giovedì 21 luglio 2011

FINALMENTE IL DISCORSO E' CHIARO SULLA POLITICA ESTERA E DI DIFESA COMUNE

                                                      Sobieski con il Principe Eugenio sotto le mura di Vienna
How to React to Hague's Destructive Comments
Comment réagir aux comments destructif de Hague
Wie kann man zu Hagues zerstoererischen Bemerkungen reagieren?

Stranissima partenza per la Presidenza polacca dell' Unione. Inaspettatamente, questa aveva inserito, fra le proprie priorità, l' avanzamento della Politica Estera e di Difesa Comune, che giace nel sonno da circa vent'anni. Cosa, questa, già notevole, essendo stata la Polonia per lungo tempo, cioè ai tempi dei Fratelli Kaczinski, un paese assolutamente atlantista. Altra novità, l' idea di un comando generale comune, da collocarsi in Inghilterra, era condivisa da Lady Ashton, Inglese e Alta Commissaria per la Politica Estera e di Difesa Comune.

Eppure, non appena la proposta è emersa, essa è stata bocciata dal Minisdtro britannico della Difesa, con la classica argomentazione americana che tale comando costituirebbe un inutile doppione del comando SHAPE della NATO e, quindi, indebolirebbe, anziché rafforzare, la NATO stessa, unico strummento di difesa di tutto l' Occidente.

A questo punto, Lasy Ashton ha commentato che la posizione di Hague è eguale a quella dei precedenti governi laburisti, e che quindi non costituisce una sorpresa. Altri fanno notare che, se Francia,Germania,Polonia e Italia volessero veramente una Politica Estera e di Difesa Comune, basterebbe che lanciassero una Cooperazione Rafforzata.

La realtà vera è che non si possono distinguere la politica estera dell' Europa e la Difersa Comune.

I vari Governi europei sono divisi al 100% sulla loro visione del futuro assetto mondiale.

L'Italia non vede alcun problema nell'accresciuto peso dei BRIC e della Turchia, tant' è vero che   ha stipulato importanti accordi strategici con questi Paesi, fra cui quelli petroliferi, aereonautici e di difesa con la Russia, quello con la Cina per il Porto di Taranto e quelli per lòa difesa con la Turchia e perfino con la Libia di Gheddafi.

La Germania vorrebbe soprattutto evitare coinvolgimenti in nuove guerre.

La Francia vorrebbe farsi delegare dagli Stati Uniti un ruolo egemone sulle attività militari dell' Europa, continuando a interferire nella politica africana.

L'Inghilterra è interessata solamente all' alleanza con l' America.

Per poter condurre una politica estera e di difesa comune occorre vedere nello stesso modo il ruolo dell' Europa nel mondo.

Orbene, non c'è un' idea europea su questo punto. Il "sistema occidentale" deve tentare di espandersi all' infinito, con la sua ideologia, le sue élites, le tecnologie del post-umano, il suo sistema onnipervasivo di "intelligence",il suo individualismo di massa,  la sua finanza senza controllo, le sue multinazionali,  la sua spesa militare pari al 50% di quella mondiale, ecc...?Oppure siamo favorevoli ad uno scenario in cui, come dice Martin Jacques, "China Rules the World". Vogliamo imporre i sistemi occidentali con il "soft power" anziché con la forza come gli Stati Uniti? Vogliamo un mondo multipolare come propone la Russia? Accettiamo di coprire a nostre spese la ritirata dell' America dai fronti più caldi, come vorrebbe Sarkozi? Vogliamo continuare a essere una "potenza civile", come vuole la Germania, pronunziando sermoni e lasciando che gli altri se la sbrighino?


I punti di vista sono così disparati che, in altri tempi, la decisione sarebbe spettata alle armi.Oggi, fortunatamente, una guerra o una guerra civile fra gli Europei non è ipotizzabile. Tuttavia, questo ha paralizzato il processo decisionale. Non è vero che con un vero governo europeo le cose migliorerebbero, perchè anche all' interno di un Parlamento o di un governo ci possono essere i punti di vista più disparati. Il problema a monte è quello di raggiungere una maggiore omogeneità culturale. Non certo un' omoplogazione, bensì il raggruppamento intorno ad alcuni poli principali di pensiero.

Per fare ciò ci vogliono più cultura e più politica. Le posizioni sono disparate perchè sono quelle di restretti circoli nazionali autoperpetuantisi, che non lasciano alcuno spazio di intervento, né alla società civile, né alla cultura. Ma, visto che non si può bloccare tutto in attesa che gli Europei abbiano studiato e discusso abbastanza, la nostra modesta proposta è quella di non cominciare dal tetto, ma dalle fondamenta. Non dal Comando Generale, ma dalla "cellula di analisi"; non dai "Corpi Europei", ma da un' Accademia Militare Europea, non da spedizioni comuni, ma da un' "Intelligence" comune, ecc...

mercoledì 13 luglio 2011

OMAGGIO A OTTO D'ASBURGO

Death of Otto of Habsburg, leader of Paneuropa.
Mort d' Otto d'Habsbourg, leader de Paneuropa.
Tot von Otto von Habsburg, Leader von Paneuropa.

E'deceduto Ottone d'Asburgo-Lorena, erede della Casa d'Asburgo, leader di Paneuropa e europarlamentare tedesco. 
Ottone divenne Principe Reale ed Imperiale delle Corone d'Austria e d'Ungheria quando suo padre, l'Arciduca Carlo, ascese al trono.
Alla conclusione della prima guerra mondiale, le potenze vincitrici imposero l'esilio degli Asburgo e la costituzione della Repubblica Austriaca.Il Regno  d'Ungheria riuscì invece a salvaguardarsi. Tuttavia i franco-britannici impedirono agli Asburgo di recarsi in Ungheria a riottenere la Corona, sicché l'Ungheria rimase un Regno con trono vacante sino alla seconda guerra mondiale, sotto la reggenza dell'ammiraglio Miklos Horthy.
Nel frattempo, il Parlamento austriaco aveva ratificato l'esilio per la dinastia degli Asburgo e aveva provveduto a confiscarne tutte le proprietà ufficiali (Habsburgergesetz, 3 aprile 1919).
Dalla morte del padre e per tutto il tempo che egli rimase in esilio con la sua famiglia, Ottone si considerò il legittimo imperatore d'Austria, ribadendolo in diverse occasioni.
Fervente patriota austriaco, Ottone si oppose all'Anschluss nazista dell'Austria.  Ottone, ricercato dai nazisti, fu costretto a lasciare l'Europa ed a raggiungere Washington (1940 – 1944).I suoi cugini Massimiliano duca di Hohenberg ed il principe Ernesto di Hohenberg vennero arrestati ed inviati in un campo di concentramento sino alla fine della guerra.Negli anni a seguire Ottone si  adoperò per l'Europa unificata come presidente dell'Unione Paneuropea Internazionale, titolo che era stato di Richard Coudenhove-Kalergi
Dal 1979 sino al 1999 fu membro del Parlamento Europeo per la CSU.  Nell'ambito del suo impegno come parlamentare si adoperò fortemente per l'allargamento  dell'Unione Europea, in particolar modo per l'ammissione di Ungheria, Slovenia e Croazia .


