martedì 20 dicembre 2011

COPIARE LA GERMANIA

Germany, Europe's Social Heartland
L'Allemagne, le Coeur social de l' Europe
Deutschland, Europas  schlagendes Herz

 L’estrema debolezza dimostrata dall’Europa nel corso della recente crisi economica mondiale, e, ancora recentissimamente, l’incredibile difficoltà con cui la stessa sta tentando di adottare strumenti più adeguati per orientare l’economia dell’area Euro, dovrebbero imporre a  tutti gli ambienti  un severo esame di coscienza, riconoscendo che, nel complesso, tutti i sistemi di pensiero e di azione politica europea dovrebbero svolgere una radicale autocritica.

Infatti, solamente se si comprenderà perché non si è previsto quanto accaduto,  e/o agito a sufficienza per prevenirlo, sarà possibile apportare, all’attuale realtà, le modifiche realmente necessarie.

Partirei, quindi,  da due ordini di osservazioni:

-     in primo luogo, dal fatto che, nonostante che la crisi, vale a dire la riduzione del tasso di crescita, stia colpendo, in un modo o nell’altro, tutti i Paesi del mondo, vi sono almeno tre Paesi che, nonostante tutto, sono riusciti, fino ad ora, a mantenere un tasso di crescita costante ed elevato: la Cina, l’America e la Germania.

        Per ciò che concerne la Cina, le ragioni sono, a nostro avviso,  evidenti:

       -la Cina ha avuto, per 6000 anni e fino ad un secolo fa, il PIL più elevato del mondo, sicché la drastica riduzione dello stesso si spiega solo con le invasioni straniere e le guerre civili, che sono finite con la Rivoluzione Culturale;
          -la Cina è, con l’India, l’unico Paese ad avere un sistema di governo economico adeguato ai tempi, cioè a livello sub-continentale;

          -il fatto di avere centinaia di milioni di persone al di sotto del limite di povertà non è, certo, un ostacolo, bensì permette di accelerare rapidamente, con un’azione pubblica, il tasso di crescita, ogniqualvolta ciò si riveli necessario;

Gli Stati Uniti riescono ancora a scaricare sugli altri peasi gli effetti negativi delle proprie crisi, attraverso l’uso del dollaro come moneta di riserva, il controllo dei meccanismi finanziari mondiali, l’utilizzo delle leve militare e mediatica.


A nostro avviso, quella dialettica di tipo veteroideologico, che è stata utilizzata per spiegare, in passato,  i punti di forza della Germania, si sta rivelando, oggi, insufficiente, portando, con ciò, alla luce l’erroneità delle interpretazioni correnti, e l’imprescindibilità di una nuova, diversa, interpretazione.

Si è detto  che la Germania ha più alti livelli tecnologici e maggiore competitività, che le permettono di esportare anche con una moneta forte. Ma perché ciò è possibile, se anche la Germania Occidentale, come l’Italia, dopo la guerra, era distrutta, le sue attrezzature ed i suoi specialisti venivano portati nei Paesi vincitori, e se anche la Germania Est, come l’Ungheria, la Lettonia e la Romania, era stata completamente comunistizzata?

Noi avremmo  una ben precisa spiegazione, certo diversa da quelle azzardate dalle diverse scuole.Per ragioni complesse, riconducibili, in ultima analisi, alla storia della cultura tedesca, in Germania, dopo la 2ª Guerra Mondiale, si costruì un sistema sociale inedito, irriducibile a quelli degli Stati Uniti e a quelli di buona parte dell’Europa Occidentale, ma con grandi affinità solo con quello olandese, e notevoli affinità con quelli francese, scandinavo e austriaco.

Tale sistema era, ed è ancor ora, fondato su quattro pilastri fondamentali:

-      una politica di stabilità, come strumento di freno al leverage finanziario;

-     sostanziale socializzazione delle grandi imprese, dove la cogestione paritaria, la fine delle grandi famiglie, il ruolo delle banche, dello Stato e dei Länder, fanno sì che l’impresa non venga gestita nell’interesse degli azionisti, bensì in quelli complessivi degli stakeholders (in coerenza con le ancestrali teorie della "concezione istituzionale dell' impresa");

-    il riconoscimento di un ruolo centrale della classe operaia, fondato su due pilastri: la forte professionalizzazione attraverso l’apprendistato, e il forte ruolo del sindacato;

-      il ruolo centrale delle famiglie nelle piccole imprese, caratterizzato da particolari forme statutarie, fondate, non già sul livello della partecipazione azionaria di ciascuno, bensì su principi ereditari e consensualistici;

-      la forte integrazione fra città e campagna, fabbrica e agricoltura;

-     una tradizione di energica  legislazione a tutela del lavoro, la quale  risale addirittura a Goethe e a Bismark, e che prevale addirittura sulla volontà delle parti sociali.

