  informatico-burocratico, né sotto i diktat  di un "pensiero unico". L'Europa non è necessaria tanto per frenare (forse inutilmente) lo spostamento della ricchezza a Oriente, quanto per difendere questo particolare modo d'essere contro la morsa di colossi che sono talmente omogenei all'idea delle "macchine intelligenti", da adattarsi di buon grado al predominio di queste ultime.

Quindi, l' Europa è necessaria innanzitutto come un insostituibile "hub" della cultura libera, poi come base territoriale e tecnico-economica per  una nuova statualità, capace di essere parte attiva nelle grandi decisioni del mondo, non già la vittima designata di pericolosi esperimenti altrui.

Quindi, l'interesse per l'economia c'è, ma solo come conseguenza dell' esigenza di costruire questo spazio di libertà. Se sprechiamo le nostre vite a inseguire irrealistiche chimere di ricchezza e di benessere, a pararci dai turbini della crisi econiomica endemica, a lottare senza risultati contro gli slogan del sistema mediatico globalizzato, non riusciremo mai a costruire delle vite degne di essere vissute. 

Il legittimo desiderio "impolitico" di vivere secondo le nostre inclinazioni non può, a nostro avviso, realizzarsi senza una difesa "politica" continua della nostra "identità e differenza": Questa difesa è l'"Identità Europea". Solo essa ci permette di concepire uno Stato Europeo impegnato nel mondo ma aperto al pluralismo, efficiente e prospero, ma non ossessionato, né ossessivo, e un'economia che sfugga agli opposti estremismi della"religione del PIL " e della "mitologia della stabilità".

Per realizzare questo equilibrio, l'economia europea dev'essere forte, non condizionata, né dalla speculazione, né dal Fondo Monetario Internazionale. Ma questa forza non può essere, ancora e sempre,se non  un fatto culturale. L'Europa ha parecchie centinaia di milioni di abitanti, e un PIL superiore a quelli degli Stati Uniti e della Cina. Non c'è alcuna ragione per cui la sua economia debba crollare, se gli Europei si concepiranno come un'unica identità, anziché come tante tribù l'una contro l'altra armata.

Se l'Europa ha un suo modello di società equilibrata, deve avere anche una sua politica economica aliena da dogmi, capace di "cavalcare", con gli strumenti di volta in volta più appropriati,  tanto le fasi di espansione che quelle di crisi, senza repentibni e distruttivi "salti" per i suoi cittadini. Quindi, va bene la stabilità, ma fin che questa sia possibile; va bene l'incentivazione all'economia, ma solo se necessaria.La scelta fra le varie opzioni ha un contenuto tecnico, ma innanzitutto una valenza culturale.

Quindi, un vertice (Parlamento, Consiglio, Commissione, Presidenza) ben conscio dell' Identità Europea, che programmi con il dovuuto anticipo, ma abbia anche tutti i poteri per intervenire tempestivamente.

Quindi, una Banca Centrale che non sia la tenutaria di una mitica politica monetaria fine a se stessa, ma esprima, entro una filosofia generale elastica e condivisa, la visione del vertice politico, che a sua volta deve rispettare l'Identità Europea.






























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