Une contribution de l'Italie à la relance de l' intégration européenne
Ein Beitrag Europas zur Belebung der europaeischen Integration
I. RUOLO DELLA CULTURA IN EUROPA
Il motivo per cui, in concomitanza con l’attuale crisi
finanziaria, è facile il gioco della demagogia di fare della cultura un capro
espiatorio, è che, come mi insegnano la
mie diverse esperienze, di funzionario
europeo, di manager di multinazionali, di editore, di promotore culturale, di
scrittore, di imprenditore creativo e di consulente aziendale, tanto le
produzioni culturali, quanto le politiche per l’innovazione, quanto, infine, la comunicazione sull’ Europa, sono spesso
percepite dai cittadini con fastidio, in quanto si dà per lo più per scontato
ch’esse siano forzate, autoreferenziali, politicizzate, acritiche e non
spontanee.
In realtà, la crisi dell’impegno nella cosa pubblica e la perdita della capacità auratica della
cultura viaggiano in parallelo, perché non vi sono più temi mobilitanti, e, a
quelli che in realtà ci sarebbero (come l’Europa), la cultura e la politica non
sono capaci di dare un contenuto soddisfacente, ché, anzi, si presenta,
impropriamente, l’Europa non già come una miniera di stimoli ideali, bensì come
un gendarme, che avrebbe come compito istituzionale quello di imporre ai
cittadini i desiderata del mondo finanziario a scapito delle esigenze della
natura, della cultura, dei lavoratori e delle famiglie.
La politica non interessa più perché i cittadini
sentono che la loro possibilità di influenzare l’andamento della storia è
limitatissima, mentre le cose che contano sono già state decise da poteri
anonimi: eserciti, finanza internazionale, grandi concentrazioni mediatiche. Solo
mettendo l’ Europa al centro della politica si potrebbe entrare veramente nel
merito delle scelte di civiltà e di società, delle decisioni fondamentali sulla
tecnica e sulla natura, sulla pace e sulla guerra, coinvolgendo, così, anche emotivamente, i cittadini in un ruolo
attivo nelle grandi scelte.
La cultura non appassiona più quando si presenta come tecnicistica,
intellettualistica, non legata al vissuto dei cittadini, ed essa è così perché
è standardizzata, non radicata in un concreto ambito culturale. Ambito che può
essere senz’altro anche la città o la nazione, ma, in un’epoca di
globalizzazione, manca di spessore se non ha una dimensione europea. Cioè se
non parteggia in un modo concreto nel dibattito sull’avvenire del mondo.
Infine, il dibattito politico sulla cultura è tutto
incentrato su una quota modestissima delle attività culturali, quelle visive e,
performative, ignorando più o meno i
collegamenti con la scuola, l’editoria, la ricertca scientifica,i media,le
professioni,l’informatica, il turismo, ecc..
Quanto sopra non è contraddetto dall’enorme sviluppo
della cultura come fenomeno sociologico, che ha le sue ragion d’essere
nell’accrescimento della scolarizzazione, nella mobilità sociale, nell’aumento
del tempo libero. Si tratta di una
fondamentale contraddizione: mentre si produce molta più cultura,
l’atteggiamento degli addetti ai lavori non è di responsabilità civile, né neppure
carismatico, bensì essenzialmente funzionale e mercatistico. Ad esso,
corrisponde, da parte dei cittadini,un atteggiamento
di “flaneurs” svogliati e passivi, e di domanda poco solvibile dei prodotti culturali.
Occorre una vera e propria rivoluzione culturale, che
allarghi l’idea di Europa, da quella di un progetto economico e giuridico
contingente, a quella di uno spazio, naturale e storico, di ampio respiro, che
possiede infinite e sconosciute risorse di cultura, di pensiero, di scienza, di
tecnologia, di arte, di paesaggi, di stili di vita, di culture sociali, nel quale
siamo tutti, volenti o nolenti, inseriti: uno spazio di civiltà. Al quale
appartengono il Nord e il Mediterraneo, l’Atlantico e il Mar Nero, la
classicità e il Cristianesimo, l’Illuminismo e il Romanticismo, Cartesio e
Wittgenstein, la tecnologia e il lavoro.
Se non riesce a far percepire questo mondo europeo condiviso
di cultura, non ci sarà mai una vera Europa. E, viceversa, non ci sarà mai interesse
per la cultura finché non dimostreremo, attraverso un progetto concreto, che
essa può ancora incidere sul mondo, attraverso uno strumento efficace: l’Europa.
