martedì 21 aprile 2009

RIFLESSIONI SULL'INCONTRO CON CARDINI


Looking for European Identity:a must for European Federalism.Rechercher l' identité européenne: une nécessité pour le fédéralisme européen. Die Suche nach europaeische Identitaet: Eine Notwendigkeit fuer Eurofoederalismus

Se, con “Identità Europea”, designiamo il “nocciolo duro” concettuale dell’ Unione – riuscire a definire questa “identità”, potrebbe significare, in un certo senso, “controllare il futuro dell’ Europa”.

1.Cardini

Costituisce da sempre un nostro obiettivo l’ incontro con intellettuali-chiave, che hanno riflettuto su questo tema,

Franco Cardini è certamente uno di questi intellettuali .

Innanzitutto, per la vastità e la poliedricità della sua cultura, che gli permettono di mantenere e difendere vigorosamente posizioni culturali fortemente anticonformistiche. Poi, per il suo impegno europeistico di sempre. Infine, per il suo personalissimo percorso ideale, che parte da una visione originale del ruolo della storia, attraversa l’ esperienza religiosa e il dialogo interreligioso, si nutre di un ben inteso patriottismo e sfocia nella capacità di esprimere, in ogni momento, valutazioni profonde e libere anche sulle vicende dell’ attualità e della politica.

Cardini ha una visione disincantata della storia, dominata dal libero arbitrio e dalla pluralità delle tradizioni. La sua convinta e non taciuta fede cristiana non gli impedisce di riconoscere, sullo arco di molti secoli, il contributo fondamentale dato, dall’ Islam, alla formazione della cultura europea; interpreta l’ attaccamento alla tradizione culturale italiana nel senso di una naturale vocazione all’ universalità ed all’ Europa. Europa che, correttamente, distingue dall’ “Occidente” - termine relativamente recente, che serve ad indicare la migrazione del “senso della storia” verso il mondo protestante, e, infine, verso l’ America-.

2.L’ identità europea.

C'è chi dice che un' identità europea non esiste o non dovrebbe esistere.

Per alcuni, il concetto stesso di identità sarebbe evanescente, perchè nessuno è mai identico a se stesso. Per altri, avrebbe senso solo un' identità individuale, ma non quella collettiva. Per altri ancora, sarebbero vere identità collettive solo quelle volontarie, non quelle sedimentatesi nel tempo. Per altri, infine, esistono le identità nazionali, ma quella europea non c'è, o non c' è ancora.

Eppure, è un dato di fatto che tutti sono molto interessati al fenomeno dell' identità, e, ciò, oggi più di un tempo. Chi va dallo psicanalista perchè ha una crisi di identità. Chi rivendica, anche attraverso simboli, la propria identità, sia essa islamica, omosessuale o padana.

Ma, soprattutto, tutti discutono animatamente su che cosa sia laidentità americana (libertà, democrazia, libero mercato, puritanesimo, razzismo?), che cosa quella islamica (religiosità, tradizione, fondamentalismo, aggressività, machismo?).

Perchè mai non ricercare anche, se c'è, l' identità europea?

Quelli che ci credono, cadono, per altro, nella trappola della eccessiva ingenuità: descrivere l'identità europea come la somma degli aspetti culturali che soggettivamente si preferiscono.Per l' uno, l' identità europea è cultura classica, ebraismo, cristianesimo, democrazia e modernità. Per altri, è la tradizione giudaico-cristiana più quella parte dell’ illuminismo che non la contraddice; per altri ancora, è semplicemente la modernità; per altri, infine, è il mai vinto paganesimo dei Greci, dei Romani e dei Barbari.

Un altro errore è credere che l’ identità sia una formula giuridica da scrivere all’ inizio della Costituzione: richiamare Dio o la laicità; il lavoro o la libertà; la Patria o il mercato?

