giovedì 1 dicembre 2011

COMMENTI SUI GOVERNI TECNICI

Technical Governments Reopen Debate on Democracy in Europe
Les Gouvernements techniques rouvrent le débat sur la démocratie en Europe
Technische Regierungen oeffnen  Debatte ueber Demokratie in Europa wieder.

Ripartendo dall' intervento di De Siervo, notiamo che ci è voluta la dichiarata opposizione, da parte delle Autorità europee e del Presidente della Repubblica Italiana, ad una risposta "elettorale" alle crisi greca e italiana per portare pienamente alla luce la questione del "deficit di democrazia" in Europa.


1.Da Montesquieu a Tocqueville
 
La questione è tutt'altro che nuova, tant' è vero che l'aveva già sollevata Montesquieu, affermando che "la democrazia non è possibile in uno Stato di grandi dimensioni". Questo principio era stato ripreso testualmente, da un lato da Hamilton, e, dall' altro, da Caterina di Russia, il primo per affermare che l'America aveva bisogno del federalismo, e, la seconda, per confermare, usando le parole stesse di Montesquieu, la necessità dell' autocrazia in Russia.

Il federalismo europeo segue il ragionamento di Hamilton, coniugandolo con le idee di Tocqueville, secondo il quale il pericolo della tirannide della maggioranza può essere scongiurato dall'esistenza di corpi intermedi.

Dunque, federalismo più sussidiarietà.

2.Le vere dimensioni del problema

Il problema è che Tocqueville, Caterina II, Hamilton e Tocqueville avevano in mente la democrazia diretta di Atene, dove 500 cittadini ateniesi maschi, nobili, liberi e attivi, dominavano su migliaia di donne e liberi ateniesi, decine di migliaia di liberi dell' Attica, centinaia di migliaia di schiavi e meteci e milioni di altri Greci.

Invece, oggi abbiamo Stati di 1 miliardo/1 miliardo e mezzo di abitanti(come las Cina e l' India), e quasi-Stati, come l'Alleanza Atlantica, con un numero di abitanti quasi pari. E, secondo una vulgata accettata da tutti (compresi Cina e India), tutti i cittadini avrebbero  pari diritti (anche se non si comprende come potrebbero materialmente partecipare tutti significativamente alle decisioni).

Il tipo di decisioni che si assumono a quei livelli (come per esempio dove posizionare i missili balistici, oppure quando e come intervenire sui mercati borsistici e valutari) non si prestano certo, per loro natura, ad un dibattito partecipato di un miliardo di persone.Di conseguenza, per queste cose, si impone, e si accetta, l'"unità della catena di comando": Eppure, sono le cose più importanti: la sopravvivenza o meno dell' umanità, la prevalenza dell' uno o dell' altro sistema politico ed economico.

Si direbbe che, tanto in Occidente quanto in Cina, si dia per scontato che tali decisioni non possano fare oggetto di un dibattito democratico.

Vi è poi la vastissima area delle decisioni economiche fondamentali: se proseguire la ricerca scientifica o applicare il "principio di responsabilità", se adottare un sistema di mercato, un sistema pianificato o un sistema intermedio, se aprire o chiudere i mercati, se livellare o differenziare i redditi, ecc...Queste decisioni, in teoria, sarebbero atte ad essere adottate con un dibattito partecipato, e, in effetti, qualche isolato teorico estremista lo richiede, ma, di fatto, si tratta di voci non ascoltate, e queste scelte sono effettuate autoritariamente ai vertici delle grandi potenze.

Vi sono poi certe scelte di carattere strategico che hanno un significato immediato per i cittadini, come per esempio la tutela ambientale o l'integrazione europea,  che fanno oggetto, almeno in Europa, di un dibattito pubblico, ma i meccanismi decisionali effettivi fanno sì che esse vengano decise in modo non trasparente fra Autorità nazionali, lobbies ed eurocrati.

Orbene, se tutto il quadro della nostra vita, dal tipo di vita materiale, ai valori, alla cultura, alle condizioni di lavoro, alla pace, alla guerra, sono decisi sopra le nostre teste, l'area delle decisioni su cui possiamo, in effetti, influire, è veramente modesta. Mettiamoci qualche aspetto delle politiche fiscali, della gestione del territorio, delle politiche culturali locali. E, anche qui, i canali, attraverso i quali i cittadini possono influire sulle scelte sono intasati ed inefficienti.

Alla luce di tutto ciò, come scandalizzarsi se, quando ci sono delle decisioni relativamente importanti (per quanto anch'esse modeste), si sostituiscano i politici, che, con tutti i loro difetti, hanno comunque da ripresentarsi all' elettorato, con dei professionisti che, una volta terminato il loro mandato, ritorneranno alle loro lucrative carriere senza neanche il desiderio di "scendere in politica", e che, quindi, sono del tutto indifferenti agli umori dell' elettorato?


