martedì 29 novembre 2011

RICOMINCIARE DALLA CULTURA


A  Contribution of Italy to the Restarting of European Integration
Une contribution de l'Italie à la relance de l' intégration européenne
Ein Beitrag Europas zur Belebung der europaeischen Integration


I.     RUOLO DELLA CULTURA IN EUROPA

Il motivo per cui, in concomitanza con l’attuale crisi finanziaria, è facile il gioco della demagogia di fare della cultura un capro espiatorio,  è che, come mi insegnano la mie diverse  esperienze, di funzionario europeo, di manager di multinazionali, di editore, di promotore culturale, di scrittore, di imprenditore creativo e di consulente aziendale, tanto le produzioni culturali, quanto le politiche per l’innovazione, quanto, infine,  la comunicazione sull’ Europa, sono spesso percepite dai cittadini con fastidio, in quanto si dà per lo più per scontato ch’esse siano forzate, autoreferenziali, politicizzate, acritiche e non spontanee.

In realtà, la crisi dell’impegno nella cosa pubblica  e la perdita della capacità auratica della cultura viaggiano in parallelo, perché non vi sono più temi mobilitanti, e, a quelli che in realtà ci sarebbero (come l’Europa), la cultura e la politica non sono capaci di dare un contenuto soddisfacente, ché, anzi, si presenta, impropriamente, l’Europa non già come una miniera di stimoli ideali, bensì come un gendarme, che avrebbe come compito istituzionale quello di imporre ai cittadini i desiderata del mondo finanziario a scapito delle esigenze della natura, della cultura, dei lavoratori e delle famiglie.

La politica non interessa più perché i cittadini sentono che la loro possibilità di influenzare l’andamento della storia è limitatissima, mentre le cose che contano sono già state decise da poteri anonimi: eserciti, finanza internazionale, grandi concentrazioni mediatiche. Solo mettendo l’ Europa al centro della politica si potrebbe entrare veramente nel merito delle scelte di civiltà e di società, delle decisioni fondamentali sulla tecnica e sulla natura, sulla pace e sulla guerra, coinvolgendo, così,  anche emotivamente, i cittadini in un ruolo attivo nelle grandi scelte.

La cultura non appassiona più quando si presenta come tecnicistica, intellettualistica, non legata al vissuto dei cittadini, ed essa è così perché è standardizzata, non radicata in un concreto ambito culturale. Ambito che può essere senz’altro anche la città o la nazione, ma, in un’epoca di globalizzazione, manca di spessore se non ha una dimensione europea. Cioè se non parteggia in un modo concreto nel dibattito sull’avvenire del mondo.

Infine, il dibattito politico sulla cultura è tutto incentrato su una quota modestissima delle attività culturali, quelle visive e,  performative, ignorando più o meno i collegamenti con la scuola, l’editoria, la ricertca scientifica,i media,le professioni,l’informatica, il turismo, ecc..


Quanto sopra non è contraddetto dall’enorme sviluppo della cultura come fenomeno sociologico, che ha le sue ragion d’essere nell’accrescimento della scolarizzazione, nella mobilità sociale, nell’aumento del tempo libero. Si tratta  di una fondamentale contraddizione: mentre si produce molta più cultura, l’atteggiamento degli addetti ai lavori non è di responsabilità civile, né neppure carismatico, bensì essenzialmente funzionale e mercatistico. Ad esso, corrisponde,  da parte dei cittadini,un atteggiamento di “flaneurs” svogliati e passivi, e di domanda poco solvibile  dei prodotti culturali.

Occorre una vera e propria rivoluzione culturale, che allarghi l’idea di Europa, da quella di un progetto economico e giuridico contingente, a quella di uno spazio, naturale e storico, di ampio respiro, che possiede infinite e sconosciute risorse di cultura, di pensiero, di scienza, di tecnologia, di arte, di paesaggi, di stili di vita, di culture sociali, nel quale siamo tutti, volenti o nolenti, inseriti: uno spazio di civiltà. Al quale appartengono il Nord e il Mediterraneo, l’Atlantico e il Mar Nero, la classicità e il Cristianesimo, l’Illuminismo e il Romanticismo, Cartesio e Wittgenstein, la tecnologia e il lavoro.

