martedì 21 settembre 2010

CIVILISACHON VALDOTENA

The Week of the Festival of Aosta Valley , a Strong Occasion for Reaffirming European Minorities Rights.La semaine de la Fête de la Vallée d’Aoste a constitué une occasion exceptionnelle pour la réaffirmation des droits des peuples minoritaires.Die Woche des Aostatalsfests eine ausserodeutliche Angelegenheit Rechte der europäischen Minderheitsvölker zu behaupten.

È singolare come perfino in una Regione confinante con la Valle d’Aosta, e con una profonda comunanza storica con la stessa, come il Piemonte, si ignori la vera e propria “rivoluzione culturale” che si sta compiendo nella Valle (anche se in mezzo a profondi conflitti e differenze di opinione).

È noto come, storicamente, la Valle d’Aosta abbia, da sempre, costituito un “quid unicum”, non solamente in Italia, bensì anche nell’ambito degli Stati di Sardegna("ducatum istum non esse citra neque ultra montes sed intra montes"). Stati a cui cominciò ad appartenere poco dopo il 1000, sotto Umberto Biancamano .

La Contea (Ducato) di Aosta godette sempre di una grande autonomia, che ebbe la sua maggiore espressione nei Conseil des États de la Vallée d’Aoste, un vero “Parlamento” di “Stati” (secondo il modello medievale), il quale non cessò mai dalle sue funzioni fino alla Rivoluzione Francese, anche se, nel Settecento, con le "Royales Constitutions", il Re di Sardegna tentò di ridurne l' autonomia.

Non soltanto, ma Aosta possedeva anche, come precisa una targa esposta nel “Palais des États”, un autonomo esecutivo, i “Conseil des Commis”.Il tutto completato dal Bailli (Podestà) del Duca di Savoia e dal Vescovo di Aosta, con ampie prerogative.

Dopo l’Unità d’Italia, i Valdostani furono particolarmente attivi nell’elaborazione della loro cultura, come, per esempio, da parte dell’Abate Cerlogne, poeta e ceodificatore della lingua valdostana, e da parte del comandante partigiano Emile Chanoux, che partecipò, tra l’altro, all’elaborazione, in piena 2ª Guerra Mondiale, della Carta di Chivasso, che anticipò il sistema delle Regioni Autonome. Chanoux fu caratterizzato per altro da un vero e proprio nazionalismo savoiardo-valdostano, che trova espressione nel manifesto "L' Esprit de Victoire", ch'egli lesse al Comité de Libération di Aosta, il primo Comitato di Liberazione d' Italia. Chanoux fu ucciso dai Tedeschi poco prima della fine della guerra.

Sempre a cavallo della 2ª Guerra Mondiale, Federico Chabod, professore all’Università di Torino e anch'egli comandante partigiano, pubblicò due opere fondamentali per la storia dell’identità europea: “L’Idea di Nazione” e “Storia dell’Idea di Europa”. Chabod, per altro assente a Chivasso, fu l' estensore del contributo dei Valdostani alla Carta di Chivasso, primo documento del federalismo interno italiano e sui diritti dei popoli minoritari.

Nel 2° Dopoguerra, la Valle d’Aosta ottenne un regime di autonomia che costituì un esempio per i movimenti autonomistici di tutta Europa. Tradizionalmente, la Valle d’Aosta riuniva, sotto l’egida di un suo Collège d' Etudes Fédéralistes fondato da Corrado Gex, movimenti autonomistici dei popoli minoritari di tutta Europa. Incidentalmente, ricordiamo che Gex (che, oltre che deputato, era aviatore,tanto che gli fu dedicato l' aeroporto di Aosta, morì giovane in un incidente aereo che colpì l'aereo da lui stesso pilotato). L' indagine giudiziaria sull'incidente è stata recentemente riaperta.