3.Federalismo

Ma, se non è una formula giuridica, che cosa c’entra l’ identità con l’ integrazione europea? Non è questa integrazione il primo caso di un’ aggregazione politica “neutrale”, guidata solamente dalla ragionevolezza, non già dalle distruttive passioni culturali e politiche?

E, di converso, come fare a decidere chi federare e come? Perchè i Ticinesi con i Grigionesi, i Maltesi con gli Estoni, i Sikh con i Tamil, i Libici con gli Swazi, e non i Ticinesi con gli Swazi, i Grigionesi coi Tamil, ecc..?

Come farebbero gli Stati Uniti ad essere così sicuri di quello che vogliono, se, al di là delle differenze, non avessero una cultura comune? E come farebbero i Sudamericani a resistere agli Stati Uniti, se a loro volta non avessero un loro substrato culturale comune?

La decisione di creare uno Stato, o una federazione, presuppone una scelta culturale. Gli Stati Uniti nascono da una scelta protestante e illuministica; l’ Unione Sovietica da un’ opzione marxista, l’ Unione Indiana dalla coniugazione fra l’antica idea imperiale mongola e inglese e il patriottismo sui generis di Gandhi.

Il “patriottismo della costituzione” funziona in Germania perchè la Germania c’ è già, ma quando si è creata la Repubblica Federale si è scelto, fra vari possibili modelli - per esempio il vecchio Obrigkeitsstaat o una Repubblica Socialista -..

Per tutti questi motivi, siamo curiosi di vedere come si svilupperà il dialogo fra Cardini e il nostro pubblico.

domenica 19 aprile 2009

BIENNALE DEMOCRAZIA A TORINO


Segnaliamo la lodevole iniziativa delle autorità torinesi di convocare a Torino, in connessione con gli annuali festeggiamenti del 25 aprile, una serie di manifestazioni volte ad approfondire (anche criticamente), il tema della democrazia.

Durante le 5 giornate dedicate a questo tema (aperte da un intervento del Presidente Napolitano), verranno affrontati una grande quantità di temi anche disparati, che vanno dal concetto stesso di democrazia, alla sua storia, ai suoi limiti, ai suoi rapporti con la religione, con le identità continentali, nazionali e di genere.

Parleranno anche intellettuali decisamente non conformisti, come Tarchi e Canfora,Veneziani e Zolo, Cardini e Fisichella.

Cercheremo di riferire quanto più possibile sull' esito dell' iniziativa.

Soprattutto, vogliamo dare anche noi il nostro contributo al dibattito, invitando Franco Cardini, il 25 aprile, a parlare, nella nostra sede, sul tema "Identità Europea e Federalismo"

giovedì 26 marzo 2009

I leader mondiali confermano la fine delle egemonie

End of Hegemonies Confirmed. La fin des hégémonies est confirmée. Ende der Hegemonien bestaetigt.

A partire dall’ elezione di Obama, molti osservatori politici avevano pronosticato il fatto che la fine dell’ egemonia americana si sarebbe allontanata, in quanto il nuovo Presidente avrebbe espresso un alto grado di leadership, così soddisfacendo ad un’ esigenza comunque presente.

Le misure prese per fronteggiare la crisi economica e le promesse di rovesciare la politica militare di Bush sembravano avere frenato le crisi più evidenti.

Tuttavia, cl protrarsi della crisi economica e con il replicarsi di momenti di ostilità nei settori cruciali, i destinatari degli appelli del Presidente (Russia, Europa, Iran e Cina) sembrano sfilarsi a uno a uno.

La Russia non ha ancora incassato la fine del sistema antimissili, che già vede sorgere il problema della NATO in Svezia e in Finlandia, e, perciò, insiste nel programma missilistico, invia i bombardieri nei Caraibi e nell’ Asia Centrale, chiede una valuta mondiale.

Anche il Presidente Sarkozy si è associato a quest’ ultima richiesta, ripresa infine anche dalla Cina, e che, probabilmente, sarà proposta al prossimo G20.

