martedì 21 settembre 2010

EVET!

Affirmative Vote at Turkish Referendum Confirms Trend Towards Europe.Le vote affirmatif dans le referendum turque confirme l’orientation en faveur de l’Europe.Bejahende Volksabstimmung in türkischem Referendum bestätigt Richtung nach Europa.



La Turchia non cessa di suscitare l’interesse degli osservatori politici grazie all’attivismo in tutti i campi del Governo Erdogan.

Attraverso il recente referendum, il Governo dell’AKP è riuscito, nello stesso tempo, a “centrare” due diversi obiettivi:

- indebolire le obiezioni dell’Unione Europea circa la non completa democraticità della Turchia, così eliminando uno dei principali pretesti contro la sua adesione all’Unione;

- infliggere un colpo all’opposizione militare e laicistica, attraverso l’eliminazione di molte norme che, fino a ieri, garantivano, da un lato, un diritto di veto contro le decisioni del Parlamento e del Governo, e, dall’altro, l’immunità degli alti ufficiali dalla persecuzione giudiziaria dei reati contro i diritti umani compiuti in occasione dei passati colpi di Stato.

Il referendum apre, così, la porta ad una completa riforma della Costituzione, con la possibilità di legalizzare completamente l’associazionismo islamico.

La Turchia rappresenta, sempre di più, un chiaro esempio di come, in un’epoca in cui vi è la tendenza ad imporre in modo autoritario l’omologazione culturale indotta dalla globalizzazione, la democrazia si riveli un potente strumento di difesa delle identità e delle differenze culturali.

Non casualmente, nel recente “forum”internazionale in Russia per commemorare il primo millennio della Città di Jaroslavl’, anche il Presidente Medvedev ha lanciato un’ampia offensiva nel senso della democratizzazione della Russia ,abbinata alla riproposizione del progetto di un nuovo patto per la sicurezza europea.

In tale modo, Russia e Turchia, pur non venendo considerate come possibili candidate in tempi brevi all’ingresso nell’Unione Europea, divengono, di fatto, due elementi motori della sua dialettica interna.È significativo che si moltiplichino studi di Think Tanks legati al Cremlino, che ipotizzano varie forme di integrazione della Russia nella NATO e nella UE.

Tutto ciò con una singolare coincidenza con studi di origine americana ed europea che segnalano un significativo spostamento nell’opinione pubblica europea, favorevole alle politiche del Presidente americano Obama, ma sfavorevole alla prosecuzione della “leadership”, all’interno dell’Occidente, da parte degli Stati Uniti. In definitiva, si prospetta un “Occidente allargato”, comprendente anche Russia e Turchia (oltre, eventualmente, ad alcuni Stati turcofoni e slavofoni ex-sovietici), ma in cui la leadership sarebbe destinata a spostarsi gradualmente “verso Oriente”.

CIVILISACHON VALDOTENA

The Week of the Festival of Aosta Valley , a Strong Occasion for Reaffirming European Minorities Rights.La semaine de la Fête de la Vallée d’Aoste a constitué une occasion exceptionnelle pour la réaffirmation des droits des peuples minoritaires.Die Woche des Aostatalsfests eine ausserodeutliche Angelegenheit Rechte der europäischen Minderheitsvölker zu behaupten.

È singolare come perfino in una Regione confinante con la Valle d’Aosta, e con una profonda comunanza storica con la stessa, come il Piemonte, si ignori la vera e propria “rivoluzione culturale” che si sta compiendo nella Valle (anche se in mezzo a profondi conflitti e differenze di opinione).

È noto come, storicamente, la Valle d’Aosta abbia, da sempre, costituito un “quid unicum”, non solamente in Italia, bensì anche nell’ambito degli Stati di Sardegna("ducatum istum non esse citra neque ultra montes sed intra montes"). Stati a cui cominciò ad appartenere poco dopo il 1000, sotto Umberto Biancamano .

La Contea (Ducato) di Aosta godette sempre di una grande autonomia, che ebbe la sua maggiore espressione nei Conseil des États de la Vallée d’Aoste, un vero “Parlamento” di “Stati” (secondo il modello medievale), il quale non cessò mai dalle sue funzioni fino alla Rivoluzione Francese, anche se, nel Settecento, con le "Royales Constitutions", il Re di Sardegna tentò di ridurne l' autonomia.