Negli ultimi anni, l’iniziativa in merito alla tutela dei popoli minoritari era stata piuttosto raccolta da regioni della Mitteleuropa (Germania, Austria), e, poi, del Nord Europa (Frisia, Galles),le quali ultime gestiscono il centro Mercator di Leewaarden in Frisia Occidentale.Negli ultimi 2 anni, la Valle d’Aosta ha ricominciato a coltivare le sue vecchie ambizioni di costituire una sorta di catalizzatore , convocando ogni anno, nell’ambito del “Festival della Valle d’Aosta”, un festival dei popoli minoritari.

Quest’anno, nell’ambito del Festival, è stato organizzato un dibattito sulla globalizzazione, a cui hanno partecipato, oltre ai Valdostani, Catalani, Bretoni e Ladini.È singolare che le lingue dei popoli partecipanti (salvo il Bretone), fossero mutualmente comprensibili, tanto che il rappresentante catalano, Prof. Amigó, ha potuto tranquillamente tenere tutta la sua relazione nella propria lingua.A significare, a nostro avviso, che, dalla costa dell’Atlantico fino a Trieste, si estende un’area linguistico-dialettale sostanzialmente omogenea, che solo per motivi politici si è voluta distinguere in Galiziano, Aragonese, Catalano, Valenciano, Mallorquin, Aranese, Occitano, Franco-Provenzale, Gallo-Italico, Ladino e Friulano. Quest’area linguistica era caratterizzata, anticamente, dall’uso della Lenga d’Oc, nelle sue diverse varianti, come brillantemente esemplificato da Raimbaut de Vaqueiras, che scrisse liriche in cui intercalava Gallego, Guascone, Provenzale, Langue d' Oil, Ligure e Italiano del Nord.

I popoli minoritari godono, nelle Regioni coinvolte nel dibattito, di diritti, soprattutto culturali e linguistici, crescenti. Tuttavia, esse sono il teatro, più ancora di altri territori, del conflitto, attualmente in corso, fra, da un lato, l’omologazione indotta dalla globalizzazione, e, dall’altro, la resistenza delle culture locali.

La presenza di una forte immigrazione dall’Europa Orientale ed extra-comunitaria, aggiunge un’ulteriore variabile, che le regioni autonome minoritarie tentano di affrontare attraverso un’integrazione speciale, che, attraverso l’allargamento della comunità linguistica, includa anche i nuovi cittadini.

Come questa vicenda sia complessa è stato illustrato, soprattutto, nella seconda parte della Festa della Valle d’Aosta, la Fête du Patois, all’interno della quale si è esplorata la problematica specifica del Franco-Provenzale in Valle d’Aosta e nelle regioni confinanti (soprattutto, Vallese, Piemonte e Savoia).

Il problema del “Patois” (“Franco-Provenzale”) è di una grande complessità, in quanto ha a che fare: con: i concetti di “Lingua” e di “Dialetto”: con la categorizzazione delle “Lingue”; con i rapporti fra “lingua alta” e “lingua popolare”; con i rapporti, all’interno stesso delle Regioni Autonome, della Lingua “alta” nazionale (l’Italiano), della “Lingua Alta” alloglotta (il Francese), della "Langue du Cœur" (il Valdostano), il dialetto effettivo (quello dei singoli Comuni), le aree linguistiche affini (francoprovenzali), le parlate minoritarie nella Regione (Walser, Tedesco e Piemontese); con il rapporto fra “Civiltà alpine” e “Civiltà valligiane”, fra tradizione e globalizzazione, e così via.

La complessità di questo dibattito fa comprendere quanto siano riduttivi i discorsi politico-culturali in corso nella “grande stampa”, che ignorano questo fenomeno imponente delle “lingue e popoli minoritari” dell’Europa, ai quali appartengono all’incirca il 20% degli abitanti dell’Europa.Fa dimenticare anche come questi dibattiti eccitino ancor oggi le passioni dei Valdostani, divisi fra un autonomismo più o meno spinti e una visione più "italocentrica" della Valle d' Aosta.

Ricordiamo che vi sono in Europa più Rom, Turchi e Russofoni, che non Olandesi o Svedesi.

Nessun commento:

Posta un commento