venerdì 10 settembre 2010

LO “STATO DELL’ UNIONE” DI BARROSO

Barroso’s “State of Union” Speach Source of Wide- Ranging Controversies. Le discours de Barroso sur l’”Etat de l’ Union” solicite des controverses tout-à-fait légitimes. Barrosos Gespraech um dem “Stand der Union” reizt weitreichende Auseinandersetzungen

La stampa internazionale, e, in particolare, quella anglosassone, non ha mancato, certo, di mettere in rilievo le contraddizioni dell’ ambizioso discorso che lo stesso Barroso aveva battezzato con una denominazione tratta dalla tradizione politica americana (“The State of the Union”).

Nonostante le premesse non consolanti (previsione di un notevole assenteismo e minaccia (poi ritirata) di sanzioni contro i possibili assenteisti), il discorso si è svolto in modo indolore, ed ha perfino avuto un certo successo.

Barroso ha tracciato uno schema equilibrato delle attività in corso, in particolare quelle economiche.Ha poi svolto una giusta critica delle recenti scelte della Francia in materia di espulsione dei Rom (che sono cittadini europei).

Nel complesso, però, il discorso rivela che, pur consolidandosi sempre più nella “routine”, l’ Unione Europea non possiede alcuna strategia, e neppure si sforza di averla, come almeno tentano faticosamente di fare America, Cina e Russia.

Certamente, le trasformazioni in corso a livello mondiale sono enormi e solo parzialmente prevedibili (surriscaldamento atmosferico, guerre in Asia, sovrappopolazione nel Sud del mondo e crisi demografica a Nord, peso sempre crescente della Cina, instabilità cronica del sistema finanziario, deflazione), tuttavia, grandi organizzazioni continentali come l’ Unione Europea sono nate proprio per occuparsi di questi grandi problemi, lasciando quelli di minor peso (in base al "principio di sussidiarità",) agli Stati membri, alle Nazioni, alle città, alle associazioni, alle imprese e alle famiglie. Se l’ Unione Europea si occupa solo della “routine” perde di credibilità.

Eppure, la cultura politica che è emersa in questi 50 Anni (il “pensiero unico”) sembra fatta proprio per non decidere.

Si va verso un surriscaldamento o una nuova età glaciale? Bisogna sostenere le guerre “di civiltà” in Asia o dialogare con la Cina e con l’ Iran? Bisogna frenare i flussi migratori o accogliere tutti coloro che decidono di trasferirsi in Europa? Bisogna vietare gli investimenti dei Fondi Sovrani o incentivare gli investimenti dei BRIC? Bisogna sottoporre le transazioni finanziarie a severe restrizioni o incentivare i servizi finanziari internazionali? Ci vuole una “politica di austerità” o bisogna rilanciare i consumi?

Ci sembra che l’ Unione Europea ( e i suoi Stati membri) abbiano già detto, e fatto, in questi anni, tutto e il contrario di tutto.

Visto che la proposta Costituzione Europea, basata su una siffatta cultura politica, è stata "bocciata", sarebbe il caso di pensare una nuova Europa, con una chiara consapevolezza del proprio ruolo e, quindi, capace di proporre una ben precisa prospettiva, adottando, di volta in volta, decisioni coerenti con quest’ ultima.

Quindi, un programma grandioso di ricerca e di dibattito, per fare nascere nuove realtà culturali e politiche capaci di ideare una nuova "costituzione" dell' Europa retta da un piano unitario, semplice e direttiva, a cui tutti gli altri strumenti giuridici siano subordinati.

Un siffatto movimento culturale e sociale potrebbe animare una grande alleanza riformatrice, che si candidi al governo del Parlamento Europeo e degli Statio Membri, delle Regioni e delle città.

Una volta approvata questa nuova "costituzione", questo movimento potrebbe dedicarsi al rinnovamento della cultura, del diritto e dell' economia a tutti i livelli.

Per questo motivo, non condividiamo l'atteggiamento degli intellettuali più europeisti, come per esempio Sassoon nella sua più recente intervista a Torino, i quali si rammarricano che non vi sia una sufficiente "identità europea", ma poi non "entrano nella mischia" per proporre soluzioni.

Questo è, invece, il momento per agire.


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