 

lunedì 4 luglio 2011

EGEMONIA CULTURALE POST-MARXISTA

 

Gramsci - Star of Anglosaxon Liberals
Gramsci, vedette des libéraux anglo-saxons.
Gramsci, ein Modell fuer angelsaechsische Liberalen.

Lunedì 4 luglio, è comparso, su "La Stampa", un articolo di Massimiliano Panerari sulla fortuna di Gramsci nella cultura anglosassone. L'Autore cita, come esempi,  Cornel West, Stuart Hall, Ranajit Guha, Parthe Chatterjee, Rush Limbaugh, James Thornton, Herbert London.Noi ricordiamo anche che lo stesso ex ministro  Sandro Bondi aveva proposto  di  rispolverare Gramsci per costruire un' "egemonia culturale di destra".

1.Da St.Simon a Gramsci

A noi, questa fortuna dell' autore comunista degli Anni 20 e 30 non stupisce, non solo perchè ne conosciamo la ricchezza e la profondità, ma anche perchè era noto da parecchi decenni che la sua visione culturale e politica rappresentava, per così dire, il ritorno del Marxismo verso le sue fonti "democratiche" della Sinistra hegeliana   , attraverso una rilettura della cultura italiana, e, in particolare, di Giovanni Gentile.

Il Marxismo nasce come uno fra i tentativi ottocenteschi di concretizzazione della "Religione dei Moderni" di St.Simon, fondata sulla sostituzione, alla fede nell' escatologia spirituale ed individuale, di un' escatologia materiale e collettiva.

Come il pensiero di St.Simon, anche quello di Marx è ambiguo: da un lato, esso non riesce ad immaginare la Salvezza terrena dell' Umanità nella Società Comunista se non come la descrizione della vita oziosa dell' aristocrazia decadente dei suoi tempi; dall' altra, egli esalta,come portatori di una spinta rivoluzionaria, i primi capitalisti del suo tempo, i quali, attraverso la diffusione dell' industrialismo in tutto il mondo, creavano le premesse per le successive rivoluzioni socialista e comunista.In definitiva, sfugge tanto la molla che, in una concezione materialistica ed immanentistica, dovrebbe spingere l' umanità verso la rivoluzione, quanto la specificità della cultura proletaria rispetto a quelle dell' Ancien Régime e della borghesia.

Il marxismo ha continuato a dibattersi in queste sue contraddizioni, attraverso una molteplicità di interpretazioni, di sette e di applicazioni, che assomigiano molto a quelle di tutte le grandi religioni. Contraddizioni che hanno determinato il suo "inveramento", cioè messa in pratica e disvelamento, attraverso quel fenomeno che è stato chiamato, da Augusto del Noce,"eterogenesi dei fini". Partito come una promessa di Paradiso in terra, esso si trasforma gradualmente in fonte di lutti inenarrabili, per poi sfociare spontaneamente, inesorabilmente, nel suo preteso opposto, il capitalismo. Anzi, mentre, a nostro avviso, prima dell' avvento in Russia del marxismo, un vero e proprio capitalismo in senso marxista ("Dittatura di classe della borghesia") non era mai esistito in nessuna parte del mondo, solo nell'ultimo secolo, e anche per effetto del marxismo, tale "dittatura di classe" ha cominciato a realizzarsi (per esempio, con il Maccarthismo, con le dittature militari, ecc.., ma anche con gli eccessi del neo-liberismo). Come esempio del ruolo del socialismo come premessa del capitalismo (e non viceversa), ricordo perfettamente di avere ricevuto in omaggio, all' inizio degli Anni '90, al Ministero dell' Industria polacco, un manualetto rosa (erede di precedenti libretti rossi) intitolato "Od Socializmu do Kapitalizmu"("Dal  Socialismo al Capitalismo").Un'evidente inversione della prognosi storica di Marx

2.Socialdemocrazia, leninismo, fascismo.
Gramsci partecipa al dibattito sul marxismo in un' epoca molto avanzata, quando già si erano manifestati tre grandi   movimenti politici derivati dal marxismo: socialdemocrazia, leninismo e  fascismo. Egli è profondamente implicato in questi tre movimenti, dei quali vede e critica le contraddizioni, ma assume anche moltri contenuti.

Paradossalmente, l' influenza più profonda è proprio quella di Giovanni Gentile, che già nel tardo Ottocento aveva osservato che la filosofia marxista, che pure si pretenderebbe rivoluzionaria, in realtà è condannata a divenire conservatrice, in quanto fondata su un materialismo deterministico, inapace di esprimere la forza rivoluzionaria propria invece dell' idealismo, unica filosofia capace di descrivere l'eterno divenire dello Spirrito.

Di Gentile, Gramsci fa propria anche l'attenzione al carattere nazionale della rivoluzione, in una fase in cui la Questione Nazionale era centrale per il movimento comunista internazionale (fondazione dell' Unione Sovietica, Congresso di Baku, sfida dei fascismi), gettando, così, le basi di quello che sarà la "Via Nazionale al Comunismo" del PCI, fondata su un "blocco storico" con laici e cattolici.

Ultimo aspetto dell' influenza gentiliana, l'idea della politica rivoluzionaria come pedagogia nazionale, volta a sostituire il "senso comune" degli Italiani, che, allora, era di carattere cattolico, con un nuovo "senso comune", di carattere materialistico e scientistico.Tale compito pedagogico viene visto come esercizio di un' "egemonia" sugli altri partecipanti al "blocco storico" (ciò che saranno poi i "Fronti Popolari"), attraverso la quale si consumasse ed esaurisse la cultura degli alleati, in particolare, dei cattolici.

Ovviamente, anche il  leninismo ha il suo peso nel pensiero di Gramsci, che non dubita certo della necessità della Rivoluzione, né della fedele adesione del PCI all' Internazionale Comunista. Interessante il fatto che , nell' unico discorso alla Camera dei Deputati, che Mussolini interruppe in qualche punto, ma che in generale ascoltò in religioso silenzio, andando fino al banco dell' avversario per sentire meglio), lo scambio  di recriminazioni col Duce del Fascismo non fosse sulle accuse reciproche di repressione poliziesca, ma sul fatto che ciascuno dei due rivendicava la capacità di una repressione più rigorosa.