Infine, per ora, gli USA non hanno neppure revocato le sanzioni economiche contro la Repubblica Islamica.

Soprattutto la proposta, ormai corale, di una nuova valuta mondiale, conferma in modo clamoroso le previsioni del libro di Antonio Mosconi.

La tenaglia - 3

(foto: Farid Zakaria)

Fini warns against "Sole Way of Thinking".Fini conjure la "Pensée Unique". Fini warnt vor "Alleiniges Gedanke"

Appare singolare che, proprio nel momento della creazione, con il Popolo delle Libertà, di un soggetto politico che rappresenta quasi la metà dell’ elettorato italiano, uno dei suoi principali fondatori, Gianfranco Fini, denunzi il rischio di un “pensiero unico” legato a questa nuova realtà. Questo non per le dimensioni di questo soggetto, né per la pluralità degli elementi che lo compongono, bensì per l’implicito conformismo che regna nei partiti-aziende, nelle burocrazie tecnocratiche, nel consensualismo forzato e nel culto dei sondaggi.


Questo pensiero unico, che già si coglie nella ricerca ossessiva di “una memoria condivisa”, e nella banalizzazione dei conflitti, tipica dei “talk shows”, coinvolge tutti i soggetti, ma soprattutto quel partito che, per le sue dimensioni, aspira ad identificarsi allo stesso tempo con il popolo, con lo Stato e con l’ economia (se non anche con la Chiesa).

Eppure, da quando il nuovo progetto bolle in pentola, il Governo che ne è l’ espressione, e il suo leader, hanno fatto anche cose ottime, che, forse, prima, non sarebbero state possibili. Ad esempio,le proposte per una politica economica per l’ Europa, o i rapporti inediti con la Russia e con la Libia, che non rispondono, come alcuni credono, solo a interessi particolari, bensì a tendenze di fondo dell’Italia e dell’Europa.

Solamente, tutto ciò è avvenuto senza un progetto politico trasparente; anzi, sostanzialmente, a dispetto delle ideologie prevalenti nel PDL, che restano quelle euroscettica, mercatistica ed occidentalistica.

Il problema è veramente complesso: il PDL viola di fatto il Pensiero Unico nello stesso momento in cui lo impone ai suoi quadri.

La vera difficoltà è costituita dalle società contemporanee, così complesse da sfuggire ad ogni definizione. Qui coesistono identità ancestrali, rinnegate ma mai morte: lobbies più o meno occulte ancora impregnate dei dogmi della modernità; strutture statali di una tale completezza da rischiare la paralisi; un’ economia di mercato in perenne crisi; ceti tradizionali che resistono e una gran massa di ”déracinés” ; un pubblico manipolabile indaffarato e semi-alfeabetizzato ed intellettuali troppo sofisticati, chiusi nelle loro torri d’ avorio.

Probabilmente, una certa dose di centralismo e di opacità intellettuale sono oggi necessarie per gestire i grandi aggregati continentali a dispetto della complessità e dei “media". Tuttavia, se non vogliamo avere da un giorno all' altro delle sgradite sorprese, dovremmo pretendere che la politica renda conto delle proprie strategie almeno nel limitato agorà della cultura politica.

Proprio realtà enormi ed inafferrabili come il PDL, l’ UMP o Edinaja Rossija avrebbero tutto da guadagnare nel suscitare, almeno nelle classi dirigenti, un dibattito politico serio sui grandi temi storico-politici.

Almeno come fa quel centinaio di pensatori politici che animano i “think thanks” americani (da Kennan a Kissinger, da Brzezinski a Huntington, da Fukujama a Podhorez, da Kagan a Zakaria), e che, ad ogni cambio di presidenti, si alternano nel ruolo di “consiglieri del Principe”.

A nostro avviso, i temi su cui cimentarsi non mancherebbero: a cominciare dall’ Identità Europea, per passare alla laicità, poi, i rapporti con il resto del mondo; la concezione dell’ ambiente, delle autonomie locali e sociali, il ruolo della cultura, ecc...

