martedì 20 dicembre 2011

RIPARTIRE DA ZERO NEL SINDACALISMO EUROPEO

Il ministro torinese Elsa Fornero piange nell'anticipare le grandi linee della politica sociale di Monti.
La presentazione a Torino, a cura del Centro Einstein di Studi Internazionali, del libro di Emilio Gabaglio, Il modello sociale europeo e la Confederazione Europea dei Sindacati ci offre un'opportunità per svolgere, in questo momento di profonda trasformazione dell' Europa, una riflessione di lungo periodo su ciò che il sindacalismo rappresenta e può rappresentare per l' identità europea.
Le lacrime del ministro Fornero nel momento in cui il Governo Italiano

1.Breve storia del sindacalismo europeo.

Il carattere partecipativo è un tratto comune delle società più antiche, siano esse la democrazia di villaggio africana, oppure la "democrazia militare" dei popoli dei kurgan. E, tuttavia, l'Europa è, fra tutte le grandi civiltà, quella che più a lungo ha conservato,  e in modo coerente ,questo carattere originario,come  per esempio nelle poleis, nelle federazioni tribali del "Barbaricum", nelle comunità monastiche, nei collegia, nelle confraternite, nelle corporazioni, nei Comuni,  nelle repubbliche aristocratiche.

Quando, con le Rivoluzioni americana e francese, fa la sua comparsa la democrazia rappresentativa, la reazione fu ampia e articolata: dai Federalisti al Compagnonnage, dal Socialismo della Cattedra alla concezione istituzionale del diritto.

Il sindacalismo è un fenomeno specificatamente europeo, che ha pochi riscontri nel resto del mondo.

Esso esprime una forma di reazione all'avversione, propria della cultura liberale ottocentesca, alle antiche forme di democrazia partecipativa.

Agli attacchi, contro le antiche forme di rappresentanza, lanciati dalle monarchie assolute e dalla Rivoluzione francese (Decereto di Colleret Collet e Legge Le Chapelier), rispondono le rivolte luddiste in Inghilterra, i "movimenti sociali in Francia", studiati dal Barone Von Stein, il "socialismo della cattedra", l'"Organische Gedachte" dei Calvinisti olandesi di Abraham Kujper..

Lassalle organizzarà , nella Germania bismrckiana, il Partito Socialdemocratico come un esercito, rispondendo, così, all' appello del Kaiser ai "Soldaten der Arbeit".

E' la nascita della legislazione del lavoro, con la Gewerbeordnung del Norddeutscher Bund.

Il tradeunionismo britannico risponde alla Rivoluzione industriale inglese e si afferma nonostante la "spada di Damocle" della criminalizzazione, in base a cui l' associazionismo operaio viene equiparato a un "complotto" contro il Regno ("conspiracy").

Jean Sorel  sarà  il primo a interpretare il sindacalismo come una rivincita dell'uomo naturale, il lavoratore, contro le costrizioni intellettuali del perbenismo borghese, vedendo egli, nello Sciopero Generale, il nuovo mito, capace di ripristinare lo spirito eroico.

La Rivoluzione bolscevica ridarà slancio al massimalismo socialista, che troverà, in Antonio Gramsci, un teorico originale, che riuscirà brillantemente a conciliare la ricerca di nuove élites, tipica della "cultura alta" della prima metà del Novecento, con l'emergere della classe operaia.

L'occupazione del Lingotto costituisce il primo esempio di realizzazione pratica del mito sorelliano dello Sciopero Generale. E, tuttavia, non sarà Gramsci, ma Mussolini, a raccogliere quanto seminato dal Sindacalismo Rivoluzionario. In realtà, in esito agli eventi della Rivoluzione d' Ottobre, il sindacalismo rivoluzionario cominciava giù da allora a disertare l'alveo marxista, andando alla ricerca, sui più svariati lidi intellettuali, di una teoria che lo portasse al di fuori delle secche del burocratismo statalista. Intanto, è D'Annunzio a creare, con la Repubblica del Quarnaro, il primo esperimento di Stato sindacale del lavoro, retto dalla prima costituzione sociale della storia, la Carta del Quarnaro. 

 Un altro tentativo di sintesi sarà esperito da Gobetti, che, sempre nella Torino dell' occupazione delle fabbriche, concepisce la rivoluzione degli operai come la nuova Rivoluzione Liberale, capace di realizzare un Ordine Nuovo.