Se non riesce a far percepire questo mondo europeo condiviso di cultura, non ci sarà mai una vera Europa. E, viceversa, non ci sarà mai interesse per la cultura finché non dimostreremo, attraverso un progetto concreto, che essa può ancora incidere sul mondo, attraverso uno strumento efficace: l’Europa.

E, infine, non ci sarà mai una condivisione politica dei cittadini, se non riusciremo a farli partecipare, attraverso una cultura europea e uno Stato europeo, alle grandi scelte sul futuro del mondo.

Questo è, a nostro avviso, il primo compito di una politica culturale europea, e, poiché siamo tutti in Europa, di una politica culturale tout court, oltre che della politica.

1.    Il “Governo per l’Europa”

Per questi motivi, affinché il “Governo per l’Europa” non resti uno “slogan” retorico, il Governo italiano dovrà, a nostro avviso, farsi carico, oltre che di problemi economici, anche della rivitalizzazione, all’interno e all’esterno, del mondo culturale, nella chiave europea che abbiamo sopra enunziato.

L’Italia è uno dei maggiori poli di cultura nel mondo. Un ineguagliabile patrimonio artistico e monumentale antico, medievale e moderno; una tradizione di creatori di rilevanza permanente e mondiale, da Pitagora a Virgilio, da Orazio a Dante, da Machiavelli a Gramsci, da Verdi a Puccini, ecc…; una creatività sociale e imprenditoriale inesauribile: dall’invenzione della “lex mercatoria” a quella dei grandi istituti sociali religiosi, dall’introduzione in Europa del fordismo allo Statuto dei Lavoratori; dal fama mondiale dell’artigianato all’eccellenza nel turismo culturale, emozionale  e religioso.

Non è neppure vero che l’Italia non sia più un paese colto. Certo, la cultura non è ora, e non è mai stata, da noi, un fenomeno di massa. E, tuttavia, ancor oggi vi è un diffuso interesse per tutte le manifestazioni culturali.Per questo, si può e si devono migliorare le cose che non vanno, in tutti i campi della vita culturale, con un approccio prima qualitativo che non quantitativo.

L’Unione Europea trae le sue origini storiche nella tradizione dell’Impero Romano, delle Chiese Cristiane e del Sacro Romano Impero, che, tutti, hanno avuto come centro Roma. I trattati istitutivi delle Comunità Europee sono stati firmati a Roma. Per questi motivi, non è neppure pensabile che l’Italia possa essere esclusa dal “nocciolo duro” dell’Unione Europea. Neppure si può accettare che, per contingenti questioni finanziarie, essa venga posta sul banco degli imputati. L’Italia deve dimostrare, non soltanto con adeguate manovre finanziarie, ma anche con la propria capacità di leadership in campo culturale e politico, che essa continua ad essere all’avanguardia dell’Europa.

L’Italia deve ridivenire, come nell’ Antichità, nel Medio Evo, nel Rinascimento e nel Risorgimento, il laboratorio culturale dove tutti gli Europei vorrebbero venire,  per vivere nella cultura e partecipare,attraverso  la cultura, al rinnovamento dell’ Europa.



2.    La situazione attuale

Il Governo italiano può e deve dimostrare di essere all’altezza di questo compito, facendosi promotore del rilancio del processo di integrazione europea. Ma ciò non potrà avvenire solamente , come nell’esperienza, fallimentare, della Costituzione Europea, attraverso la “messa in bella” degli stessi concetti giuridici ed economici di sempre, bensì attraverso il rilancio della creatività culturale degli Italiani e degli Europei, che ribalti l’attuale situazione di debolezza, valorizzando tutti gli aspetti “culturali” delle società italiana e europea.

L’aspetto creativo della cultura non richiede molte risorse finanziarie, bensì intellettive e morali, e, soprattutto, un clima di apertura delle porte dell’ufficialità alla cultura prodotta dai cittadini fuori dei circuiti e dei canoni ufficiali.

Siamo già un prodotto della “Società della conoscenza”, la quale ha creato, in vasti gruppi di cittadini, enormi aspettative, tuttora insoddisfatte, di partecipazione culturale attiva. Ma, contrariamente a quanto affermato nella Strategia “Europa 2020”, questo è solo il punto di partenza, non già l’obiettivo a cui tendere. A nostro avviso, in controtendenza rispetto alla “società delle aspettative decrescenti”, le società attuali vanno strutturandosi nel senso di incrementare le loro aspettative culturali. Non è neppure vero che i cittadini non vogliano un impegno culturale dello Stato, però spesso essi non capiscono il perché delle scelte che, sulla cultura, vengono fatte a livello politico. Essi vorrebbero, probabilmente, che venissero sostenute soprattutto le attività culturali veramente prioritarie, e quelle che essi “sentono” più come proprie.