E, infine, non ci sarà mai una condivisione politica
dei cittadini, se non riusciremo a farli partecipare, attraverso una cultura
europea e uno Stato europeo, alle grandi scelte sul futuro del mondo.
Questo è, a nostro avviso, il primo compito di una
politica culturale europea, e, poiché siamo tutti in Europa, di una politica
culturale tout court, oltre che della politica.
1. Il “Governo per l’Europa”
Per questi motivi, affinché il “Governo per l’Europa”
non resti uno “slogan” retorico, il Governo italiano dovrà, a nostro
avviso, farsi carico, oltre che di problemi economici, anche della
rivitalizzazione, all’interno e all’esterno, del mondo culturale, nella chiave
europea che abbiamo sopra enunziato.
L’Italia è uno dei maggiori poli di cultura nel mondo. Un ineguagliabile patrimonio artistico e monumentale
antico, medievale e moderno; una tradizione di creatori di rilevanza permanente
e mondiale, da Pitagora a Virgilio, da Orazio a Dante, da Machiavelli a Gramsci,
da Verdi a Puccini, ecc…; una creatività sociale e imprenditoriale
inesauribile: dall’invenzione della “lex mercatoria” a quella dei grandi
istituti sociali religiosi, dall’introduzione in Europa del fordismo allo
Statuto dei Lavoratori; dal fama mondiale dell’artigianato all’eccellenza nel
turismo culturale, emozionale e
religioso.
Non è neppure vero che l’Italia non sia più un paese
colto. Certo, la cultura non è ora, e non è mai stata, da noi, un fenomeno di
massa. E, tuttavia, ancor oggi vi è un diffuso interesse per tutte le manifestazioni
culturali.Per questo, si può e si devono migliorare le cose che non vanno, in
tutti i campi della vita culturale, con un approccio prima qualitativo che non
quantitativo.
L’Unione Europea trae le sue origini storiche nella
tradizione dell’Impero Romano, delle Chiese Cristiane e del Sacro Romano
Impero, che, tutti, hanno avuto come centro Roma. I trattati istitutivi delle
Comunità Europee sono stati firmati a Roma. Per questi motivi, non è neppure pensabile che l’Italia possa essere
esclusa dal “nocciolo duro” dell’Unione Europea. Neppure si può
accettare che, per contingenti questioni finanziarie, essa venga posta sul
banco degli imputati. L’Italia deve dimostrare, non soltanto con adeguate
manovre finanziarie, ma anche con la propria capacità di leadership in campo
culturale e politico, che essa continua ad essere all’avanguardia
dell’Europa.
L’Italia deve ridivenire, come nell’ Antichità, nel
Medio Evo, nel Rinascimento e nel Risorgimento, il laboratorio culturale dove
tutti gli Europei vorrebbero venire, per
vivere nella cultura e partecipare,attraverso
la cultura, al rinnovamento dell’ Europa.
2. La situazione attuale
Il Governo italiano può e
deve dimostrare di essere all’altezza di questo compito, facendosi promotore
del rilancio del processo di integrazione europea. Ma ciò non potrà avvenire solamente
, come nell’esperienza, fallimentare, della Costituzione Europea, attraverso la
“messa in bella” degli stessi concetti giuridici ed economici di sempre, bensì
attraverso il rilancio della creatività culturale degli Italiani e degli
Europei, che ribalti l’attuale situazione di debolezza, valorizzando tutti gli
aspetti “culturali” delle società italiana e europea.
L’aspetto creativo della
cultura non richiede molte risorse finanziarie, bensì intellettive e morali, e,
soprattutto, un clima di apertura delle porte dell’ufficialità alla cultura
prodotta dai cittadini fuori dei circuiti e dei canoni ufficiali.
Siamo già un prodotto della “Società della
conoscenza”, la quale ha creato, in vasti gruppi di cittadini, enormi
aspettative, tuttora insoddisfatte, di partecipazione culturale attiva. Ma,
contrariamente a quanto affermato nella Strategia “Europa 2020”, questo è solo il
punto di partenza, non già l’obiettivo a cui tendere. A nostro avviso, in
controtendenza rispetto alla “società delle aspettative decrescenti”, le
società attuali vanno strutturandosi nel senso di incrementare le loro aspettative
culturali. Non è neppure vero che i cittadini non vogliano un impegno
culturale dello Stato, però spesso essi non capiscono il perché delle scelte
che, sulla cultura, vengono fatte a livello politico. Essi vorrebbero,
probabilmente, che venissero sostenute soprattutto le attività culturali
veramente prioritarie, e quelle che essi “sentono” più come proprie.
