venerdì 10 settembre 2010

LE DIFFICOLTA’ DEL MULTICULTURALISMO

Jean Daniel’s Statement Shows Trend Towards New Culture. Une Prise de Position de Jean Daniel montre la voie vers la culture de demain. Jean Daniels Stellungnahme zeigt Weg nach Zukunft.

Giudichiamo particolarmente tempestiva la presa di posizione su “la Stampa”, con cui Jean Daniel ha lanciato la parola d’ ordine del “Canone Post-Occidentale”. Come noto, il “Canone Occidentale” è una famosa opera del critico letterario americano Harold Bloom, nella quale trova la migliore espressione la tesi “continuistica” sulla cultura americana, che, per Bloom, sarebbe poco più che un epifenomeno di quella europea. Tesi che, come sempre, non ha, certo, raccolto, intorno a sé, molti consensi, soprattutto in quanto contraria a quella dell’ “eccezionalismo americano”, a nostro avviso da sempre dominante Oltreoceano.

Sia come sia, Daniel ritiene che questo “Canone Occidentale” (cioè l’ insieme dei “grandi libri” pubblicati in tutte le lingue europee) stia cessando di rivestire un carattere normativo nell’ insieme del mondo, e che, pertanto, gli “Occidentali” debbano, oramai, accettare che, all’ interno del canone “normativo” per il mondo, debbano entrare a far parte anche “grandi libri non occidentali”.

Questa tesi, nella sua sinteticità, offre, ovviamente, il fianco a più d’una critica.A nostro avviso, essa possiede, tuttavia, l’ enorme pregio di avere un’ ineguagliabile forza “euristica”.Essa è, cioè, atta a fornire, per vari settori dello scibile, una “parola d’ordine” adeguata a motivare il superamento di importanti ostacoli concettuali che oggi bloccano lo sviluppo delle culture mondiali:

-nonostante le critiche relativistiche e nichilistiche, un “canone letterario” è comunque necessario, se non altro per motivi pedagogici, narrativi ed organizzativi;

-il “Canone Occidentale”, per quanto interessante per certe identità collettive, non può, certo, esaurire lo “Spirito del Mondo”;

-indipendentemente dal fatto che “la Cina governi il mondo”, come provocatoriamente ipotizza Martin Jacques, è ovvio che, in un mondo in cui Asia e Sudamerica posseggono, nel loro complesso, un peso politico e culturale almeno pari a quello dell’ “Occidente” (il quale, inoltre, rappresenta solo alcune centinaia di milioni di persone su parecchi miliardi), non si potrà pensare che tutte le grandi scelte si possano fare sulla base di una logica “Occidentale”;

-ciò significa che diverrà ogni giorno più importante, per chiunque debba assumere una decisione, comprendere che cosa si pensi in Asia, in Africa e in Sudamerica;

-per fare ciò, non si potrà certo prescindere almeno dai rudimenti della linguistica semitica, uralo-altaica, sinica, indo-iranica, amerindia, ecc..,né da fondamentali opere come i Veda, le epopee indù, i classici buddhisti, confuciani e taoisti, il Corano, la filosofia islamica, le opere dei grandi religiosi ispano-americani sulle culture precolombiane, la letteratura giapponese, ecc…,

-poiché, come ha dimostrato Nisbett, il modo stesso di approcciare il mondo, da parte degli “Asiatici Orientali” e degli “Occidentali” è radicalmente diverso (secondo Nisbett, a causa dei diversi condizionamenti sociali, e, secondo noi, anche a causa di diverse strutture linguistiche), tenere conto del “modo di pensare degli altri” significherà relativizzare la nostra logica, la nostra percezione del mondo, i nostri valori sociali, i nostri sistemi organizzativi, il nostro linguaggio, il nostro modo di vivere, la nostra politica, la nostra religione, la nostra estetica, le nostre mode, il nostro linguaggio, ecc…;

-tutto ciò potrebbe non essere in contrasto con la nostra “Identità Europea”, se, e nella misura in cui, anche grazie al confronto con gli altri, riusciremo a ritornare veramente alle “radici” di tale identità.

Purtroppo, tutto ciò costituisce un compito epocale che non potremmo esaurire, né in questa sede, e, nemmeno, nelle future opere che abbiamo in programma con la nostra Casa Editrice.
Ciò costituisce, infatti, tipicamente, quel genere di “compito storico”, che caratterizza la nascita di una nuova classe dirigente. Nel nostro caso, maturare su questo arduo esercizio potrebbe essere la palestra su cui addestrare una futura classe dirigente europea degna di questo nome.









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