Quindi, non già un “pensiero unico”, bensì un’ “Agenda” di temi, sui cui i vari soggetti pensanti siano chiamati a pronunziarsi.

Agende che possono essere diverse da Paese a Paese, da partito a partito, ma che, alla fine, devono trovare una loro sintesi sensata.

venerdì 20 marzo 2009

La tenaglia - 2


Ideology or Utopy? Idéologie ou Utopie? Ideologie oder Utopie?
Al di là della questione delle ideologie, il libro di Irti ne propone un' altra, di portata più generale: con la caduta delle cosiddette “Grandi Narrazioni”, non si è forse andati troppo in là, pretendendo che si possa fare a meno, non solamente delle ideologie, bensì anche di una qualsivoglia forma di collegamento fra il pensiero speculativo e la realtà fattuale?

L’urgenza di una risposta è data dalle conseguenze di questa assenza di pensiero politico. Conseguenze che si possono ridurre alla perdita del controllo, da parte dell’umanità, sul divenire del processo storico.È proprio a questa perdita di controllo che si riferisce la metafora della “Tenaglia”.

Nel mondo senza ideologie, le scelte vengono effettuate da apparati apparentemente impersonali, ma che, di fatto, impersonano la logica burocratica della pura volontà di potenza fine a se stessa.

Per Irti, le due ganasce della tenaglia che stringono l’umanità di oggi sono, da un lato, la tecnocrazia del mercato; dall’altro, l’interventismo clericale.Sviluppando questo pensiero dell’autore, a noi sembra che ambedue queste forze si apparentino per il loro carattere anomico: esse, anziché riallacciarsi consciamente alle forze storiche e culturali che le hanno poste in essere, interpretano semplicemente l’esigenza di potere che scaturisce dalla presenza di potenti strutture organizzate.

Aggiungendo ancora una nostra interpretazione, questo “modus operandi” si ritorce contro queste stesse forze, le quali non sono in grado, per questo motivo, di perseguire in modo razionale i loro propri obiettivi storici.Ma, sorge spontanea la domanda, l’assenza di ideologie (ovvero di una qualche forma di pensiero politico), non è forse la conseguenza di un fenomeno epocale, contro cui è difficile difendersi?

A nostro avviso, tale fenomeno epocale è la “Dialettica dell’Illuminismo”.

Le “ideologie” della Rivoluzione Francese, bollate, prima che da Marx, da Napoleone, e rivendicate, invece, dagli intellettuali “progressisti” sotto la Restaurazione, altro non sono che l’articolazione dialettica del cosiddetto “chiliasmo del filosofo”, predicato da Kant, secondo cui l’escatologia delle religioni monoteistiche avrebbe dovuto essere interpretata in senso mondano, come infinita perfettibilità dell’uomo.Cristianesimo sociale e nazionalismo, liberalismo e socialismo, sono la declinazione in modo dialettico di quest’unico “programma di sistema” (come lo avevano definito Hölderlin, Kant e Schelling).

Lo “scacco” del “chiliasmo del filosofo” si rivela sotto due diversi punti di vista:
a) l’ineliminabilità del male;
b) la vittoria storica dei Paesi dell’Oriente, i quali, non avendo una tradizione monoteistica, non hanno spazio per l’idea di “chiliasmo”.

Ma il pensiero politico può esistere solamente come forma secolarizzata di chiliasmo, oppure può prescindere totalmente da qualunque forma di escatologia terrena, come fa, per esempio, il Confucianesimo, e come facevamo le religioni monoteistiche fino a qualche secolo fa?

L’idea di “utopia”, che preesisteva a quella di “ideologia”, non aveva bisogno di presupporre un “lieto fine” cosmico.

L’utopia era desiderio, provocazione, progetto, non una sentenza del Tribunale della Storia.