Infine, il Gramscismo diviene, di fatto, la via maerstra per la socialdemocratizzazione postbellica del PCI. Il "Blocco Storico" è la giustificazione teorica dell' "Arco Costituzionale" antifascista e del "Compromesso Storico", che, di fatto, sono dei Fronti Popolari con l'egemonia culturale del PCI. Fedele a questo scenario, la DC delega la cultura al PCI, il quale può, così, costituirsi quale autentica espressione della cultura italiana, con i suoi Vittorini, Pavese, Guttuso, Asor Rosa, Tomasi di Lampedusa, Visconti, ecc..., che sono spesso quanto di più lontano possa esservi dal Marxismo, ma che tuttavia si sforzano di restare compatibili con questo proprio grazie alla teoria dell' "Egemonia", che abroga e sostituisce quella staliniana della "Partijnost".La Socialdemocratizzazione del PCI passa per l'accettazione del fordismo e del taylorismo, esaltati come lo strumento principe per la modernizzazione dell'Italia, per superare la sua storica arretratezza, i gramsciani "contrafforti delle classi parassitarie".

3.Suicidio della rivoluzione

Del Noce aveva ben antiveduto che quest'azione sui due fronti, alleanza tattica coi cattolici e identificazione con  il ruolo modernizzazione della grande industria, avrebbero portato al "suicidio della rivoluzione". Da un lato, il Cattolicesimo, stretto nell' abbraccio di un Marxismo riportato all' idealismo gentiliano, avrebbe perduto una propria autonoma capacità di dialogare con i ceti popolari, e, dall' altra, il marxismo, ridotto ad ideologia della lotta di classe nella società capitalistica, avrebbe perso anch'esso una propria ragion d'essere, appiattendosi sull' esaltazione dell' esistente. Di converso, anche quelle spinte verso una rinnovata pretesa di  politiche alternative,  che sarebbero potute venire da un Cattolicesimo rimasto fedele a se stesso, non avrebbero potuto concretizzarsi a causa dell' esaurirsi della spinta contestativa del Cattolicesimo stesso.

Il tardo capitalismo post-taylorista e post-fordista avrebbe avuto bisogno più che mai di un post-marxismo sostanzialmente gentiliano per transitare l' intellighencija e il ceto operaio dall' alternativa all' integrazione  nella società della tecnica dispiegata. L'intellighencija  ha potuto così evitare di dover abiurare ufficialmente le proprie precedenti convinzioni, e mantenere così  la propria aura e il proprio ruolo sociale. Le altre forze culturali e politiche hanno assecondato questo gioco, perpetuando anche ora l' egemonia culturale di quel ceto formatosi con il PCI, ed accettando, ciascuna, un ruolo subordinato e culturalmente debole (neoconservatorismo, "patriottismo della Costituzione"). In questo contesto, la battaglia contro l' "Egemonia Comunista" affronta  (anche se con parole inappropriate), un bersaglio effettivo, ma è, a sua volta,  in mala fede, perchè non ha nessun' intenzione di conseguire un qualsivoglia risultato concreto, ma solo di "soffiare sul fuoco" del risentimento.
Oggi, la situazione è ancora differente. Il carattere positivistico della cultura contemporanea allontana ancor più l' "intellighencija" post-marxista dalle sue origini contestative. Si pone effettivamente, come suggerito da Bondi una questione di "Egemonia" diversa da quella "di sinistra", un' egemonia incentrata sull' ideologia del progresso e della democrazia. E  anche questa trova in Gramsci un adeguato profeta. Se l' obiettivo di Gramsci non era, alla fine, altro che  quello (che fu alla base anche del Cattolicesimo Liberale e del Mazzinianesimo),  di "modernizzare" l' Italia sul modello dei "Paesi Più Sviluppati", ebbene, questo è proprio l' obiettivo che si pone oggi il "mainstream" culturale e politico.
E, poiché, nel contesto dell' Ultima Globalizzazione, quella mazziniana "Missione delle Nazioni" sfuma,almeno in "Occidente",  perchè  tutte le nazioni "occidentali" hanno superato le loro "arretratezze", e partecipano tutte allo stesso sistema globale ( e, pertanto, sono divenute inutili dal punto di vista del Progresso), è logico che la riscoperta di Gramsci abbia luogo soprattutto nei Paesi Anglosassoni, e, in particolare, in America, perchè è lì che si decidono ora le grandi trasformazioni societarie. D'altronde, Gramsci  (come d' altronde anche Lenin e Stalin), era un grande ammiratore degli Stati Uniti, che venivano da loro considerati come lo "standard" della Modernità. Non per nulla, Mosca si arricchì in quell' epoca di grattacieli sul modello newyorkese, e i gruppi industriali nazionalizzati furono raggruppati in "tresty" (i "trusts" americani). E' ovvio che la capacità di Gramsci di portare al "suicidio della rivoluzione" sia particolarmente apprezzata nel Paese che attualmente domina il mondo.

E' per altro singolare che questa particolare dialettica non venga vista da nessuno con quella necessaria lucidità che sarebbe necessaria  per le grandi scelte culturali sull' avvenire del mondo.



sabato 2 luglio 2011

THEOLOGIA EUROPAEA

Meister Eckhard, autore di 
     "Theologia Theutsch"
Blair's Intervention provokes Reflection over Universality of Religions. 
L'intervention de Blair solicite une reflection sur le   caractère universel des réligions. 
Blairs Stellungnahme stimuliert Ueberlegungen ueber Universalitaet   von    Religionen.


Nel post di ieri, avevamo affrontato da un punto di vista molto generale
gli interrogativi posti dalla provocatoria intervista di Tony Blair su "La Stampa" circa politica e religione.

Mentre la tesi secondo la quale, per comprendere la globalizzazione, i politici dovrebbero studiare la religione, è originale e degna di plauso, il resto dell' intervista ci è sembrato piuttosto scontato, e conforme ad una sorta di "pensiero unico", in base al quale tutte le religioni vanno bene, ma ciò che rovina una felice coesistenza fra le stesse sarebbe l'"estremismo", presente in ciascuna religione, che  impedirebbe a queste  di "dialogare" con le altre. Già l'adozione, per le religioni, di concetti tipici della politica contemporanea, come "moderati" e "estremisti" ci sembra rendere impossibile la comprensione della complessità del fenomeno religioso, che ha  parametri ben più complessi di quello "moderatismo" e "estremismo". Cos'è più "moderato" e che cos'è più "estremista", il Carttolicesimo o il Luteranesimo, la Sunna o la Shi'a, lo Hinayana o il Theravada?

Tra l' altro, il punto di riferimento per decidere chi è "moderato" o "estremista" è il livello di gradimento dei diversi gruppi religiosi per la società tecnologica e capitalistica mondiale di tipo occidentale. Sono "moderati" coloro i quali, pur professando una religione diversa dalla versione più secolarizzata del puritanesimo protestante, accettano che i loro fedeli vivano, sostanzialmente, come dei protestanti anglosassoni contemporanei, e sono estremisti coloro che vogliono vivere in modo  diverso.Sono moderati coloro i quali pregano in lingue diverse dall' Arabo Classico, o dal Latino, non si circoncidono, ecc...Sono estremisti coloro i quali vestono con lunghi mantelli, sanno a memoria il Corano, ecc..