E' chiaro che i margini per una vera "partecipazione popolare" sono estremamente ridotti. Il motivo per cui questo sistema viene definito come "democratico" non ha, a nostro avviso, a che vedere con  la partecipazione (problema essenzialmente "liberale"), bensì con quella che Tocqueville chiamava "la passione dell' eguaglianza": cioè la tendenza, da parte delle società contemporanee, a favorire, con l'"affirmative action", il gigantismo del ceto medio, più gestibile che non le vecchie classi, come l'aristocrazia e il ceto contadino, il clero e la classe operaia e  perfino la vera e propria borghesia, cioè l'aristocrazia del merito e del denaro.

I cittadini accettano che le decisioni siano prese essenzialmente al vertice perchè si rendono conto che l'interesse di questo vertice è di rafforzare il ceto medio, a cui la maggior parte dei cittadini appartiene.

Che questa situazione piaccia o non piaccia, nulla nella storia è irreversibile.

4.I nuovi scenari

La società post-industriale, dominata dalle grandi organizzazioni economiche, che, grazie alla loro forza sociale, dispongono liberamente di Stati, partiti, chiese, istituzioni culturali, fornitori, imprese,professionisti, intellettuali, lavoratori, cittadini, sta incontrando serie difficoltà. Essa non è in grado di mantenere le promesse di crescita economica continua,che le aveva reso favorevole il ceto medio,  ed è posta sotto pressione da nuovi poteri. Certo, questi, come le nuove tecnologie cibernetiche o i BRICS, non sono  più favorevoli alla partecipazione dei cittadini di quanto non lo siano i grandi potentati economici. Tuttavia, come osserva Parag Khanna,si apre un periodo sempre più conflittuale. E, come sempre, è all' interno delle situazione di conflitto che possono aprirsi spazi di libertà, sempre, per altro, che vi sia qualcuno che voglia coglierli.

Questa nuova forza, che, oggi, non esiste, poterebbe formarsi proprio negli interstizi di queste lotte. Ma, anche qui, come sempre, si tratta di una questione di cultura.

L'Europa potrebbe costituire uno spazio in cui questa nuova forza culturale potrebbe manifestarsi, svilupparsi, rafforzarsi, affermarsi e realizzarsi.Alcuni, anche in altri continenti, come ad esempio Rifkin, lo auspicano

L'Europa ha una dimensione sufficiente per svolgere un ruolo autonomo e autorevole nel confronto sui grandi temi mondiali, come l'ambiente, la libertà, la pace e la guerra. Essa tuttavia non è ancora così vasta e così eterogenea da rendere impossibile una coalizzazione sensata dei consensi. Essa possiede già una seppur embrionale struttura federale. Essa ammette già il principio di sussidiarietà.

Ciò che le manca è, innanzitutto, un leitmotiv intorno a cui aprire i grandi dibattiti, affrancandone gli attori dalla "langue de bois" del "Pensiero unico". Quindi, non più "stabilità" contro "crescita", bensì "quale stabilità" e "quale crescita", non più "stato o mercato", bensì che cosa deve decidere lo Stato a livello locale, regionale, europeo e mondiale, cosa possono decidere i cittadini, che cosa i corpi intermedi. Eccetera, eccetera. Solo allora, sarà possibile creare aggregazioni di punti di vista adeguate ai vari livelli: sulle politiche culturali o ambientali, a livello locale; sui grandi orientamentio economici e sociali a livello regionali; sulle scelte sistemiche, a livello europeo; sulla pace e sulla guerra, a livello mondiale.

Solo quando saranno consolidate aggregazioni di punti di vista a questi livelli sarà possibile dare nuova vita agli esistenti canali di comunicazione, liberandoli dalle incrostazioni che li rendono oggi strumento di omologazione: all' associazionismo di base, liberandolo dai condizionamenti partitici; al web, liberandolo dai controlli dei providers e degli Stati; alle comunità locali, facendone strumenti (a "costo 0") di democrazia diretta;alla politica tradizionale, unificando le tematiche nazionali e quelle europee, a quella europea, conferendo all' Unione reali poteri nei campi economico, di politica estera e di difesa, di cultura, di ambiente, e alle Organizzazioni Internazionali una reale autonomia dalle Grandi Potenze e dai poteri forti. A quel punto, si potranno anche affrontare in modo non mistificante le questioni giuridiche, come il ruolo e la struttura delle Organizzazioni Internazionali, un nuovo patto costituzionale per l' Europa, il ridimensionamento degli Stati Membri a favore dell' Europa delle regioni, l'autonomia non solo fiscale, ma anche e soprattutto culturale, degli Enti locali.

Per adesso, i "governi dei tecnici" (di cui per altro resta ancora da verificare l'efficienza tecnica) non sono, certo, fra tutti, il male peggiore.






Nessun commento:

Posta un commento