Woody Allen Joins European Forces against American Globalisation
Woody Allen rejoins les forces européennes conte la mondialisationaméricaine.
Woody Allen teilt mit europaeischen Kulturkraeften den Kampf gegen Amerikanisierung.
Mentre le strutture politiche ed
economiche dell’Europa stentano a consolidare un’adeguata riforma legislativa
in materia di politica economica e finanziaria, e, ciononostante, i mercati
incominciano a stabilizzarsi, la buona notizia sta provenendo, a nostro avviso,
dal campo della cultura europea, che era stata caratterizzata, in questi anni, da una fase di inaccettabile inerzia,
stagnazione e conformismo. Essa appare, invece, nel corso degli ultimi mesi, rivitalizzarsi
in vari campi, con l’emergere di prodotti di alta qualità, di elevata
ispirazione, ma, soprattutto, veramente vicini alle problematiche degli
Europei.
Come già detto più volte, rigettiamo
la contrapposizione usuale fra, da un lato, una cultura identitaria,
considerata limitativa e regressiva, e una cultura universale, positiva e
progressiva.
Le culture identitarie costituiscono
un corollario onnipresente e necessario della globalizzazione. Nel momento
stesso in cui, con le due Guerre Mondiali, l’America avviava la propria
espansione nel mondo, essa elaborava, da un lato, con i Western Cultural Studies, la
teoria della cultura “occidentale”, e, dall’altro, la teoria delle “identità”,
e, in primo luogo, quella dell’Identità Europea, appoggiandosi sugli studi di
antropologi europei, come, in primo luogo, Franz Boas.
Da allora, ad ogni passo in avanti
della cultura omologante globalizzata ,ha fatto seguito la produzione di una
nuova teoria culturale identitaria, molto spesso favorita , con un apparente partadosso, dall’industria
culturale hollywoodiana.
A Hollywood vanno fatti risalire
gli stereotipi nazionali, come quello del Giapponese, o del Russo, fanatico o guerrafondaio,
dell’Italiano mafioso, del Cinese infido e corrotto, del Messicano delinquente,
eccetera, ma anche l’esaltazione, in positivo, di eroi del passato, da Alessandro,
a Spartaco, a Robin Hood, a Elisabetta d’Inghilterra, descritti come illuminati
anticipatori della moderna civiltà “occidentale”.
Anche la costruzione delle “identitàetniche”
moderne è, a nostro avviso, largamente debitrice della cultura hollywoodiana,
la quale, come dicevamo, ha ripreso le teorie di antropologi che lavoravano per
l’amministrazione e l’esercito americano, come, per esempio,nel caso de “La Spada e il Crisantemo”.
La costruzione di queste identità era
funzionale alla visione di una leadership mondiale americana, nella quale le
nazionalità avrebbero avuto un ruolo di "comprimarie" con l’America.
Ma, a tale fine, occorreva prima smontare
e assorbire, in nuove identità, prive di ambizioni di leadership, le
"nazionalità romantiche", e, prima ancora, le "nazionalità ancestrali", a cui
quelle romantiche si ispiravano.
Le identità collettive moderne sono state, dunque,
create per rendere possibile, e accettabile, la globalizzazione sotto la guida
occidentale. Come tali, esse esistono in gran parte come epifenomeno della
globalizzazione. Tuttavia, esse sono anche, almeno in teoria, utilizzabili
nell’ambito di altri contesti.
Anche l’identità sudamericana, creata
come forma di imitazione degli Stati Uniti, potrebbe benissimo evolvere, come nel
caso del CELAC, in una funzione di indipendenza degli stessi.
A nostro avviso, perfino in Cina
abbiamo assistito, all’inizio della disgregazione dell’Impero Qing, ad un
fenomeno di importazione di un’"identità cinese occidentalizzante", vale a dire quella dei
Taiping, sostenuta, anche militarmente, dagli Anglo-Americani, ma poi repressa
dagli stessi quando il nascente impero rivoluzionario (cristiano e
filo-americano) incominciò a manifestare un’ambizione di leadership nei confronti
dello stesso Occidente. Non per nulla Mao considerava i Taiping come degli anticipatori della
rivoluzione popolare cinese.
Che esse siano un fenomeno ancillare
alla globalizzazione, ovvero ne siano un’alternativa, le identità esistono ed
hanno una loro forza, più evidente in taluni casi (come, appunto, la Cina, il Medio Oriente o
l’America Latina), meno evidente in altri.
Il caso dell’Europa è paradossale. Il
progetto di unità dell’Europa si trascina da almeno 900 anni, da Dante, a Podebrad, a Sully, a St. Pierre, a St. Simon, a Proudhon, a Mazzini, a Nietzsche, a Coudenhove-Kalergi,
a Spinelli, all’Unione Europea,
eppure vi è ancora chi dubita che l’Europa abbia una sua propria identità
culturale, vuoi perché si ritenga che le identità culturali non esistono, vuoi
perché si ritenga che solo le nazioni abbiano un’identità culturale, vuoi
perché si pensa che esista un’unica identità occidentale.
Ma è qui il paradosso. Coloro i quali
negano che esistano delle identità culturali, spesso sono anche esaltatori
della cultura americana e denigratori di quelle di altri Paesi, per esempio di
quella islamica. Quindi, implicitamente, essi ammettono che tali identità
esistono.
Coloro i quali sostengono che
esistano solo le identità nazionali, non riescono però a spiegare in modo
convincente in che cosa l’identità francese si distingua da quella spagnola o
italiana, quella tedesca da quelle olandese, svizzera o austriaca.
Infine, coloro che pensano che vi sia
una sola identità occidentale finiscono poi per attribuire tutti gli aspetti
positivi all’America, e quelli negativi all’Europa, in tal modo dimostrando,
una volta di più, che tali identità esistono.
Una serie di eventi culturali recenti, che fanno riferimento a questa unitarietà della cultura europea ci confortano in questo nostro assunto.
Citiamo, a questo proposito, come semplici esempi, alcuni prodotti culturali e mmanifestazioni che tendo a esaltare l'unitarietà e continuità della cultura europea:
-UNA SERIE DI RECENTI FILM, COME PER ESEMPIO, IL FAUST DI SOKUROV, MELANCHOLIA DI LARS VON TRIER, PINA DI WIM WENDERS, e MIDNIGHT IN PARIS, DI WOODY ALLEN;
-IL LIBRO "LA CIVILTA' DELL' EMPATIA", DI JEREMY RIFKIN;
-"IL MONDO DI PERICLE", DI LUCIANO CANFORA;
-"IO E DIO", DI VITO MANCUSO.
Ci riserviamo di ritornare fra breve su questi temi.
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