La spiegazione che diamo a questo fenomeno è che il  vero problema per la coesistenza di varie religioni non è una questione di "estremismo" o di "moderatismo", bensì una questione di lotta fra modelli societari, di interpretazione del "principio di elezione".Tale principio è antico quanto l' uomo. Eliade ricordava che già l' uomo primitivo considerava il palo centrale della propria capanna come "l'Asse del Mondo". I Greci avevano, a Delfo, l' "Omfalòs"; i Cinesi continuano a definire se stessi come "Zhong Guo", vale a dire comne il "Luogo di Mezzo", anticamente l' altare dell' Imperatore.

Ma, per i popoli antichi, la determinazione del carattere "eletto" di coloro che abitavano intorno al Centro del Mondo era più che altro teorica, in primo luogo perchè nessuno riusciva di fatto ad arrivare in tutto il mondo, e, in secondo luogo, perchè il politeismo non cercava proseliti. Con l' avvento delle "Religioni di Salvezza", si è posta la questione della "Vera Religione", che deve prevalere sulle altre, tra l'altro insegnando ai popoli barbari costumi più umani. Certo,non già  i costumi, bensì la salvezza, è la caratteristica delle nuove religioni.E, tuttavia, negli ultimi 400 anni , sotto la spinta del Protestantesimo, si è teso ad identificare sempre più una religione, anziché con la sua propria "via" verso la salvezza, con le sue "conseguenze sociali".Fino al punto che abbiamo l' impressione che i più, quando parlano di Dio, pensino, oggi,  ad una sorta di mostruosa  ipostasi divinizzata della propria società.

A questo punto, il conflitto  si configura come lotta non fra le religioni, bensì fra i sistemi sociali: l'animismo diventa il simbolo e il pretesto delle società tribali, dominate dai capifamiglia; l'Islam di quelle patriarcali, dominate dai clan; il Confucianesimo delle società autoritarie dell' Estremo Oriente, dominate dallo Stato; il Cattolicesimo delle società comunitaristiche e tolleranti dell' Europa Meridionale, governate consociativisticamente; il Protestantesimo di quelle severe e individualistiche del Nord Europa, dominate dal lavoro; il Puritanesimo della società democratica e capitalistica americana, dominata dalla finanza.

E'lì che nasce l'intolleranza: gli "occidentali", convinti di avere la forza dalla loro parte, cercano di costringere gli altri ad adottare il loro modello di società, convinti, in base alla "teoria della modernizzazione" ,che le altre siano tutte superate. Gli altri Paesi inaspriscono, per autodifesa, le loro regole. Certo, gli islamisti non tollerano, nei loro paesi, le donne troppo scoperte o l' uso degli alcolici. Però, le società laicistiche vietano  l' uso del velo e  quello dell' Arabo Classico. Non già per motivi religiosi, ma per motivi di ordine pubblico, di etica del lavoro,  di equilibrio fra i sessi o di orgoglio nazionalistico.

Le religioni non sarebbero  fonti di intolleranza se le diverse nazioni rinunziassero ad imporre ad altri il proprio modello di società, e a rivestire questa pretesa con pretesti religiosi. Ma questo è proprio ciò che si ritiene impossibile, in quanto è divenuta centrale, per l'ideologia del progresso,  la lotta universale perl'omologazione dei costumi a livello mondiale.

L'ideologia del progresso, nella  formulazione attualmente prevalente nelle Vulgate del mondo occidentale avanzato soffre, per altro ,  di un' insanabile contraddizione:

-da un lato, predica l' assoluta eguaglianza di tutte le opzioni etiche, e, quindi, anche quelle delle altre religioni e/o società, e vieta assolutamente l'uso della violenza di un soggetto qualsiasi per imporre la propria volontà a un altro;

-dall' altro, predica l' universalità di tutti i propri valori (razionalità, progresso, efficienza, eguaglianza, democrazia), che dovrebbero essere validi "sempre ed ovunque",  -mentre molti di essi non sono ancora applicati neppure adesso in Occidente e la maggior parte non erano certamente validi (ma neppure conosciuti) in nessun Paese fino a qualche decennio fa-, e  esportati con la destabilizzazione politica, con le "guerre umanitarie",

La spiegazione di questa contraddizione viene fornita dall' idea kantiana dell'Imperativo Categorico, che impone che ogni azione buona debba poter essere pensata come universale.Ma, a parte che questa è un' idea personale (e estremamente astratta) di uno specifico filosofo di uno specifico  Paese, la prima osservazione che ci viene alla mente è che,a forza di  pensare tutte le azioni come universali si è giunti alla cosiddetta "omologazione", all' "uomo senza qualità", all' "uomo ad una dimensione".Solo in base all' idea di un "uomo senza qualità" si può pensare che ogni azione debba essere concepita come universale.

Ma questa non è necessariamente un' idea religiosa, o, almeno, non di tutte le religioni. Basti pensare al sacerdozio, che è "universale" nell'Islam e  nel  protestantesimo, ma non già nel Cattolicesimo o nell'Induismo.

Le Religioni di salvezza sono oggi dunque combattute circa l'accettazione, di un modello sociale normativo unico, o la difesa dei modelli societari dei loro rispettivi Paesi. Ma questo non è ancora il problema centrale della coesistenza delle religioni.

Esse potranno sottrarsi a questa spirale solo concentrandosi sul tema della salvezza, e lasciando maggiormente alla cultura e alla politica il terma dei costumi. Questo anche e soprattutto perchè le religioni universali sono estese in tutto il globo. E, per questo, sanno bene che i comportamenti societari che vanno bene a Roma non possono essere gli stessi che si applicano in un villaggio africano o fra i grattacieli di Manhattan, quelli che valgono al Cairob non possono essere gli stessi di Sarajevo o dell' Uganda. Sarebbe un errore se una qualunque Chiesa pretendesse di dettare standard uniformi di comportamento per tutti i Continenti. E, di fatto, tutte le Chiese, quale più, quale meno, si danno anche un'articolazione territoriale, continentale e nazionale.

Nel caso della Chiesa Cattolica, sono state emanate, a quiesto scopo, lettere pastorali, dedicate all' "Ecclesia in Europa", all' "Ecclesia in America", all' "Ecclesia in Africa", ecc....Anche il Sinodo delle Chiese Protestanti, le Comunità Ebraiche, le presenze islamiche, tentano di darsi una fisionomia europea.

Molti sono gli interrogativi che ci si pongono a questo riguardo:

-come si  prospetta il contributo culturale delle varie sezioni di una religione poste in diversi Paesi e continenti?

-vi possono essere temi comuni e specifici fra le varie confessioni cristiane, le varie scuole mussulmane e le varie comunità ebraiche che vivono in Europa?

-vi può essere una specifica "lealtà" di questi segmenti delle varie Chiese e confessioni per la Patria Europea?

Noi crediamo di si. La prova numero uno dovrebbe essere costituita dal fatto che le tendenze culturali  più importanti del Cristianesimo , dell' Islam e dell'ebraismo traggono la loro fonte dal pensiero di filosofi europei medioevale fra loro strettamente interconnessi, come Averroè, Maimonide e San Tommaso, ai quali le rispettive istituzioni religiose sono ancora fortemente legate.