Quello di cui abbiamo, probabilmente, bisogno oggi, è una qualche forma di utopia, che non pretende di risolvere il problema del male del mondo, bensì di risolvere le esigenze (tutte le esigenze, spirituali, culturali, istintuali, emozionali, fisiche, economiche e/o giuridiche) degli uomini di oggi, così come sono, con le loro diversità, ed anche con i loro difetti.
Una siffatta “utopia” non è, certo, meno impegnativa di un irrealistico e sfuggente “chiliasmo del filosofo”.

Ma siffatte utopie, oggi, esistono?
A nostro avviso, solo ora si sta incominciando a ragionare intorno ad esse.
Il federalismo è, a nostro avviso, il nuovo asse portante della creazione del pensiero politico.

Esso, al contrario dell’idea di “Progresso”, è, per sua natura, relativistico e pluralistico. Esso non mira a schiacciare, bensì ad esaltare le diversità. Esso tende a creare una pluralità di utopie fra loro non confliggenti; utopie che si propongono di risolvere problemi parziali dell’umanità: quello della cultura, quelli dell’ambiente, quello della libertà, quello della religione, quelli dell’Occidente, quelli dell’Oriente, quelli del Sud del Mondo.

lunedì 16 marzo 2009

La tenaglia - 1

Natalino Irti urges for a renewed need for ideology. Natalino Irti sollicite une forme de renaissance des idéologies. Natalino Irti stellt die Frage über ein erneutes Erfordernis für Ideologien.

Nel suo ultimo libro, Natalino Irti solleva un importante problema: quello della scomparsa delle ideologie. Mai osservazione avrebbe potuto essere più puntuale, soprattutto qui in Italia, dove stiamo assistendo ad una vera e propria gara fra i partiti politici a cambiare continuamente i propri quadri di riferimento, divenuti, così, intercambiabili.

Il PDL può passare impunemente da un “cristianismo” integralista ad un individualismo sregolato, dal liberismo economico senza freni alla lotta al “mercatismo”, dall’affermazione del Fascismo come il Male Assoluto all’identificazione di Berlusconi come il nuovo Uomo della Provvidenza.

Il PD può passare senza danni dall’esaltazione estatica del sogno americano di Obama all’appoggio ad Hamas, dalla liberalizzazione selvaggia del mercato del lavoro al sostegno di tutte le rivendicazioni sindacali.

La realtà è che sono in crisi non già “le ideologie” in senso lato, bensì le “ideologie” in senso stretto, quelle nate dalla Rivoluzione Francese, ideologie che Napoleone e Marx sprezzavano, mentre, invece, Destutt de Tracy e Benjamin Constant rivendicavano come eredità “civilizzate” della Rivoluzione (liberalismo, ma poi anche nazionalismo, socialismo, democrazia, cristianesimo sociale).

Orbene, queste ideologie sono morte perché è morto l’ideale pseudoilluministico che le sottendeva, cioè il pregiudzio kantiano secondo cui, grazie alla ragion pratica ed alla Rivoluzione Francese l’uomo fosse divenuto finalmente libero dall’ignoranza,e, quindi, dal male. Come hanno magistralmente messo in luce Horkheimer ed Adorno, l’illuminismo, partito da quella pretesa, non è riuscito (come già immaginavano già illuministi come Boulanger) ad evitare questo destino, in quanto, con la distruzione della fiducia nella tradizione, esso si era limitato a sostituire a vecchi miti (Trono ed Altare), nuovi miti (Popolo e Progresso).

Ed, infatti, per quanto ciò possa sembrare paradossale, quelli che si confrontano, oggi, sul piano politico, in tutto il mondo, sono nuovi miti. Da un lato, quello del capo democratico disideologizzato, cesaristico e decisionista, che, forte del suo carisma mediatico, chiede sempre nuovi poteri ; dall’altro, quello di una religione pseudo-tradizionale, che, invece del misticismo, della salvezza delle anime, si preoccupa del dogma, della politica, della morale ridotta ad un precettario di comportamenti.

