Germany, Europe's Social Heartland
L'Allemagne, le Coeur social de l' Europe
Deutschland, Europas schlagendes Herz
L’estrema debolezza dimostrata
dall’Europa nel corso della recente crisi economica mondiale, e, ancora
recentissimamente, l’incredibile difficoltà con cui la stessa sta tentando di
adottare strumenti più adeguati per orientare l’economia dell’area Euro,
dovrebbero imporre a tutti gli ambienti un severo esame di coscienza,
riconoscendo che, nel complesso, tutti i sistemi di pensiero e di azione
politica europea dovrebbero svolgere una radicale autocritica.
Infatti, solamente se si comprenderà
perché non si è previsto quanto accaduto, e/o agito a sufficienza per prevenirlo, sarà possibile apportare,
all’attuale realtà, le modifiche realmente necessarie.
Partirei, quindi, da due ordini di
osservazioni:
- in
primo luogo, dal fatto che, nonostante che la crisi, vale a dire la riduzione
del tasso di crescita, stia colpendo, in un modo o nell’altro, tutti i Paesi del
mondo, vi sono almeno tre Paesi che, nonostante tutto, sono riusciti, fino ad ora, a
mantenere un tasso di crescita costante ed elevato: la Cina, l’America e la Germania.
Per
ciò che concerne la Cina,
le ragioni sono, a nostro avviso, evidenti:
-la
Cina ha avuto, per 6000 anni e fino ad un secolo fa, il PIL
più elevato del mondo, sicché la drastica riduzione dello stesso si spiega solo
con le invasioni straniere e le guerre civili, che sono finite con la Rivoluzione Culturale;
-la
Cina è, con l’India, l’unico Paese ad avere un sistema di
governo economico adeguato ai tempi, cioè a livello sub-continentale;
-il fatto di avere centinaia di milioni di
persone al di sotto del limite di povertà non è, certo, un ostacolo, bensì permette di accelerare rapidamente,
con un’azione pubblica, il tasso di crescita, ogniqualvolta ciò si riveli
necessario;
Gli
Stati Uniti riescono ancora a scaricare sugli altri peasi gli effetti negativi delle proprie
crisi, attraverso l’uso del dollaro come moneta di riserva, il controllo dei
meccanismi finanziari mondiali, l’utilizzo delle leve militare e mediatica.
A nostro avviso, quella dialettica di
tipo veteroideologico, che è stata utilizzata per spiegare, in passato, i punti di forza della
Germania, si sta rivelando, oggi, insufficiente, portando, con ciò, alla luce
l’erroneità delle interpretazioni correnti, e l’imprescindibilità di una
nuova, diversa, interpretazione.
Si è detto che la Germania ha più alti
livelli tecnologici e maggiore competitività, che le permettono di esportare
anche con una moneta forte. Ma perché ciò è possibile, se anche la Germania Occidentale,
come l’Italia, dopo la guerra, era distrutta, le sue attrezzature ed i suoi
specialisti venivano portati nei Paesi vincitori, e se anche la Germania Est, come l’Ungheria, la Lettonia e la Romania, era stata
completamente comunistizzata?
Noi avremmo una ben precisa spiegazione, certo diversa da quelle azzardate dalle diverse scuole.Per ragioni complesse, riconducibili, in ultima analisi, alla storia della
cultura tedesca, in Germania, dopo la 2ª Guerra Mondiale, si costruì un
sistema sociale inedito, irriducibile a quelli degli Stati Uniti e a quelli di buona
parte dell’Europa Occidentale, ma con grandi affinità solo con quello olandese, e
notevoli affinità con quelli francese, scandinavo e austriaco.
Tale sistema era, ed è ancor ora,
fondato su quattro pilastri fondamentali:
- una politica
di stabilità, come strumento di freno al leverage finanziario;
- sostanziale
socializzazione delle grandi imprese, dove la cogestione paritaria, la fine
delle grandi famiglie, il ruolo delle banche, dello Stato e dei Länder, fanno sì
che l’impresa non venga gestita nell’interesse degli azionisti, bensì in quelli
complessivi degli stakeholders (in coerenza con le ancestrali teorie della "concezione istituzionale dell' impresa");
- il
riconoscimento di un ruolo centrale della classe operaia, fondato su due
pilastri: la forte professionalizzazione attraverso l’apprendistato, e il forte
ruolo del sindacato;
- il
ruolo centrale delle famiglie nelle piccole imprese, caratterizzato da
particolari forme statutarie, fondate, non già sul livello della partecipazione
azionaria di ciascuno, bensì su principi ereditari e consensualistici;
- la
forte integrazione fra città e campagna, fabbrica e agricoltura;
- una
tradizione di energica legislazione a tutela del lavoro, la quale risale addirittura a
Goethe e a Bismark, e che prevale addirittura sulla volontà delle parti
sociali.