Poi, simili sono i problemi che tutti debbono affrontare: la critica agli eccessi della scienza e della tecnica, la convivenza in un territorio così ristretto di un numero pressoche infinito di popoli e culture che vogliono mantenere la propria identità; la comune esposizione all' influenza culturale nordamericana; gli incerti confini con l' Asia, con il Medio Oriente, con il Nordafrica.



























venerdì 1 luglio 2011

BLAIR, RELIGIONE E GLOBALIZZAZIONE




Politicians Should Learn more  about Globalisation, not just Religion.
Les politiciens devraient apprendre d'avance sur la globalisation, pas seulement sur la réligion.
Politiker sollten mehr ueber Globalisierung, nicht nur ueber Religion.

L'intervista di Tony blair a "La Stampa" di Torino del 30 giugno u.s., la quale riecheggia per altro sue precedenti prese di posizione (vedi video), ha certamente il pregio di "gettare il sasso sullo stagno" circa i temi fondamentali del dibattito culturale e politic dei prossimi anni:

-necessità di "iniettare", nel mondo politico, una robusta  dose di cultura;

-ruolo centrale della religione  e della globalizzazione.

Soprattutto il riferimento al ruolo della religione, su un giornale che, normalmente, viene definito come "laico", e, soprattutto,  in connessione con la creazione di un sito piuttosto insolito come "Vatican Insider" ha suscitato scalpore.

Tuttavia, anche il riconoscimento che i politici abbiano molto da imparare è coraggioso e estremamente tempestivo.

1.Il perchè della questione

Dunque, plaudiamo a tutte queste iniziative.E, tuttavia, noi abbiamo l'impressione che anche queste siano ancora inadeguate alla gravità dei problemi che ci attendono.

Problemi che attengono proprio al lato "spirituale" del nostro avvenire.

Con tutta la difficoltà che vi può essere nel tentare di formulare una sintesi di fenomeni così complessi, la questione si riduce al tema della "Fine dell' Umano". Tema che era ben noto e presente a tutte le culture, ma che la nostra pretenderebbe, nel momento stesso in cui tenta il superamento terreno della finitezza creaturale, di ignorare. Perseguendo, attraverso il progresso economico e medico, la conservazione della memoria culturale, le biotecnologie, l' intelligenza artificiale, l'"enhancement" delle caratteristiche psico-dfisiche dell' Umanità, si sta creando, di fatto, una specie nuova, che assomiglierà all' uomo, ma non sarà più tale.

Questo fatto getta nello scompiglio, paradossalmente, proprio l' umanesimo laico e le ortodossie cristiane, che partono dall' idea della fissità dei dati intellettuali e psicosomatici dell' Umanità, ma non le religioni nel loro complesso, le quali, con gli "avatar", il "Nirvana", l' "Incarnazione", la "Resurrezione dei Corpi", sono, da sempre, familiari con le trasformazioni ontologiche dell' umanità e dell' Essere, e, addirittura, con l' idea della finitezza dell' uomo e del mondo.

Ed è proprio per questo che le religioni hanno molto da insegnare sulla natura umana, sulla vita e sulla morte, sul loro trascendimento, sul mistero che circonda tutto ciò, sui percorsi che l' Umanità può compiere per fronteggiare questo mistero.

2.Tutto è religione

Certo, intanto, il discorso sulla religione, sulle religioni, e su religione e cultura,  va aperto in un modo che, fino ad ora, non è mai avvenuto.

Occorre riconsiderare l'intera storia dell' Umanità, dai primi reperti paleolitici fino ai progetti scientifici di Post-Umanità, per vedere ovunque la presenza della religione. Rito che accompagna la nascita delle tecniche e dei linguaggi, mito che struttura le società e le culture, storia di salvezza che giustifica gli Imperi e la globalizzazione, secolarizzazione della salvezza che sostanzia il dominio  della scienza e della tecnica.

Quando si invoca la liberazione dalla religione, si tenta con ciò stesso di imporne un'altra. La religione del progresso (in tutte le sue articolazioni -quasi immortalità, unità del genere umano, passione dell' eguaglianza, nichilismo)è a tutti gli effetti un dogma, come esplicitamente affermava, per esempio, Mazzini, secondo il quale occorreva sostituire questo nuovo dogma a quelli cristiani della caduta, della Grazia e della Resurrezione.

3.Crisi della religione del Progresso

E, proprio come per tutte le religioni, si pone, per la Religione del Progresso, un problema di fede e di Grazia.

L'idea che sta in fondo a questa inaspettata alleanza fra politica e religione sarebbe che, poiché, con la postmodernità, la fede nel progresso si è vista anch'essa venire a mancare la vocazione, cioè a visto venir meno la fede e la Grazia, la religione tradizionale dovrebbe soccorrere con un "Supplemento di Anima", sostenendo così la traballante fede nel progresso . In pratica, alla domanda del progressista in crisi: "perchè dovrei credere nel Progresso?", sarebbe comodo  poter rispondere. "perchè lo vuole Dio". E' la strada intrapresa dagli Stati Uniti, e, poi, seguita, fra gli altri,  da Lessing, Gioberti e Mazzini, e che tenta oggi molti, per salvare l'ordine sociale.

Peccato che chi dubita della religione tradizionale e dubita del progresso, lo fa perchè ambedue si stanno rivelando inadeguati a rispondere alle domande del presente: l'Ummanità finirà presto? La storia è decisa da sempre?  La resurrezione dei corpi sarà un esperimento di bioingegneria? E'meglio vivere (quasi)eternamente o morire? Se fossimo eterni, ci annoieremmo? E'giusto rinunziare alla nostra identità a favore dell' unità ed eguaglianza del genere umano? E' vero che esiste un' unica verità?

Non si può certo dire che le religioni tradizionali siano sempre in grado di rispondere a queste domande. Eppure, esse possono essere utilizzate come "mattoni", i quali tutti permettono di fornire una parte della risposta. Questa non è "Religione Fai da Te", né "Sincretismo", né"Relativismo", bensì ciò che gli spiriti più alti di tutte le Chiese e di tutte le filosofie hanno sempre percepito. Per esempio, Dionigi l' Aeropagita, che reintrodusse nel Cristianesimo tutte le religioni orientali e le filosofuie neoplatoniche. Per esempio, Maometto, che, nella sua ansia di far rientrare più religioni possibili fra quelle "del Libro", vi fa rientrare gli zoroastriani e perfino la minuscola setta dei Sabei. Per esempio,   Dante, nella cui opera si trovano tanti contenuti pagani, islamici e cabbalistici che sfuggivano, forse, a quello stesso Grande. Per esempio, Hegel, che, pur affidando a ciascuna religione una fase subordinata e storicamente contingente, le fa rientrare tutte nel cammino provvidenziale dello Spirito.Per esempio, Toynbee, il quale, alla fine del suo ciclopico confronto fra tutte le civiltà, si sforza di creare una "Theologia Historici", nella quale hanno posto tutte le religioni, anche se, a quella cristiana, viene riconosciuto un ruolo privilegiato.