Occorre inoltre chiarire che, a questa “Domanda di cultura” da parte dei cittadini non è solo un’ obsoleta aspettativa sociale, ma corrisponde soprattutto alla sopra accennata  obiettiva urgenza di poter disporre di una cultura rinnovata e condivisa  come strumento per migliorare la società.

3.         Urgenza della nuova cultura

Che la cultura rappresenti qualcosa di ben più vasto che non uno sterile e passivo passatempo  è dimostrato proprio dal dibattito, attualmente in corso, a proposito della politica culturale del Comune di Milano, in cui si è giustamente affermato che non ha più senso parlare, ad esempio, di arte contemporanea come qualcosa di isolato dalla cultura contemporanea.

Innanzitutto, la crisi in corso, mondiale prima che europea e italiana, sta dimostrando l’insufficienza delle attuali culture economiche (e, prima ancora, politiche e filosofiche) a rendere conto delle tendenze ed esigenze delle società del mondo contemporaneo. Non si può fingere che Cernobyl e Fukushima, Lehman Brothers e la crisi dell’Euro, siano solo trascurabili incidenti di percorso. La “distruzione creativa”, insita nei processi di globalizzazione, non è oggi adeguatamente bilanciata, né da un adeguato sforzo di ricostituzione del capitale sociale, né da un discorso pubblico aperto a tutti e vicino alle cose. Perciò, la cultura è oggi una risorsa indispensabile innanzitutto perché è la sola a permettere di rivalutare criticamente e di migliorare questa politica e questa economia, con un linguaggio condiviso con i cittadini.

Una nuova cultura adeguatamente rifocalizzata viene oggi ricercata spasmodicamente in tutto il mondo perfino come supporto alla competitività degli Stati e delle imprese. Non si entra qui nella diatriba, in corso anche a livello mondiale, fra i sostenitori della cultura tecnica e di  quella umanistica. Come persona che ha trascorso più di trent’anni in una decina di imprese europee, posso affermare che entrambe queste culture sono necessarie, tanto per il legame sociale, quanto per lo sviluppo economico, sia al livello della formazione dei quadri, sia, ed ancor più, nell’orientamento delle scelte strategiche verso obiettivi ambiziosi dal punto di vista tecnico, economico e anche politico. Le due culture dovranno sempre più integrarsi e sostenersi a vicenda.

La cultura tecnica dovrà fornire a cittadini e alle classi dirigenti i necessari strumenti per inserirsi con un ruolo determinante nelle attuali dialettiche mondiali,economiche, ma anche politiche. La cultura umanistica servirà per poter dialogare su un piede di parità con tutte le culture del mondo e per individuarne indirizzi umanamente accettabili per gli sviluppi tecnologici.

E dunque, quand’anche l’importo totale della “torta” dell’economia europea dovesse ridursi in modo permanente, vi saranno sempre più pressioni, e ragioni obiettive, per dedicare alla cultura, intesa nel senso globale di cui sopra, una fetta crescente della “torta” stessa, anche se con l’urgenza di fare di più con meno risorse. Ma, per poter risolvere quest’equazione, non bastano abili manovre ragionieristiche, né sofisticate lottizzazioni politiche, né tirare semplicemente la cinghia. Occorre soprattutto una rinnovata concezione della cultura, più focalizzata sull’impegno personale e sui contenuti che non sulla burocrazia, sul professionalismo e sulla mediatizzazione.


4.         La questione delle risorse

Una delle debolezze principali dei sostenitori della cultura di fronte alla politica dei “tagli” indiscriminati consiste nella difficoltà di chiarire che la cultura comprende in sé e serve a mobilitare, direttamente o indirettamente,  una gran parte di attività sociali che, nella presente società post-industriale rappresentano addirittura la maggior parte dell’ occupazione e del reddito: dalla politica all’artigianato, dall’ economia alle produzioni tipiche, dall’alta tecnologia al turismo, dalle industrie innovative alla scuola, dai media alle professioni, dall’ informatica alla tutela del territorio.