Occorre inoltre chiarire che, a questa “Domanda di
cultura” da parte dei cittadini non è solo un’ obsoleta aspettativa sociale, ma
corrisponde soprattutto alla sopra accennata obiettiva urgenza di poter disporre di una
cultura rinnovata e condivisa come strumento
per migliorare la società.
3.
Urgenza della nuova cultura
Che la cultura rappresenti qualcosa di ben più vasto
che non uno sterile e passivo passatempo è dimostrato proprio dal dibattito,
attualmente in corso, a proposito della politica culturale del Comune di Milano,
in cui si è giustamente affermato che non ha più senso parlare, ad esempio, di
arte contemporanea come qualcosa di isolato dalla cultura contemporanea.
Innanzitutto, la crisi in corso, mondiale prima che
europea e italiana, sta dimostrando l’insufficienza delle attuali culture
economiche (e, prima ancora, politiche e filosofiche) a rendere conto delle
tendenze ed esigenze delle società del mondo contemporaneo. Non si può fingere
che Cernobyl e Fukushima, Lehman Brothers e la crisi dell’Euro, siano solo
trascurabili incidenti di percorso. La “distruzione creativa”, insita
nei processi di globalizzazione, non è oggi adeguatamente bilanciata, né da un
adeguato sforzo di ricostituzione del capitale sociale, né da un
discorso pubblico aperto a tutti e vicino alle cose. Perciò, la cultura è
oggi una risorsa indispensabile innanzitutto perché è la sola a permettere di rivalutare
criticamente e di migliorare questa politica e questa economia, con un
linguaggio condiviso con i cittadini.
Una nuova cultura adeguatamente rifocalizzata viene
oggi ricercata spasmodicamente in tutto il mondo perfino come supporto alla
competitività degli Stati e delle imprese. Non si entra qui nella diatriba, in
corso anche a livello mondiale, fra i sostenitori della cultura tecnica e di quella umanistica. Come persona che ha
trascorso più di trent’anni in una decina di imprese europee, posso affermare
che entrambe queste culture sono necessarie, tanto per il legame sociale,
quanto per lo sviluppo economico, sia al livello della formazione dei quadri,
sia, ed ancor più, nell’orientamento delle scelte strategiche verso obiettivi
ambiziosi dal punto di vista tecnico, economico e anche politico. Le due
culture dovranno sempre più integrarsi e sostenersi a vicenda.
La cultura tecnica dovrà fornire a cittadini e alle
classi dirigenti i necessari strumenti per inserirsi con un ruolo determinante
nelle attuali dialettiche mondiali,economiche, ma anche politiche. La cultura
umanistica servirà per poter dialogare su un piede di parità con tutte le
culture del mondo e per individuarne indirizzi umanamente accettabili per gli
sviluppi tecnologici.
E dunque, quand’anche l’importo totale della “torta”
dell’economia europea dovesse ridursi in modo permanente, vi saranno sempre più
pressioni, e ragioni obiettive, per dedicare alla cultura, intesa nel senso
globale di cui sopra, una fetta crescente della “torta” stessa, anche se con
l’urgenza di fare di più con meno risorse. Ma, per poter risolvere
quest’equazione, non bastano abili manovre ragionieristiche, né sofisticate
lottizzazioni politiche, né tirare semplicemente la cinghia. Occorre
soprattutto una rinnovata concezione della cultura, più focalizzata
sull’impegno personale e sui contenuti che non sulla burocrazia, sul
professionalismo e sulla mediatizzazione.
4.
La questione delle risorse
Una delle debolezze principali dei sostenitori della
cultura di fronte alla politica dei “tagli” indiscriminati consiste nella difficoltà
di chiarire che la cultura comprende in sé e serve a mobilitare, direttamente o
indirettamente, una gran parte di
attività sociali che, nella presente
società post-industriale rappresentano addirittura la maggior parte dell’
occupazione e del reddito: dalla politica all’artigianato, dall’ economia
alle produzioni tipiche, dall’alta tecnologia al turismo, dalle industrie
innovative alla scuola, dai media alle professioni, dall’ informatica alla
tutela del territorio.