È questo sistema sociale ad avere prodotto i risultati che oggi tutti ammirano.Non essendo ossessionate né dall’esigenza di chiudere positivamente l’esercizio, né dai conflitti successori, le imprese hanno continuato ad investire ininterrottamente nella formazione del personale, nella ricerca e sviluppo, nel rafforzamento dei marchi, nelle acquisizioni all’estero. Grazie a questa politica, i prodotti tedeschi si situano tutti nelle fasce alte, ad altissimo valore aggiunto (esempi tipici, Mercedes, BMW, Bosch, Miele). Tali prodotti non possono essere prodotti se non da manodopera altamente qualificata, la quale viene corrispondentemente remunerata.

Grazie a queste caratteristiche della propria produzione, la Germania non teme la concorrenza dei prodotti a basso costo, e riesce comunque ad esportare anche nei momenti di crisi.L’Euro forte ha ulteriormente favorito queste caratteristiche della Germania, da un lato, impedendo agli altri Paesi europei di difendersi con svalutazioni competitive, e, dall’altro, costringendo ancora di più le imprese tedesche a distinguere nettamente fra produzioni ad alto valore aggiunto, da mantenersi in Germania, e le altre produzioni, da delocalizzarsi.

Il progressivo diffondersi, anche in Germania, delle ideologie della globalizzazione (socialismo, capitalismo; flessibilità, tutela del lavoro) ha fatto sì che, spesso, neppure i Tedeschi si rendano conto dell’esatto profilo del loro sistema. Figuriamoci , poi, gli stranieri. Per questo, anche i dibattiti sulle future strutture di governance europea ne risultano falsate, perché il problema non è quello di un equilibrio fra diverse formule giuridico-economiche, bensì quello fra diverse strutture socio-economiche.

Ma, soprattutto, quest' errata interpretazione ideologica non ha consentito , fino ad ora, un adeguato dibattito sull’opportunità, e/o sull’imprescindibilità, per tutti gli Europei, di confrontarsi con il sistema tedesco, e, anzi, forse, addirittura, di imitarlo.

Le ragioni per le quali i pochi conoscitori del sistema tedesco lo hanno, in passato, sconsigliato, erano, a nostro avviso, prettamente ideologiche:

-      secondo i "cantori" delle capacità taumaturgiche del ceto imprenditoriale italiano, la cogestione alla tedesca e il ruolo centrale della classe operaia avrebbero posto in essere un sistema rigido, che avrebbe frenato la grande capacità di produrre ricchezza,  che secondo costoro, sarebbe stata tipica  dell’imprenditoria italiana;

-    secondo i fautori delle liberalizzazioni, i vincoli statutari delle grandi e piccole società tedesche avrebbero impedito i benefici effetti della "contendibilità" delle imprese (che, in effetti, in Germania non c’è mai stata), permettendo il mantenimento e il rafforzamento di tutto il sistema imprenditoriale tedesco, mentre invece, in Italia,l’Olivetti ha ceduto tutte le sue tecnologie all’estero, la Montedison non esiste più, la Fiat è in gran parte americana, eccetera;

-     secondo i fanatici della globalizzaione, le "metropoli tentacolari" sono in assoluto meglio delle campagne arretrate, e, pertanto, il legame con la campagna, vera radice sostanziale dell’ambientalismo, viene demonizzato.

A noi  sembra che ciò che è accaduto in questi ultimi anni dimostri che tutte queste teorie sono infondate. La Germania è riuscita a sopravvivere brillantemente a una temperie assolutamente catastrofica, in cui tutti coloro che hanno seguito le teorie opposte si trovano, ormai,  in gravissime difficoltà.

Si deve, e/o si può, imitare la Germania?

A nostro avviso, se si vuole che l’Europa possa costituire un ambito unitario di politica economica, capace non solo di salvaguardare l’“acquis communaitaire”, bensì anche andare avanti nel piano di realizzazione delle politiche sociali iscritte nei documenti europei, non c’è altra soluzione se non lanciare un grandioso piano di graduale trasformazione delle culture politiche, delle legislazioni e delle strutture di potere di tutti i Paesi Europei, pur tenendo presente che, fortunatamente, non sussisterà sempre una diversità fra le identità dei vari territori, che sventerà comunque sempre il rischio di un’omologazione.

Il punto è che l’Europa ritorni a seguire, come direttiva, il proprio specifico modello di sviluppo, allontanandosi, invece, dal modello dell’omologazione e della globalizzazione, che, come dimostrano i fatti, non è adeguato alle nostre società, e ci sta portando alla catastrofe.

A nostro avviso, un siffatto modello europeo di sviluppo "tedesco" è, sostanzialmernte, il modello europeo.


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