Sono, appunto, questi due le due ganasce della Tenaglia che Irti paventa. Le ideologie, pur con tutte le loro debolezze, derivanti dalle assurde affermazioni sull’autosufficienza della ragion pratica, avevano, comunque, il pregio di una certa trasparenza: date certe premesse teoriche (il “Chiliasmo del Filosofo” di Kant), grazie all’ideologia, vi sono strumenti operativi per decidere sulla realtà di fatto, sulla politica. Invece, con la disideologizzazione della politica, viene meno la trasparenza. Il Chiliasmo del Filosofo è ormai condiviso da tutti: è il Pensiero Unico, in forza del quale l’unica cosa che conta è il successo economico “hic et nunc” della media della popolazione (“il rilancio della crescita e dell’ occupazione”). Tutto ciò, però, non è esplicitato; è celato sotto la melassa del linguaggio politico - “politichese” - che accomuna destra e sinistra.

Come uscirne? Il difetto comune delle ideologie ottocentesche è quello di credere che il Millennio sia oramai prossimo, e che il Regno Divino sarà così radicale da sopprimere perfino l’obbedienza alle antiche leggi e credenze. Come credevano i primi Cristiani contro cui protestavano Paolo e Agostino, e poi i mazdeisti e gli islamici estremisti (come i Mazdakisti, i Carmati e gli Assassini), quando verrà l’Ora Ultima, saranno abolite leggi, tradizioni, testi sacri; tutti saranno perfetti e potranno fare tutto ciò che vorranno: ni Dieu, ni Maître.

Poiché, purtroppo, si era già visto, sotto il Terrore, che questa ingenua speranza non si sarebbe realizzata, ciascun “ideologo” si sforzò di inventare una metodologia per salvare il salvabile del “Chiliasmo” senza distruggerlo. Per il liberalismo, la libertà assoluta doveva essere frenata dalle procedure; per i democratici, dalla partecipazione popolare; per i nazionalisti, dalla comunione nella Religione Civile; per i socialisti, dalla gestione accentrata dell’economia.

Tuttavia, tutte queste “ideologie” hanno in comune l’idea che l’uomo moderno è perfetto e libero, e non ha più bisogno di ciò che serviva all’uomo antico: il Rito ed il Mito; il Centro ed il Capo; la Città e l’Impero. E, tuttavia, tutte queste cose si ripropongono: il rito all’altare della patria ed il mito del benessere; il Centro Occidentale ed il Presidente Decisionista; il Campanile della Lega e l’Impero Democratico. Per questo, le vecchie ideologie hanno perduto credibilità, e sono nate quelle nuove: ambientalista ed islamista, teocon, federalista, ecc...

Eppure, siamo proprio sicuri che anche queste non stiano riproponendo il “chiliasmo del filosofo”, sotto la specie dell’“Ipotesi Gaia”, del Mahdi, della “Guerra Infinita”, dell’incontaminata Padania dedita al culto del Dio Po?

martedì 3 marzo 2009

I PAESI DELL’EST-EUROPA CHIEDONO AIUTO A QUELLI DELL’OVEST


East European Countries urge West Europeans for help.Les Européens de l’Est demandent l’aide des Européens du Ouest.Osteuropäer beantragen eine Hilfe von der Seite der Westeuropäer.

Tutti i nodi vengono al pettine.
Il rapporto fra Est ed Ovest dell’Europa, messo in luce con grande lucidità già negli Anni ’30 dal Principe Trubeckoj (il grande linguista russo-bianco fondatore del Circolo di Praga), emerge finalmente in tutta la sua chiarezza.