Da uno studio attento, si evince che la "differenza" fra le varie religioni consiste piuttosto sul fatto che ciascuna si concentra su un aspetto della realtà (il politeismo sulla molteplicità della natura,il taoismo sulla corrispondenza fra uomo e natura,  l' induismo sugli infiniti stati dell' Essere, le Religioni del Libro sull' infinità dell' Essere in quanto tale, il buddhismo sull'esigenza di prepararsi alla morte). Essi non affermano "verità differenti", bensì "verità parallele". Questo è il risultato della differenza delle tradizioni storiche e dei linguaggi.
Si ha un bel dire, ma concetti come "Tao Te Jing", "Sobornosc" o "Baidaliyya" non sono ancora stati tradotti adeguatamente.

4."Studiare religione"

Tutto questo è tanto bello, ma non offre ancora alcuna guida per l' azione, né a livello storico (p.es.:fine dell' umano), né a livello politico-sociale (p.es.:diritti umani, politiche del corpo), né a livello individuale (p.es.:fede nell' immortalità, morale sessuale). Se potessero essere risposte definitive a queste questioni, non ci sarebbe stato bisogno di migliaia di religioni e di ideologie, di milioni e milioni di saggi, di profeti e di filosofi. La cultura dell' Umanità è, e resta, un Work in Progress.

Lo "studiare religione" dignifica solamente creare i canali (di studio, di dialogo, di comunicazione) perchè queste ricerche siano possibili. Lo "studiare la globalizzazione" significa invece cercare di trovare un collegamento fra queste ricerche e le grandi domande tipiche del nostro momento storico.Studiare le varie civiltà, per vedere che cosa vi è di comune, e che cosa varia nelò termpo e nello spazio. Studiare la storia per vedere come si è arrivati al presente. Studiare la scienza e la tecnica, per vedere che cosa ci preparano.

Dibattere, cercare dei punti in comune, ma, soprattutto, osare essere se stessi, osare proporre propri modelli, portarli avanti, difenderli, in un mondo sempre più conformistico e svogliato.

Intanto, anche il mondo globalizzato  non  è estraneo alla religione. Quando, ne "i Persiani" di Eschilo, Serse esprime il programma (instillatogli dai Magi) di conquistare tutta l' Europa, in modo che il suo impero confini con quello degli Dei, Eschilo interpreta l' imperativo mazdeistico della lotta mondiale del Bene contro il Male come una "hybris" contro gli Dei, contro il loro carattere pluralistico.Quando il Corano  invita alla Piccola Jihad, lo fa perchè, se vi è un unico Dio, vi dev' essere una sola Dar al Islam. Quando Cristoforo Colombo parte per il suo viaggio, lo fa per dare una spinta decisiva alle Crociate. Quando Vieira va in Brasile,o i Puritani vanno in Nordamerica,o Buber va in Israele,  lo fanno pensando di creare il  Regno Messianico.Quando Reagan lancia la corsa allo Scudo Spaziale, parla, in termini zoroastriani, di Impero del Bene contro Impero del Male.

Non dobbiamo nascondere la testa come gli struzzi, questa tendenza assolutistica è implicita nell' idea di "universalismo": esiste una soluzione valida per tutti, e, poiché è impossibile che vari miliardi di persone vi convergano spontaneamente, essa va imposta, o con la forza, o con l' inganno, o con ambedue.

Si può ovviare a questo inconveniente, oppure, quand'anche non siamo condannati a trasformarci tutti in files informatici in un grande cervello, dobbiamo rassegnarci a divenire tutti dei "meticci" asessuati, conformisti e obbedienti  in  un' enorme "terra-alveare", dominata da un grade computer, dai social networks, dai robot e dai droni? Si realizzaranno le profezie di Zamyatin, Asimov,  Huxley, Burgess?Verranno esse benedette dai sacerdoti? Da che cosa si potrà riconosce la venuta di Cristo (del Mahdi, di Kalkin) da quella dell' Anticristo (di ad-Dajjal, di Azhi Dhahaka)?

4.Studiare la politica

Dopo il livello teologico, è quello politico, su cui questi grandi temi dovranno essere dibattuti. Non è detto che l'armamentario concettuale  debba essere così fortemente impregnato di terminologia religiosa, come noi abbiamo qui, provocatoriamente, ipotizzato. Dovranno venire in considerazione anche altre grandi tematiche tecnologiche, filosofiche, sociali, come, per esempio, il "Destino della Tecnica"di Heidegger,i "valori spessi" e i "valori sottili"di Huntington,  l' Homunculus di Goethe e il  Superuomo di Nietzsche,  la fallibilità del pensiero di Feyerabend,  ma anche il "principio di indeterminazione" di Heisenberg, il "principio di precauzione"di Jonas,  l' "ecologia della mente"di Bateson, l'idea di identità, individuuale e collettiva(Boas), l' universale esigenza di conciliare l'aspirazione alla partecipazione alle decisioni, al dibattito, al farsi della storia, con la difesa delle radici, dei luoghi, della "privacy", della famiglia, della proprietà, delle tradizioni.

Infine, occorrerà "ritornare alla cultura".Perchè tutto quanto sopra ci parla del cosmo e della storia, ma  non ci dice ancora nulla sulla cultura dell' uomo singolo, sulla sua sensibilità, sui suoi sentimenti, sulle sue idee, sui suoi progetti e comportamenti, sulla sua religiosità, sulle sue abitudini, sulla sua etica, sulle sue preferenze in campo artistico, storico, letterario, musicale, ecc.. Eppure sono queste le cose di cui è vissuta fino ad ora l' umanità, e sono queste che rischiano di essere travolte nel gran vortice di profezia e ideologia, scienza e tecnica, progresso e commercio,diritto e guerre, tecnica  e conformismo sociale, crisi e lavoro.

Come si vede, si tratta di un campo di ricerca vastissimo, a cui non rispondono, oggi, né una sclerotizzata cultura accademica e/o ecclesiale, e/o partitica, né il pensiero ufficiale delle Istituzioni.

E' per questo che ci sforziamo di creare occasioni di incontro e di dibattito, perchè sentiamo che questi sono le condizioni preliminari ed imprescindibili sui sempre nuovi problemi che incombono su di noi più che mai minacciosi.

martedì 28 giugno 2011

UNA NUOVA CAMPAGNA PER I DIRITTI UMANI E CIVILI

E.I.'Campaign for Human and Civil Rights. La campagne d'IE pour les droits civils et humains.
E.I Kampagne fuer Menschen-und Zivilrechte.


Come nostro primo contributo al dibattito che crediamo di avere aperto con il MANIFESTO: IL MONDO DELLA CULTURA CONTRO LO SFASCIO DELL'IDEALE EUROPEO, pubblichiamo questo contributo sul tema specifico dei diritti umani e civili.