La maggior parte dei cittadini europei e italiani (manager
o ristoratori, studiosi o artigiani, imprenditori creativi o insegnanti,
artisti o consulenti aziendali, ricercatori o liberi professionisti,
giornalisti o informatici) lavora in questi settori, e fa della cultura il
proprio principale strumento di lavoro e, spesso, anche il principale output
della propria attività.
Perciò, la sinergia con altre attività sociali non può
essere ingenuamente ridotta, come giustamente osservato dall’ assessore Boeri, al mecenatismo, ignorando invece la sinergia
naturale e inestricabile fra l’investimento in cultura di tutte queste figure
professionali, come gli imprenditori culturali, i professionisti del terziario
avanzato, i ricercatori, e le chance di successo delle loro attività, che
fanno sì che la cultura possa sempre contare su queste forze sociali.
Il problema prioritario non è, poi, la scarsezza delle
risorse, bensì la mancanza di buon senso nell’uso che si fa delle risorse
esistenti, con squilibri enormi e repentini, e la conseguente impossibilità,
per i cittadini prima ancora che per le imprese e per gli Stati, di progettare
in modo sensato le loro vite - non solamente economiche -, le quali non devono
certo essere spese solamente nel difendersi dalle continue oscillazioni e
diktat dell’economia. Quindi, la mancanza di una vera “Cultura della
stabilità”, che dev’essere affermata prima negli animi e nelle menti che non
nei conti pubblici.
5. I compiti da affrontare
Un solo esempio di compiti urgenti e disattesi. Oggi tutti,
a cominciare dall’America, dalla Cina e dalla Russia, esigono imperativamente
dall’Europa il consolidamento del ruolo politico dell’Europa, che si
è ignorato per decenni, come indispensabile per salvare il sistema economico
mondiale. Tuttavia, come dimostrano le interminabili “querelles” nel cuore
stesso, franco-tedesco, dell’ Europa, non è pensabile superare le attuali
divergenze, fra nazioni e scuole di pensiero, sulla “governance”, senza un
lavoro a tutto tondo sull’identità culturale del Continente. Tale
identità è, a nostro avviso, persuasiva almeno altrettanto quanto quelle
americana e cinese, sulle quali si fondano, tra l’altro, anche le
rispettive politiche economiche di quelle aree, e i sacrifici che da sempre
hanno richiesto e richiedono ai loro cittadini. Tuttavia, essa è stata trascurata
in Europa, quasi ch’essa fosse un lusso intellettualistico, anche se già i
Padri Fondatori avevano ammonito che, quando la costruzione europea avesse
dovuto incagliarsi, si sarebbe dovuti ripartire dalla cultura.
Quindi: rinascita della cultura europea, per proporre
ai cittadini un modello di società con più Europa e per sostenere un ceto
politico creativo, che realizzi finalmente un Governo europeo veramente
focalizzato sull’Europa, e quindi capace di por fine al caos economico e
sociale oggi imperante.
A causa della scarsa autoriflessione delle nostre
società, nonostante il risveglio degli ultimi decenni, solo una parte
infinitesima delle risorse europee, ma anche italiane, sono state fino ad ora
adeguatamente valorizzate. Basti pensare che l’Europa ha il maggiore PIL, le
maggiori risorse finanziarie, la maggior produzione culturale, ma ha il 30% del
suo debito in mano ad investitori stranieri, e arriva a pregare il mondo intero
di salvare l’Euro, e perfino ad avere un saldo negativo dell’interscambio
culturale cogli USA.
Si impone una valutazione globale e corale degli
scenari, che includa l’economia internazionale, il ruolo dell’industria, del
commercio e dell’agricoltura, le politiche dei soggetti pubblici, le culture e
le disponibilità delle imprese. Solo alla fine tutto ciò potrà tradursi, a
nostro avviso, in progetti complessivi per l’Europa. Questo passaggio è un compito
prioritario della cultura, che deve essere di stimolo alla politica. Solo
da una base culturale condivisa si potrebbe rilanciare rapidamente un dialogo
senza pregiudizi sul governo dell’Europa, interrottosi ingloriosamente con la
bocciatura della Costituzione Europea.