Sul piano europeo, Ernst Juenger, un eccezionale letterato che riesce in ogni momento a incarnare  plasticamente nelle sue opere i pensieri dominanti degli Europei, porta a termine la prima parte della sua trilogia sulla modernità europea, "Der Arbeiter", in cui questo nuovo stereotipo, tradotto come l'"operaio", configura il nuovo "tipo di uomo" dominante  sulla scena sociale europea,dominata dalla grande industria e dagli Stati Nazionali del Lavoro.

Sotto questa categoria, Juenger sussume tutti gli Stati autoritari del suo tempo, aventi, come loro caratteristica comune, il fatto di conferire un ruolo centrale al "lavoratore". E' l'ora dei "consigli degli operai, dei contadini e dei soldati"in Unione Sovietica, delle "Carte del Lavoro"nei paesi fascisti, degli "Accordi Fondamentali" in Scandinavia.

Anche la dottrina politica e economica attribuisce la massima importanza al fattore sindacale. L'Enciclica "Rerum Novarum", partendo da un' osservazione di Tocqueville , sul ruolo dei corpi intermedi nella lotta contro l'omologazione modernistica, apre la strada ad un corporativismo cattolico.

Corporativismo che era nell' aria in tutta Europa, e trova ler proprie maggiori manifestazioni nel corporativismo fascista (italiano, spagnolo e portoghese), ma anche nei tentativi inglesi e austriaci di contrapposizione tanto al liberalismo, quanto al fascismo che al comunismo. Un fenomeno noto come "Guilds Socialism".

2.La Democrazia Partecipativa del Lavoro come elemento fondante dell' Integrazione Europea.
 
I progetti di nuova sistemazione dell' Europa  dopo la Seconda Guerra Mondiale continuano  ad attribuire un ruolo centrale all' autoorganizzazione dei lavoratori.Ciò che è particolarmente impressionante è la consonanza fra i progetti elaborati dai movimenti politici più diversi, dalla Carta di Verona del fascismo repubblicano, ai progetti di costituzione europea del comandante partigiano Duccio Galimberti, al Manifesto di Ventotene del Movimento Federalista Europeo, ai nuovi ordinamenti dati all' Olanda e alla Jugoslavia dopo la fine del conflitto.

Negli Anni Cinquanta si elaborano, come conseguenze, forse inconsapevoli e non volute, di tutte queste tradizioni, i più compiuti esempi di ruolo centrale del sindacalismo, che si siano realizzati nel corso della storia. 

Parliamo qui, innanzitutto, del "Modell Deutschland", il quale, a nostro avviso, realizza in gran parte, senza saperlo, per l'effetto provvidenziale dell' "eterogenesi dei fini",  il massimo livello diattualizzazione storica dell' ideale europeo di partecipazione del mondo del lavoro alla gestione dello Stato e dell' economia.

Non è, questo, né il luogo, né il momento, per sviscerare logiche, origini, storia, caatteristiche, realtà e prospettive del modello tedesco.WE, tuttavia, non possiamo non tratteggiarne almeno qualche puntyo fondamentale. Elementi caratterizzanti che a noi parte di individuare nei seguenti aspetti:

-rifiuto della dittatura del PIL e privilegiamento della stabilità;

-eliminazione fattuale, anche se tacita, dello "spirito capitalistico", attraverso un'originale "governance d' impresa, che associa dinastie industriali e sindacalismo, Stato centrale e Regioni, finanza locale e internazionale;

-rivalutazione della dignità delle singole e specifiche professionalità, a cominciare da quella operaia, rivalutata attraverso una formazione di tipo scolastico, un riconoscimento  ufficiale pubblico e un ruolo di codeterminazione delle scelte aziendali.

Il "Modell Deutschland" ( "Stabilitaet/Foederalismus/Hausbank/Stiftungen/Betriebsverfassung/Berufsausbildung) costituisce l'elemento trainante di un'area centro-settentrionale dell' Europa (Francia, Paesi alpini, Benelux, Scandinavia), i quali, grazie alle misconosciute virtù di questo modello assolutamente in controtendenza, ha potuto prosperare in tutti questi decenni, trainando anche, perfino contro la loro volontà, gli altri Paesi d' Europa (come per esempio la Francia gaullista e l' Italia dello Statuto dei Lavortatori).Si potrebbe perfino, a nostro avviso, scrivere una storia sociale dell' Europa basata sull' ininterrotta lotta di questo modello sociale contro il "modello sociale occidentale".

La stessa "costituzione materiale" dell' Europa è rimasta, in ultima  analisi, profondamente influenzata da quest' eredità.

Basti pensare al dialogo sociale europeo e alle direttive sulla partecipazione dei lavoratori.

E, tuttavia, proprio questa coessenzialità fa sì che la costruzione europea soffra di tutte le debolezze del modello sociale europeo.