È questo sistema sociale ad avere
prodotto i risultati che oggi tutti ammirano.Non essendo ossessionate né
dall’esigenza di chiudere positivamente l’esercizio, né dai conflitti
successori, le imprese hanno continuato ad investire ininterrottamente nella
formazione del personale, nella ricerca e sviluppo, nel rafforzamento dei
marchi, nelle acquisizioni all’estero. Grazie a questa politica, i prodotti
tedeschi si situano tutti nelle fasce alte, ad altissimo valore aggiunto
(esempi tipici, Mercedes, BMW, Bosch, Miele). Tali prodotti non possono essere
prodotti se non da manodopera altamente qualificata, la quale viene
corrispondentemente remunerata.
Grazie a queste caratteristiche della
propria produzione, la
Germania non teme la concorrenza dei prodotti a basso costo,
e riesce comunque ad esportare anche nei momenti di crisi.L’Euro forte ha ulteriormente
favorito queste caratteristiche della Germania, da un lato, impedendo agli
altri Paesi europei di difendersi con svalutazioni competitive, e, dall’altro,
costringendo ancora di più le imprese tedesche a distinguere nettamente fra
produzioni ad alto valore aggiunto, da mantenersi in Germania, e le altre
produzioni, da delocalizzarsi.
Il progressivo diffondersi, anche in
Germania, delle ideologie della globalizzazione (socialismo, capitalismo;
flessibilità, tutela del lavoro) ha fatto sì che, spesso, neppure i Tedeschi si
rendano conto dell’esatto profilo del loro sistema. Figuriamoci , poi, gli stranieri. Per questo, anche i dibattiti sulle
future strutture di governance europea ne risultano falsate, perché il problema
non è quello di un equilibrio fra diverse formule giuridico-economiche, bensì
quello fra diverse strutture socio-economiche.
Ma, soprattutto, quest' errata
interpretazione ideologica non ha consentito , fino ad ora, un adeguato dibattito sull’opportunità,
e/o sull’imprescindibilità, per tutti gli Europei, di confrontarsi con il
sistema tedesco, e, anzi, forse, addirittura, di imitarlo.
Le ragioni per le quali i pochi
conoscitori del sistema tedesco lo hanno, in passato, sconsigliato, erano, a
nostro avviso, prettamente ideologiche:
- secondo
i "cantori" delle capacità taumaturgiche del ceto imprenditoriale italiano, la
cogestione alla tedesca e il ruolo centrale della classe operaia avrebbero
posto in essere un sistema rigido, che avrebbe frenato la grande capacità di
produrre ricchezza, che secondo costoro, sarebbe stata tipica dell’imprenditoria italiana;
- secondo
i fautori delle liberalizzazioni, i vincoli statutari delle grandi e piccole
società tedesche avrebbero impedito i benefici effetti della "contendibilità"
delle imprese (che, in effetti, in Germania non c’è mai stata), permettendo il
mantenimento e il rafforzamento di tutto il sistema imprenditoriale tedesco,
mentre invece, in Italia,l’Olivetti ha ceduto tutte le sue tecnologie all’estero, la Montedison non esiste
più, la Fiat è
in gran parte americana, eccetera;
- secondo
i fanatici della globalizzaione, le "metropoli tentacolari" sono in assoluto meglio delle
campagne arretrate, e, pertanto, il legame con la campagna, vera radice
sostanziale dell’ambientalismo, viene demonizzato.
A noi sembra che ciò che è accaduto in
questi ultimi anni dimostri che tutte queste teorie sono infondate. La Germania è riuscita a
sopravvivere brillantemente a una temperie assolutamente catastrofica, in cui
tutti coloro che hanno seguito le teorie opposte si trovano, ormai, in gravissime difficoltà.
Si deve, e/o si può, imitare la Germania?
A nostro avviso, se si vuole che
l’Europa possa costituire un ambito unitario di politica economica, capace non
solo di salvaguardare l’“acquis communaitaire”, bensì anche andare avanti nel
piano di realizzazione delle politiche sociali iscritte nei documenti europei,
non c’è altra soluzione se non lanciare un grandioso piano di graduale
trasformazione delle culture politiche, delle legislazioni e delle strutture di
potere di tutti i Paesi Europei, pur tenendo presente che, fortunatamente, non
sussisterà sempre una diversità fra le identità dei vari territori, che
sventerà comunque sempre il rischio di un’omologazione.
Il punto è che l’Europa ritorni a
seguire, come direttiva, il proprio specifico modello di sviluppo,
allontanandosi, invece, dal modello dell’omologazione e della globalizzazione,
che, come dimostrano i fatti, non è adeguato alle nostre società, e ci sta
portando alla catastrofe.
A nostro avviso, un siffatto modello europeo di sviluppo "tedesco" è, sostanzialmernte, il modello europeo.
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