E’infatti impensabile che i Tedeschi e altri Paesi
nordici accettino di annacquare radicalmente la loro - vincente - cultura della
stabilità per venire incontro alle difficoltà dell’Europa Meridionale, o che
gli Slovacchi rischino le loro poche e sudate riserve per i “ricchi” Italiani,
o che i Greci accettino gravosissimi sacrifici per salvare l’Euro, se non vi è
la coscienza profonda di un comune spazio culturale, e, quindi, di un comune
destino. In questa consapevolezza,
si rivelerebbe l’assurdità della puerile visione secondo cui il problema si
ridurrebbe al fatto che i mediterranei spendaccioni vorrebbero fare pagare i
loro debiti ai Tedeschi intraprendenti e risparmiatori.
Coscienza comune che non ci sarà però mai finché il
“mainstream” della cultura e dei media europei ignorerà aspetti fondamentali
per gran parte d’Europa, che sono essenziali nell’ identità di molti popoli: per esempio, le antiche civiltà danubiane e dell ‘Europa
Centrale e Orientale, islamiche e
ebraiche in Europa; gli antichi progetti di unificazione europea; gli stessi
rudimenti della filologia germanica o slava. Al punto che l’Europeo medio
conosce molto meglio Manhattan che non Berlino, Varsavia o Istanbul; la Guerra
del Vietnam che non la storia di Solidarnosc. La stessa idea di libertà, che
dovrebbe essere al centro dell’identità europea, viene rappresentata in modo
così retorico da trasformarsi in omologazione, conformismo e arroganza. Perché
mai il cittadino dovrebbe sacrificarsi per questa Europa?
Quindi, innanzitutto, incremento dei contenuti europei
nell’insegnamento delle lingue, della storia, dell’arte, delle religioni,
dell’economia e della geografia, e il sostegno a quelle produzioni mediatiche
che contribuiscono alla conoscenza reciproca fra gli Europei. L’attuale spinta
all’incremento del contenuto tecnico dell’educazione non è di ostacolo, bensì
di stimolo, a quest’accresciuta offerta culturale. Un ottimo esempio di ciò è
costituito dalla Media Literacy
caldeggiata dall’ Unione Europea, che può divenire un eccezionale strumento di
diffusione della cultura europea “tout court”.
II. UN
PROGRAMMA ITALIANO DI CULTURA EUROPEA PER IL RILANCIO DELL’UNIONE.
1. Le priorità
Quali dovrebbero essere, allora, le priorità?
a) occorre
sostenere (per esempio con la creazione di un’Accademia Europea) lo
studio e il dibattito a tutto tondo sulle sfide in gioco a livello mondiale,
con una visione globale della cultura, che comprenda tutti i settori, dalla
cultura “alta”, alla libera creatività dei cittadini;dalla cultura tecnica a
quella umanistica; dalla cultura occidentale contemporanea a quelle dell’Asia,
dell’Africa e del Sudamerica; da quella scientifica a quella
filosofico-estetica; da quella religiosa a quelle del lavoro; da quella politica
a quella del management;
b) quindi,
passare da una cultura da “flaneurs” disincantati , a una cultura di
cittadini impegnati, i quali ,come già a suo tempo nelle culture classiche,
nel loro fare filosofia o arte, economia o letteratura, musica, ricerca
scientifica o management, tengano sempre presente la loro responsabilità di
contribuire al chiarimento delle grandi questioni della società (che oggi sono
questioni europee e anche mondiali), e lo facciano, quando necessario, anche
con il sacrificio personale;
c) nel fare ciò, non è, oggi, il momento per i dogmi: si incontrano e si scontrano popoli nuovi e diversi,
nuove culture, nuove generazioni. Non vi è nessuna ragione per privilegiare il
nuovo rispetto a ciò che è consolidato, ma neppure viceversa, dichiarando “non
negoziabile” l’insieme dell’esistente;
d) poi, la politica,
lungi dall’arroccarsi nella pretesa di essere la sola depositaria delle culture
politiche e sociali, dovrà ora aprirsi al dibattito con la cultura e con la
tecnica, sui fini della politica e sul contesto auspicabile di un nuovo
sistema mondiale, su una nuova Europa che dovrà occuparsi anche, e soprattutto,
di scuola, di nuove tecnologie, di media, di lavoro, di politiche industriali,
di politica estera e di difesa;
e) infine,
anche la cultura ufficiale dovrà uscire dal corporativismo, dal tecnicismo e
dal mercatismo, e avere nuovamente il coraggio di impegnarsi nel dibattito
sulla res publica, e di confrontarsi con i non addetti ai lavori, e, in
generale, con i cittadini:”La democrazia partecipativa, i blog, i siti web,
Facebook, Twitter, impongono che le scelte siano passate al vaglio di ampie discussioni,
in Rete e non solo lì”;
f) per
concludere, alla luce delle risposte ai punti precedenti, la politica dovrà
compiere un’opera sensata e trasparente di programmazione delle risorse
per la cultura, la scuola, la ricerca scientifica, il terziario avanzato, il
territorio, il turismo, a livello europeo, nazionale, locale, ripartendo i
compiti fra pubblico, privato e terzo settore, in modo da adeguarsi alle
risultanze di quel grande dibattito.