Innanzitutto, debolezze culturali e psicologiche, che derivano dall' avere accettato una "dittatura culturale" di una virtuale "Europa Occidentale", che non rende giustizia a quell'esigenza di "centralità", da cui nasce la stessa integrazione europea .

Per esempio, una certa vergogna nel riconoscere le proprie origini, come accadeva già a Toennies e a Gramsci. Per esempio, nel "mettere il silenziatore" ad aspetti fondamentali della propria storia, come è accaduto con Gobetti e Galimberti. Per esempio, nel privilegiare esperienze lontane, come è accaduto a egregi giuslavoristi come Treu e il compianto, ma anche un pò troppo beatificato, Biagi.

Poi, debolezze politiche nei confronti di tendenze, pur reali nel movimento dei lavoratori, ma non corrispondenti al suo filone fondamentale, come per esempio i diktat ideologici della Terza Internazionale e i finanziamenti occulti dell 'AFL-CIO.

Infine, del fatto che l' Europa, a partire, sotto certi aspetti, dagli stessi Padri Fondatori, si è concepita come intellettualmente dipendente dagli Stati Uniti. E questo ha certamente sminuito, e continua a sminuire, il ruolo, nel nostro Continente, del movimento dei lavoratori, il quale, sia detto chiaramente, in America non ha mai contato nulla.

E, certamente, se questa debolezza ha colpito, ovviamente, innanzitutto il Regno Unito, e, poi, l'Italia, essa non ha lasciato indenni, né la Penisola Iberica, né la Francia, né le stesse Europa Centrale e Orientale.

E'per questo che, nonostante  tutte le lodevoli premesse, in Europa, il movimento sindacale europeo continua a cumulare delle sconfitte. Gli intellettuali del "mainstream" vogliono convincerci che non ci sia nulla da fare, in quanto il modello tecnocratico del ceto medio avrebbe travolto, per obiettivi motivi di evoluzione tecnologica, il modello eroico del "lavoratore".

Noi non siamo d'accordo. 

L'Europa sta lottando, senza accorgersi, per difendere la propria identità contro le forze impersonali della globalizzazione. Tutte le forze che, insieme, costituiscono il "nocciolo duro" dell' Identità Europea sono chiamate a partecipare a questa lotta. Il sindacalismo europeo è una di queste forze.  Come per tutte le altre fiorze dell' Europa (intelligenzija, etnie, religioni, management, realtà locali, immigrati, giovani), essa potrà sopravvivere solamente, e nella misura in cui, esso si unirà alle altre forze che combattono per l'Europa. Le formali manifestazioni di solidarietà per l'ideale europeo sono inutili, perchè misconoscono che l'integrazione europea è una questione di lotta, una lotta di cui quella dei lavoratori è semplicemente una parte.

Un altro aspetto, sempre misconosciuto, ma che, oggi, dovrebbe essere valorizzato al 10%, almeno, e/o soprattutto, dai sindacati: nonostante settant'anni di "Germany bashing", di strumentale propaganda distruttiva contro la Germania, la Mitteleuropa e il suo sistema sindacale, sociale e politico, addirittura dopo 70 anni, la Germania sta vivendo ora, finalmente, il più fulgido momento della vittoria del proprio sistema socio-economico.

Paradossalmente, solo la Germania e i Paesi che condividono i suoi valori escono vittoriosi dalla crisi generalizzata del sistema socio-economico "occidentale", fondato su principi diametralmente opposti a quelli della Germania e della Mitteleuropa. Se non fossimo dominati da una cultura politicizzata, ciò dovrebbe, ovviamente, fare oggerto di un' approfondita riflessione. Cosa che, invece, non è.

Chiediamo, ovviamente, a tutti,e, fra gli altri, in primo luogo,ai sindacalisti, di prendere atto di quelle semplici, ma inequivocabili, realtà. Il che dovrebbe avere come conseguenza, innanzitutto, una chiara autocritica, da parte di coloro che hanno creduto nella rivoluzione comunista, e/o nell' autonomia della classe operaia sul modello del sindacalismo inglese, e/o nel sindacalismo democratico di tipo anglosassone. Tutti questi modelli culturali hanno portato alla sconfitta dei lavoratori europei. Costituisce, oggi, un vero e proprio obbligo morale dei sindacalisti  europei cambiare i loro paradigmi culturali, adottando quelli che possono dare forza alle loro lotte. Orbene, il solo paradigma che può aggiungere forze alle lotte dei sindacalisti europei è, oggi,  la lotta per l' integrazione, l'unità e la forza dell' Europa.