I Paesi dell’Europa Centrale (dalla Polonia all’Estonia, all’Ucraina, alla Bulgaria) sono storicamente più poveri di quelli dell’Ovest (senza che occorra qui ricercare le ragioni di tale povertà).Da quando è diventato patrimonio comune dell’umanità pensare che tutti i Paesi debbano, innanzitutto, sforzarsi di sollevare il loro sistema economico per raggiungere quello dei “paesi più sviluppati”, i Paesi dell’Europa Centrale hanno fatto di tutto per raggiungere l’Europa Occidentale, imitando, prima, le potenze dell’Asse, poi, l’industrializzazione forzata staliniana, ed, infine, la de-regulation di Reagan e di Bush.

Nonostante ciò, essi non sono riusciti a raggiungere il livello dell’Europa Occidentale, la quale, in un modo o nell’altro, anche nel contesto dell’attuale crisi, se la cava molto meglio, con le sue strutture conservatrici, di Paesi come gli Stati Uniti e la Cina, che hanno puntato tutto su una crescita esasperata dell’economia, nonché dei Paesi dell’ Est, che hanno imitato, mutatis mutandis, ricette americane o cinesi.

Orbene, secondo quali criteri rispondere alle richieste di aiuto degli Europei dell’Est?Come al solito, in base ai gretti criteri del compromesso economico giorno per giorno?Oppure, in base a pregiudizi ancestrali, o a considerazioni ideologiche?

A nostro avviso, il criterio determinante non può essere che politico. La trasformazione delle economie dell’Europa Centrale ed Orientale in senso occidentale è stata voluta, consciamente od inconsciamente, anche dalle élites dell’Europa Occidentale, come parte integrante di un progetto meta-politico di realizzazione di un’Identità Europea.

Questo progetto è stato concepito e realizzato in modo inadeguato a causa dell’insufficiente sviluppo dell’Identità Europea nella stessa Europa Occidentale.In particolare, l’Europa ha abdicato ad un ruolo di dialogo paritetico con l’Europa Centrale ed Orientale, includente tanto le Nomenclature, quanto la dissidenza; ha delegato i ruoli politici ed economici agli Stati Uniti; non ha preteso di inserire, nelle agende politiche dei nuovi Stati, accanto a temi genericamente occidentali, anche quelli specificatamente europei.

Le conseguenze di tutto ciò erano abbastanza prevedibili.
Le Nomenclature post-staliniste, sulla base della loro cultura opportunistica, hanno scelto di identificarsi con un modello americano che, da un lato, era particolarmente consono al loro background materialistico, e, dall’altro, si presentava come vincente.Di conseguenza, queste élites hanno sdegnato i suggerimenti di saggezza da parte dell’Europa Occidentale e si sono buttati a capofitto nella “turbo-economia” di tipo americano (per altro, la più facile da realizzare nella loro situazione storica, in cui il comunismo, con il suo egualitarismo, aveva eliminato tutte le possibilità di compensazione offerte dai ceti intermedi).

A questo punto, era facile prevedere che, dopo un’iniziale ubriacatura grazie al sistema “americano” dell’economia creditizia, questi popoli “déracinés” sarebbero caduti, non appena ci fosse stata una crisi del sistema occidentale, nella più profonda depressione.

A questo punto, che fare?
Rinfacciare agli Europei Orientali la loro ancestrale arretratezza, oppure la loro attuale povertà, oppure, ancora, le sequele nefaste del comunismo e del neo-liberismo?

Ciascuno può avere una sua risposta a queste domande.
Noi, essendo, in primo luogo, europeisti, abbiamo una nostra precisa risposta.
Questa è un’occasione d’oro per sancire una volta per tutte, a dispetto di tutte le ideologie, la solidarietà fra Europei.

È in quest’ottica che, come già anticipato in precedenti post, avviamo, da oggi, una serie di approfondimenti sui Paesi dell’Europa Centrale ed Orientale, volti a dimostrare che, nonostante tutti i luoghi comuni, e nonostante tutte le traversie storiche, gli Est-Europei sono europei a tutti gli effetti.