E'imprescindibile (anche solo per salvaguardare le condizioni stesse di vivibilità del nostro Continente) la nascita di un movimento culturale e politico capace di analizzare la situazione dell’ Europa nel presente contesto storico, di proporre una cultura a questo adeguata, di coordinare le forze sociali, sparse nel Continente, disponibili a lavorare per l’ Europa (il “PATRIOTTISMO EUROPEO”), e, infine, di guidare una trasformazione del quadro culturale, delle forze politiche e dell’ assetto istituzionale, secondo nuovi orientamenti, da un lato congruenti con l’identità di quest’ ultimo, e, dall’ altro, con l’attuale contesto storico. E’ ovvio che tutto ciò non si potrà fare in un solo giorno, in una sola tappa, con un unico strumento. Ma dovrà essere fatto.

E, come dicevano I Padri Fondatori, andrà fatto “ripartendo dalla cultura”, cioè non già dalla fotografia sociologica degli attuali abitanti dell’ Europa, né dalle attuali istituzioni, bensì da una libera riflessione su ciò che siamo, su ciò che vogliamo essere, con quali percorsi poterlo conseguire.

Detto così, quanto sopra potrebbe sembrare un compito immane, che può spaventare. Perciò, vorrei invece attirare almeno la Vostra attenzione su un tema che non è solo prioritario tanto dal punto di vista tattico, quanto da quello strategico, ma è addiritura improcrastinabile: IL RUOLO DELL’ EUROPA QUALE BALUARDO DI LIBERTA’ E DI CULTURA PER IL MONDO INTERO.

Le vicende della storia contemporanea, che ci vengono vendute come una storia di progressivi ampliamenti della libertà per tutti, rivelano, in realtà, giorno per giorno, una perdita sempre maggiore di quest’ultima, travolta dalla convergenza sempre più stretta fra tecnologia, ideologia, mass media, conformismo e complesso burocratico-militare, che rischiano di cancellare addiritura l’umanità, se non come specie, almeno come portatrice di identità..

Già le tecnologie attualmente in uso (“intelligence elettronica”, internet, sistemi d’ arma “intelligenti”,multimedialità), insieme alle ideologie della “modernizzazione” e dell’ “esportazione della democrazia” rendono possible, ad un unitario centro ideologico, politico, culturale e militare mondiale, di controllare, e, potenzialmente, reprimere, i comportamenti e i pensieri di miliardi di abitanti del globo, senza che questi praticamente neppure se ne accorgano, il che comporta anche una militarizzazione competitiva di tutti i Paesi del mondo. In America, il numero degli addetti ai servizi segreti (più di 1 milione) supera quello dei membri delle Forze Armate. La convergenza delle ideologie verso un imprecisato “centro” ha ridotto enormemente, rispetto agli Anni ’70, l’offerta di progetti politici. Gli sviluppi in corso, nell’ intelligenza artificiale, nella bioingegneria e nella cibernetica renderanno possible, fra brevissimo, addiritura condizionare dall’ esterno una gran parte dell’ Umanità, a mano a mano che questa farà ricorso a social networks più sofisticati e alle nuove scoperte della biomedica, come i trattamenti elettronici del cervello, che collegheranno direttamente quest’ultimo con il “sistema” dell’intelligenza artificiale centralizzata e con varie forme di automatismi, fino a che (si dice nel 2030), le machine prenderanno finalmente il sopravvento sull’uomo.

La mancata riduzione del bilancio militare americano sta provocando in tutto il mondo una nuova corsa agli armamenti, soprattutto per ciò che concerne la guerra cibernetica, il controllo digitale del territorio, i“robot in grigioverde”, i droni, la militarizzazione dello spazio. In questo contesto, le possibili nuove proposte culturali vengono sommerse dalle opposte propagande, che impongono rumorosamente i loro temi nello spazio pubblico.

L’Europa, obiettivamente “defilata” rispetto a questa dialettica, ha l’enorme opportunità di mobilitare il suo formidabile apparato culturale per svelare le vere ragioni di quella conflittualità generalizzata, tentando di elaborare un’ autentica sintesi, capace di fondare una politica comune di controllo delle sue pericolose tendenze. Tale sintesi non potrà essere fondata su un unico filone culturale, sviluppatosi in alcuni Paesi dell’ Occidente, bensì sulla retta comprensione di tutte le grandi tradizioni culturali.

Per poter esercitare, in questo processo, un ruolo attivo, l’ Europa dovrà, per prima, ripristinare, al suo interno, le necessarie condizioni di libertà culturale e politica, ed aprire uno spazio di dibattito di livello europeo. Per questo motivo, occorre aprire innanzitutto una battaglia sui diritti umani e civili, che sono sanciti, dal Diritto Europeo, con il massimo di precisione, ma che sono, in realtà, talmente disapplicati da provocare una vera e propria alterazione dell’equilibrio sociale e politico a favore di un ristretto “establishment” .Basti pensare alla pratica inesistenza dei diritto alla privacy e dell’antitrust (il che impedisce un’espressione veramente libera del pensiero e ci assoggetta alle grandi concentrazioni dell’ industria culturale), e al non riconoscimento dei diritti delle “nazioni senza stato”(il che trasforma addiritura in “minoranze” quelle che in realtà sono “maggioranze”- come per esempio, gli Scozzesi, i Russofoni, ecc..-), e comunque altera sostanzialmente gli equilibri politici (i 10 milioni di Rom e i molti milioni di islamici, cittadini europei, i quali non hanno certo una rappresentanza adeguata al loro numero), contribuendo cos’ sempre più ad uno sbilanciamento culturale e politico del Continente verso Occidente.

Un movimento che sapesse appropriarsi di questi temi potrebbe avere un seguito in Europa, e che un’ Europa che li facesse propri potrebbe farsi sentire nel mondo, unica dimensione in cui si può contrastare l’ inaudito attacco in corso contro i diritti effettivi, il quale viene oggi condotto nel nome di diritti inventati, che interessano, semmai, ristrette minoranze di privilegiati dalla globalizzazione.

MANIFESTO: IL MONDO DELLA CULTURA CONTRO LO SFASCIO DELL' IDEA EUROPEA


Manifesto: Culture's World against Jettison of European Ideal.Le Manifeste: Le monde de la culture contre la ruine de l' idéal européen.Manifesto:Kulturwelt gegen die Ruine des europaeischen Ideals






Il livello di fiducia nell’Unione Europea (UE) ha raggiunto oramai i suoi minimi storici.
ALL’UE NON E’ STATA, FINO AD ORA, ATTRIBUITA UNA CAPACITA’ DECISIONALE ADEGUATA A  VALORIZZARE LE  CARATTERISTICHE DELL'UNIONE, UNICHE AL MONDO: il PIL complessivo più elevato;la valuta più forte; il più elevato “surplus” nell’ export di beni culturali (salvo che per gli audiovisivi); le Forze Armate più numerose.
MA, NONOSTANTE TUTTI I DIFETTI DELLA UE, L’ EUROPA SIAMO NOI; QUINDI, NON POSSIAMO USCIRNE, QUAND'ANCHE LO VOLESSIMO.
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1.Un antico ideale

E’questo ciò che intendiamo quando affermiamo che, senza mai essere stata, né una nazione, né un impero, “L’EUROPA E’ STATA ED E’ UNA COMUNITA’ DI DESTINO”. In particolare, come gli altri Continenti e Sub-Continenti del mondo, l’Europa ha sviluppato, nei secoli, un suo specifico modo di essere (il “Modello Socio-Economico Europeo”), non solo è il più consono al modo di pensare e di vivere degli Europei, ma che potrebbe anche costituire un prezioso contributo, da parte dell’ Europa, al resto del mondo, a condizione che essa fosse  capace di ascoltare le esigenze degli altri e di trarne  idee innovative, proponendole senza arroganza eurocentrica.