La maggior parte dei cittadini europei e italiani (manager o ristoratori, studiosi o artigiani, imprenditori creativi o insegnanti, artisti o consulenti aziendali, ricercatori o liberi professionisti, giornalisti o informatici) lavora in questi settori, e fa della cultura il proprio principale strumento di lavoro e, spesso, anche il principale output della propria attività.

Perciò, la sinergia con altre attività sociali non può essere ingenuamente ridotta, come giustamente osservato dall’ assessore Boeri,  al mecenatismo, ignorando invece la sinergia naturale e inestricabile fra l’investimento in cultura di tutte queste figure professionali, come gli imprenditori culturali, i professionisti del terziario avanzato, i ricercatori, e le chance di successo delle loro attività, che fanno sì che la cultura possa sempre contare su queste forze sociali.

Il problema prioritario non è, poi, la scarsezza delle risorse, bensì la mancanza di buon senso nell’uso che si fa delle risorse esistenti, con squilibri enormi e repentini, e la conseguente impossibilità, per i cittadini prima ancora che per le imprese e per gli Stati, di progettare in modo sensato le loro vite - non solamente economiche -, le quali non devono certo essere spese solamente nel difendersi dalle continue oscillazioni e diktat dell’economia. Quindi, la mancanza di una vera “Cultura della stabilità”, che dev’essere affermata prima negli animi e nelle menti che non nei conti pubblici.


5.    I compiti da affrontare

Un solo esempio di compiti urgenti e disattesi. Oggi tutti, a cominciare dall’America, dalla Cina e dalla Russia, esigono imperativamente dall’Europa il consolidamento del ruolo politico dell’Europa, che si è ignorato per decenni, come indispensabile per salvare il sistema economico mondiale. Tuttavia, come dimostrano le interminabili “querelles” nel cuore stesso, franco-tedesco, dell’ Europa, non è pensabile superare le attuali divergenze, fra nazioni e scuole di pensiero, sulla “governance”, senza un lavoro a tutto tondo sull’identità culturale del Continente. Tale identità è, a nostro avviso, persuasiva almeno altrettanto quanto quelle americana e cinese, sulle quali si fondano, tra l’altro, anche le rispettive politiche economiche di quelle aree, e i sacrifici che da sempre hanno richiesto e richiedono ai loro cittadini. Tuttavia, essa è stata trascurata in Europa, quasi ch’essa fosse un lusso intellettualistico, anche se già i Padri Fondatori avevano ammonito che, quando la costruzione europea avesse dovuto incagliarsi, si sarebbe dovuti ripartire dalla cultura.

Quindi: rinascita della cultura europea, per proporre ai cittadini un modello di società con più Europa e per sostenere un ceto politico creativo, che realizzi finalmente un Governo europeo veramente focalizzato sull’Europa, e quindi capace di por fine al caos economico e sociale oggi imperante.

A causa della scarsa autoriflessione delle nostre società, nonostante il risveglio degli ultimi decenni, solo una parte infinitesima delle risorse europee, ma anche italiane, sono state fino ad ora adeguatamente valorizzate. Basti pensare che l’Europa ha il maggiore PIL, le maggiori risorse finanziarie, la maggior produzione culturale, ma ha il 30% del suo debito in mano ad investitori stranieri, e arriva a pregare il mondo intero di salvare l’Euro, e perfino ad avere un saldo negativo dell’interscambio culturale cogli USA.

Si impone una valutazione globale e corale degli scenari, che includa l’economia internazionale, il ruolo dell’industria, del commercio e dell’agricoltura, le politiche dei soggetti pubblici, le culture e le disponibilità delle imprese. Solo alla fine tutto ciò potrà tradursi, a nostro avviso, in progetti complessivi per l’Europa. Questo passaggio è un compito prioritario della cultura, che deve essere di stimolo alla politica. Solo da una base culturale condivisa si potrebbe rilanciare rapidamente un dialogo senza pregiudizi sul governo dell’Europa, interrottosi ingloriosamente con la bocciatura della Costituzione Europea.