Tutto ciò, date le urgenze, non può avvenire in
sequenza, bensì dev’essere fatto in parallelo.
2. Spunti di programma
Riteniamo che si possa fin d’ora immaginare che un
vero programma culturale dello Stato Italiano debba comprendere:
- una campagna
per la piena attuazione dei Titoli XII e XIII del Trattato di Lisbona, in materia di educazione, formazione e cultura e, in particolare, di media,
scuola, ricerca scientifica, promozione internazionale del turismo europeo;
- la
razionalizzazione degli strumenti europei in materia culturale, con l’alleggerimento della burocrazia e il
coordinamento con gli strumenti in materia di formazione, di ricerca
scientifica, con le politiche regionali e strutturali, soprattutto nelle aree delle tecnologie per
i media, della valorizzazione del territorio, della mobilità intelligente,
dell’intelligenza artificiale, dello spazio e della cibernetica;
- il lancio
di nuovi progetti europei come Galileo, che è partito proprio adesso, verso i quali
canalizzare gli sforzi tecnologici anche delle imprese minori, che solo in tal
modo possono essere elevate a livello di avanguardia;
- la
sponsorizzazione della nascita (possibilmente in Italia), e sfruttando anche
risorse esistenti:
- di un’Accademia d’ Europa che, al di là della formazione superiore, costituisca
uno spazio di incontro ai massimi livelli fra studiosi, dirigenti e cittadini
sui temi della cultura - umanistica, sociale, culturale e artistica - europea;
- di un Museo Virtuale dell’Europa, capace di far conoscere a
tutti i cittadini europei, mettendo in rete il patrimonio culturale italiano come
punto di partenza per comprendere l’infinita ricchezza e diversità della storia
e della cultura europea;
- il
rafforzamento, nelle scuole di ogni
ordine e grado, dei contenuti europei di tutte le materie di insegnamento, attraverso progetti concreti,eventualmente
connessi a “Media Literacy” come “Introduzione al multiculturalismo”,
“Storia della cultura europea”;”L’Europa e le sue Regioni” ;
- il
rafforzamento del coordinamento dei curricula, in modo da favorire al
massimo la mobilità intraeuropea degli studenti e dei laureati;
- l’aggiornamento
dei contenuti degli insegnamenti tecnici e umanistici, per farvi rientrare anche tutte quelle nuove materie
senza le quali non è oggi possibile, né una seria riflessione culturale, né una
sana strategia d’impresa, né l’accrescimento della produttività, né la capacità
di promozione internazionale: informatica, linguistica, in particolare delle
lingue europee e orientali, neuroscienze e bioetica; diritto internazionale
comparato; cibernetica; culture comparate; risparmio energetico, eccetera;
- l’applicazione
delle migliori pratiche di formazione dei Paesi europei “vincenti”, come
per esempio il numero chiuso, i prestiti d’onore e l’uso massiccio dell’apprendistato,
secondo il modello tedesco;
-
il coinvolgimento permanente dei mondi della cultura,
della scuola, della ricerca scientifica, delle industrie creative e di alta
tecnologia, del terziario avanzato, del turismo, in “Stati Generali
Permanenti della Cultura per l’ Europa”,
Questi miglioramenti hanno
carattere qualitativo, non quantitativo. Di conseguenza, essi non
richiedono risorse aggiuntive, ma permettono grandi razionalizzazioni,
soprattutto se attuati insieme agli altri Europei e battendosi per lo
snellimento della burocrazia per fare fronte alla crisi.
Altro strumento per fare fronte alla crisi, il fare un
maggiore ricorso alla creatività dei cittadini e delle imprese, che non
avranno difficoltà ad aprire i cordoni della borsa se la cultura da loro autoprodotta
sarà trattata su un piede di parità con quella prodotta da istituzioni
ufficiali, e in modo tale da aprire anche ad essi le porte della visibilità e
dei mercati culturali.
Nessun commento:
Posta un commento