2.Un progetto “dirottato”
 
Non riteniamo che l’Unione dei nostri giorni corrisponda alla vera e propria  Idea Europea -la quale ultima un progetto culturale millenario, che, fin dal Medio Evo, ha voluto  dare forma alla “Comunità di Destino”europea che l'Europa costituiva e ancora costituisce-
Quegli antichi  intellettuali e politici, come Dubois, Podiebrad, Sully, St.Pierre, Leibniz,
Kant, Rousseau, Novalis, Mazzini e Nietzsche, nonostante le loro diversità, condividevano già  la visione dell’ Ideale Europeo come indispensabile baluardo di un'unica Comunità di Destini.
Durante la “Guerra Civile Europea” (1914-1945), diversi intellettuali federalisti, come Coudenhove Kalergi, Galimberti e Spinelli,  avevano già anche abbozzato le strutture di una Federazione Europea, comprensiva di tutta l’ Europa, dotata di poteri politici, economici e militari.
In realtà, la “Crisi dell’ Europa” è soltanto la crisi della “Cultura Funzionalistica” dell’ Unione, non già quella dell’ Europa come Comunità di Destino. I Padri Fondatori avevano compreso che la strategia “funzionalistica” (basata sull’ attribuzione, alle Istituzioni, di limitati poteri economici) costituiva solo un compromesso.Perciò, essi avevano già anche previsto che, se la costruzione europea fosse giunta ad uno stallo, gli Europei avrebbero dovuto riprendere  il loro percorso comune, ma partendo, stavolta, dalla cultura, non dall’ economia. Si deve quindi tenere  anche conto dalla necessaria autocritica degli errori ed omissioni dei politici e degli  intellettuali europei negli ultimi cinquant'anni.
Oggi, di fatto, rimangono da costruire tutti e cinque i Pilastri dell’ Idea Europea:la Costituzione; la Politica Estera e di Difesa Comune;la Politica Europea Economica e Industriale;il Sistema Socio-Politico Europeo;l’allargamento a tutto il Continente.
Nel frattempo, le “Comunità Europee” create dai Padri Fondatori, sono state sostituite da un’ “Unione” senz’anima, sempre più simile a una mera “sezione europea ” della Globalizzazione, e sempre meno capace di resistere agli eccessi di quest'ultima.

3. Sfida all’ Europa.

Alla fondazione delle Comunità,l’Europa era ancora immersa in un “guscio protettore” di  Eredità Culturale Europea, che, nelle intenzioni dei Padri Fondatori, le Comunità avrebbero dovuto promuovere, non già cancellare. La sfida, oggi, ci viene, invece, dagli esiti estremi della Globalizzazione, che rischiano di cancellare, con il declino dell’ Europa, anche i residui stessi dell’Eredità Culturale Europea. Sfortunatamente, il “Metodo Funzionalistico” è inefficace contro questa minaccia, sicché la cultura europea è chiamata ad elaborare soluzioni alternative da proporre alla politica.

4.Ripartire dalla Cultura.

Le statistiche dimostrano che l’ Europa è il continente più acculturato del mondo. Se, fondandosi su questa propria eccellenza, l’Europa riuscisse a pensarsi come il baluardo non solo dell' ’Eredità Culturale Europea, ma perfino dell' Eredità Culturale Mondiale , essa avrebbe tutte le potenzialità per divenire una   forza trainante per tutto il mondo, capace di rispondere alle tre questioni fondamentali in cui si articola la sfida della Globalizzazione: l’avvicinarsi dell’era delle “Macchine Spirituali”, in competizione, per la supremazia, con la stessa Umanità; la consapevolezza che l’Eredità Culturale europea non è che una delle grandi tradizioni dell' Eredità Culturale Mondiale; la consapevolezza del Modello Socio-Politico Europeo come l'unico strumento per consolidare, nel contempo,e la nostra comune forza economica, e la nostra solidarietà sociale.

5.La missione degli intellettuali .
 
Da una siffatta iniziativa degli intellettuali, dovrebbe poter nascere un Nuovo Discorso Europeo, capace di attualizzare l’Eredità Culturale Europea nel nuovo ambiente della Globalizzazione. Per potervi contribuire, gli intellettuali europei riconoscentisi nell’approccio qui suggerito dovrebbero porsi in grado, utilizzando tanto i nuovi mezzi di comunicazione, quanto i meccanismi finanziari dell’ Unione, di proporre, entro tempi stretti, alla classe politica, a nuovi soggetti politici e ai movimenti dei giovani, nuove formule -concettuali, filosofiche, politologiche - per fronteggiare la Sfida all’ Europa–, i cui punti fondamentali potrebbero essere tratti dalle tradizioni del Federalismo Europeo: un dialogo autentico con tutte le culture mondiali; l’individuazione di un nuovo equilibrio mondiale, accettabile da tutti; un nuovo quadro istituzionale –una “Grande Europa”, in cui le nostre specificità venissero adeguatamente rappresentate e promosse-, un compiuto Ordine Giuridico Europeo, che realizzasse autenticamente i diritti sociali, umani e civili affermati, ma solo in teoria, dall’ “Acquis Communautaire”; un federalismo europeo e interno che costituisse un’effettiva rappresentanza di tutti, non già la moltiplicazione di inutili nomenklature.

Solo sfidando il qualunquismo, gli Intellettuali Europei potrebbero ricuperare una “leadership” morale e intellettuale ormai perduta, tramandando alle nuove generazioni un esempio vivente, fornendo un ideale per cui combattere ai giovani che protestano contro il presente, e restituendo ai cittadini la fiducia, che essi stanno perdendo, nell’ Europa, nella democrazia –e, infine, nella vita stessa-.
NON CHIEDETE COSA L’ EUROPA POSSA FARE PER VOI, MA COSA VOI POTETE FARE PER L’ EUROPA
Per Alpina srl,
(Lina Sarich)
Per AICCRE
(Alfonso Sabatino)
Per Poesia Attiva
(Bruno Labate)
Per l’Associazione Culturale Dialexis
(Riccardo Lala)
Per IPSEG
(Stefano Commodo)
Per Il Laboratorio
(Mauro Carmagnola)