E’infatti impensabile che i Tedeschi e altri Paesi nordici accettino di annacquare radicalmente la loro - vincente - cultura della stabilità per venire incontro alle difficoltà dell’Europa Meridionale, o che gli Slovacchi rischino le loro poche e sudate riserve per i “ricchi” Italiani, o che i Greci accettino gravosissimi sacrifici per salvare l’Euro, se non vi è la coscienza profonda di un comune spazio culturale, e, quindi, di un comune destino. In questa consapevolezza, si rivelerebbe l’assurdità della puerile visione secondo cui il problema si ridurrebbe al fatto che i mediterranei spendaccioni vorrebbero fare pagare i loro debiti ai Tedeschi intraprendenti e risparmiatori.

Coscienza comune che non ci sarà però mai finché il “mainstream” della cultura e dei media europei ignorerà aspetti fondamentali per gran parte d’Europa, che sono essenziali nell’ identità di molti popoli: per esempio, le antiche civiltà danubiane e dell ‘Europa Centrale e Orientale,  islamiche e ebraiche in Europa; gli antichi progetti di unificazione europea; gli stessi rudimenti della filologia germanica o slava. Al punto che l’Europeo medio conosce molto meglio Manhattan che non Berlino, Varsavia o Istanbul; la Guerra del Vietnam che non la storia di Solidarnosc. La stessa idea di libertà, che dovrebbe essere al centro dell’identità europea, viene rappresentata in modo così retorico da trasformarsi in omologazione, conformismo e arroganza. Perché mai il cittadino dovrebbe sacrificarsi per questa Europa?

Quindi, innanzitutto, incremento dei contenuti europei nell’insegnamento delle lingue, della storia, dell’arte, delle religioni, dell’economia e della geografia, e il sostegno a quelle produzioni mediatiche che contribuiscono alla conoscenza reciproca fra gli Europei. L’attuale spinta all’incremento del contenuto tecnico dell’educazione non è di ostacolo, bensì di stimolo, a quest’accresciuta offerta culturale. Un ottimo esempio di ciò è costituito dalla Media Literacy caldeggiata dall’ Unione Europea, che può divenire un eccezionale strumento di diffusione della cultura europea “tout court”.


II.  UN PROGRAMMA ITALIANO DI CULTURA EUROPEA PER IL RILANCIO DELL’UNIONE.

1.    Le priorità

Quali dovrebbero essere, allora, le priorità?

a)      occorre sostenere (per esempio con la creazione di un’Accademia Europea) lo studio e il dibattito a tutto tondo sulle sfide in gioco a livello mondiale, con una visione globale della cultura, che comprenda tutti i settori, dalla cultura “alta”, alla libera creatività dei cittadini;dalla cultura tecnica a quella umanistica; dalla cultura occidentale contemporanea a quelle dell’Asia, dell’Africa e del Sudamerica; da quella scientifica a quella filosofico-estetica; da quella religiosa a quelle del lavoro; da quella politica a quella del management;

b)      quindi, passare da una cultura da “flaneurs” disincantati , a una cultura di cittadini impegnati, i quali ,come già a suo tempo nelle culture classiche, nel loro fare filosofia o arte, economia o letteratura, musica, ricerca scientifica o management, tengano sempre presente la loro responsabilità di contribuire al chiarimento delle grandi questioni della società (che oggi sono questioni europee e anche mondiali), e lo facciano, quando necessario, anche con il sacrificio personale;

c)      nel fare ciò, non è, oggi, il momento per i dogmi: si incontrano e si scontrano popoli nuovi e diversi, nuove culture, nuove generazioni. Non vi è nessuna ragione per privilegiare il nuovo rispetto a ciò che è consolidato, ma neppure viceversa, dichiarando “non negoziabile” l’insieme dell’esistente;

d)      poi, la politica, lungi dall’arroccarsi nella pretesa di essere la sola depositaria delle culture politiche e sociali, dovrà ora aprirsi al dibattito con la cultura e con la tecnica, sui fini della politica e sul contesto auspicabile di un nuovo sistema mondiale, su una nuova Europa che dovrà occuparsi anche, e soprattutto, di scuola, di nuove tecnologie, di media, di lavoro, di politiche industriali, di politica estera e di difesa;

e)      infine, anche la cultura ufficiale dovrà uscire dal corporativismo, dal tecnicismo e dal mercatismo, e avere nuovamente il coraggio di impegnarsi nel dibattito sulla res publica, e di confrontarsi con i non addetti ai lavori, e, in generale, con i cittadini:”La democrazia partecipativa, i blog, i siti web, Facebook, Twitter, impongono che le scelte siano passate al vaglio di ampie discussioni, in Rete e non solo lì”;

f)       per concludere, alla luce delle risposte ai punti precedenti, la politica dovrà compiere un’opera sensata e trasparente di programmazione delle risorse per la cultura, la scuola, la ricerca scientifica, il terziario avanzato, il territorio, il turismo, a livello europeo, nazionale, locale, ripartendo i compiti fra pubblico, privato e terzo settore, in modo da adeguarsi alle risultanze di quel grande dibattito.