Occorre, ora, cominciare una battaglia culturale, sociale e politica, per rovesciare mezzo secolo di disgregazione della società europea, creando, con ciò,  una nuova cultura.

In campo economico e sociale, ciò significa, a nostro avviso, rovesciare l'idea di un sistema fondato sull' effimero ( Wall Street; la "contendibilità"; la flessibilità; il costo del lavoro), per passare alla stabilità e alla permanenza (l'Europa; le imprese per l' Europa e per il Territorio; la professionalità come baluardo della forza del Territorio nel mondo;  lavoratori ultra-qualificati, quali garanzia di imprese all' avanguardia mondiale).

3. Cosa dovrebbe  fare il movimento sindacale europeo.

Noi non stiamo certo dettando al movimento sindacale europeo le sue regole di condotta a causa di una nostra congenita megalomania, anche se siamo sempre stati, paradossalmente, sinacalisti, anche sem ancora paradossalmente, del management. Al contrario, ci vediamo costretti  a proporre una nostra "ricetta" per salvare il movimento sindacale europeo, perchè stiamo constatando, ogni giorno di più, che, se lasciato a se stesso, quest'ultimo, il quale costituisce una parte integrante ed essenziale delle forze di cui l' Europa può disporre, si sta avviando verso l'autodistruzione.

(i) Unirsi agli sforzi dei pochi, ma determinati, intellettuali europei,  che si battono per ridefinire la"Identità Europea";

(ii) Restituire ai lavoratori europei (ben più numerosi degli "operai"), l'orgoglio di costituire una parte integrante e essenziale della società europea ("ius activae civitatis");

(iii) Divenire la "punta di diamante" della lotta politica contro quest' Europa tecnocratica e globalizzata, per un'Europa della cultura, della partecipazione, della qualità della vita.

Come è possibile raggiungere un siffatto risultato?:

(i)non disdegnare di partecipare al dibattito fra gli Europeisti sul futuro del Modello Socio-Politico Europeo;

(ii)partecipare agli  sforzi di coordinamenrto fra le pià svariate  forze filo-europeiste, per portare avanti, nei più diversi ambienti sociali, una lotta vigorosa  di lungo periodo per un' Europa Una, Libera e Forte;

(iii) porre, al centro della Vostra (a nostro avviso, ancor sempre necessaria), battaglia, l'applicazione, in tutto il nostro Continente, dei principi che hanno reso  grandi e vittoriosi, la Germania in generale, e la Mitteleuropa in particolare: 

STABILITA', FEDERALISMO, COGESTIONE, AMBIENTALISMO !!!

 Il Movimento  Sindacale Europeo (nel quale, paradossalmente, ci identifichiamo), liberato, da un lato, dalle sue pastoie ideologiche, e, dall'altro, da una limitativa ottica economicistica, potrà tornare, a nostro avviso, a rappresentare la "punta di diamante" del Movimento Europeistico, solo nella misura in cui sappia accettare questa modesta proposta, di riconoscere le sue radici e LA  SUA MISSIONE.

Solo se la "Soziale Bewegung" di cui parlava von Stein saprà ritornare alle sue radici europee, l'Europa potrà conseguire il suo, sempre più agognato, obiettivo:un mondo e una società armonica, non ideologica, e prossima alla natura, in cui anche i "lavoratori" (cioè quasi tutti noi) possano trovare un loro "ubi consistam" (senza che nessuno imponga loro un progetto prefabbricato di "salvezza").

Solo  se  perseguiremo, con eroica determinazione, gli obiettivi quali sopra delineati, diverrà possibile ciò che è, oggi, sommamente necessario:che gli Europei, popolo diverso e ramificato quant'altri mai,  possa identificarsi con un progetto, individuale e collettivo, per tutti accettabile,senza dover  essere tutti schacciati dalle forze impersonali della Globalizzazione.

Solo in questo modo diverrà possibile che i nostri/le nostre intellettuali-lavoratori/lavoratrici , come per esempio il Ministro Fornero (vedi immagine), non debbano più vergognarsi (come ci vergogniamo, ahimé,  tutti) di questo mondo di cui noi non ci sentiamo, in verità, partecipi.


Noi siamo l'unica via di uscita delle Vostre contraddizioni. E'ovvio che non lo possiate accettare, visto che, su questo, avete basato le Vostre carriere. Però, la logica vuole che dovrete, prima o poi, volenti o nolenti, accettarlo.Per sopravvivere. Per dare una logica a quello chev



Ovviamente, tutto ciò si presta ad ogni forma di dibattito.


Noi, intellettuali europei, siamo pronti a questo confrnto. Attendiamo a piè fermo i sindacalisti.
















































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