Tutto ciò, date le urgenze, non può avvenire in sequenza, bensì dev’essere fatto in parallelo.


2.    Spunti di programma

Riteniamo che si possa fin d’ora immaginare che un vero programma culturale dello Stato Italiano debba  comprendere:

-        una campagna per la piena attuazione  dei Titoli XII e XIII del Trattato di Lisbona, in materia di educazione, formazione e cultura e, in particolare, di media, scuola, ricerca scientifica, promozione internazionale del turismo europeo;

-     la razionalizzazione degli strumenti europei in materia culturale, con l’alleggerimento della burocrazia e il coordinamento con gli strumenti in materia di formazione, di ricerca scientifica, con le politiche regionali e strutturali, soprattutto nelle aree delle tecnologie per i media, della valorizzazione del territorio, della mobilità intelligente, dell’intelligenza artificiale, dello spazio e della cibernetica;

-        il lancio di nuovi progetti europei come Galileo, che è partito proprio adesso, verso i quali canalizzare gli sforzi tecnologici anche delle imprese minori, che solo in tal modo possono essere elevate a livello di avanguardia;

-        la sponsorizzazione della nascita (possibilmente in Italia), e sfruttando anche risorse esistenti:

          -   di un’Accademia d’ Europa che, al di là della formazione superiore, costituisca uno spazio di incontro ai massimi livelli fra studiosi, dirigenti e cittadini sui temi della cultura - umanistica, sociale, culturale e artistica - europea;

          -   di un Museo Virtuale dell’Europa, capace di far conoscere a tutti i cittadini europei, mettendo in rete il patrimonio culturale italiano come punto di partenza per comprendere l’infinita ricchezza e diversità della storia e della cultura europea;

-        il rafforzamento, nelle scuole di ogni ordine e grado, dei contenuti europei di tutte le materie di insegnamento, attraverso progetti concreti,eventualmente connessi a “Media Literacy” come “Introduzione al multiculturalismo”, “Storia della cultura europea”;”L’Europa e le sue Regioni” ;

-        il rafforzamento del coordinamento dei curricula, in modo da favorire al massimo la mobilità intraeuropea degli studenti e dei laureati;

-        l’aggiornamento dei contenuti degli insegnamenti tecnici e umanistici, per farvi rientrare anche tutte quelle nuove materie senza le quali non è oggi possibile, né una seria riflessione culturale, né una sana strategia d’impresa, né l’accrescimento della produttività, né la capacità di promozione internazionale: informatica, linguistica, in particolare delle lingue europee e orientali, neuroscienze e bioetica; diritto internazionale comparato; cibernetica; culture comparate; risparmio energetico, eccetera;

-      l’applicazione delle migliori pratiche di formazione dei Paesi europei “vincenti”, come per esempio il numero chiuso, i prestiti d’onore e l’uso massiccio dell’apprendistato, secondo il modello tedesco;

-      il coinvolgimento permanente dei mondi della cultura, della scuola, della ricerca scientifica, delle industrie creative e di alta tecnologia, del terziario avanzato, del turismo, in “Stati Generali Permanenti della Cultura per l’ Europa”,


Questi miglioramenti hanno carattere qualitativo, non quantitativo. Di conseguenza, essi non richiedono risorse aggiuntive, ma permettono grandi razionalizzazioni, soprattutto se attuati insieme agli altri Europei e battendosi per lo snellimento della burocrazia per fare fronte alla crisi.

Altro strumento per fare fronte alla crisi, il fare un maggiore ricorso alla creatività dei cittadini e delle imprese, che non avranno difficoltà ad aprire i cordoni della borsa se la cultura da loro autoprodotta sarà trattata su un piede di parità con quella prodotta da istituzioni ufficiali, e in modo tale da aprire anche ad essi le porte della visibilità e dei mercati culturali.





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