Non soltanto, ma Aosta possedeva anche, come precisa una targa esposta nel “Palais des États”, un autonomo esecutivo, i “Conseil des Commis”.Il tutto completato dal Bailli (Podestà) del Duca di Savoia e dal Vescovo di Aosta, con ampie prerogative.

Dopo l’Unità d’Italia, i Valdostani furono particolarmente attivi nell’elaborazione della loro cultura, come, per esempio, da parte dell’Abate Cerlogne, poeta e ceodificatore della lingua valdostana, e da parte del comandante partigiano Emile Chanoux, che partecipò, tra l’altro, all’elaborazione, in piena 2ª Guerra Mondiale, della Carta di Chivasso, che anticipò il sistema delle Regioni Autonome. Chanoux fu caratterizzato per altro da un vero e proprio nazionalismo savoiardo-valdostano, che trova espressione nel manifesto "L' Esprit de Victoire", ch'egli lesse al Comité de Libération di Aosta, il primo Comitato di Liberazione d' Italia. Chanoux fu ucciso dai Tedeschi poco prima della fine della guerra.

Sempre a cavallo della 2ª Guerra Mondiale, Federico Chabod, professore all’Università di Torino e anch'egli comandante partigiano, pubblicò due opere fondamentali per la storia dell’identità europea: “L’Idea di Nazione” e “Storia dell’Idea di Europa”. Chabod, per altro assente a Chivasso, fu l' estensore del contributo dei Valdostani alla Carta di Chivasso, primo documento del federalismo interno italiano e sui diritti dei popoli minoritari.

Nel 2° Dopoguerra, la Valle d’Aosta ottenne un regime di autonomia che costituì un esempio per i movimenti autonomistici di tutta Europa. Tradizionalmente, la Valle d’Aosta riuniva, sotto l’egida di un suo Collège d' Etudes Fédéralistes fondato da Corrado Gex, movimenti autonomistici dei popoli minoritari di tutta Europa. Incidentalmente, ricordiamo che Gex (che, oltre che deputato, era aviatore,tanto che gli fu dedicato l' aeroporto di Aosta, morì giovane in un incidente aereo che colpì l'aereo da lui stesso pilotato). L' indagine giudiziaria sull'incidente è stata recentemente riaperta.

Negli ultimi anni, l’iniziativa in merito alla tutela dei popoli minoritari era stata piuttosto raccolta da regioni della Mitteleuropa (Germania, Austria), e, poi, del Nord Europa (Frisia, Galles),le quali ultime gestiscono il centro Mercator di Leewaarden in Frisia Occidentale.Negli ultimi 2 anni, la Valle d’Aosta ha ricominciato a coltivare le sue vecchie ambizioni di costituire una sorta di catalizzatore , convocando ogni anno, nell’ambito del “Festival della Valle d’Aosta”, un festival dei popoli minoritari.

Quest’anno, nell’ambito del Festival, è stato organizzato un dibattito sulla globalizzazione, a cui hanno partecipato, oltre ai Valdostani, Catalani, Bretoni e Ladini.È singolare che le lingue dei popoli partecipanti (salvo il Bretone), fossero mutualmente comprensibili, tanto che il rappresentante catalano, Prof. Amigó, ha potuto tranquillamente tenere tutta la sua relazione nella propria lingua.A significare, a nostro avviso, che, dalla costa dell’Atlantico fino a Trieste, si estende un’area linguistico-dialettale sostanzialmente omogenea, che solo per motivi politici si è voluta distinguere in Galiziano, Aragonese, Catalano, Valenciano, Mallorquin, Aranese, Occitano, Franco-Provenzale, Gallo-Italico, Ladino e Friulano. Quest’area linguistica era caratterizzata, anticamente, dall’uso della Lenga d’Oc, nelle sue diverse varianti, come brillantemente esemplificato da Raimbaut de Vaqueiras, che scrisse liriche in cui intercalava Gallego, Guascone, Provenzale, Langue d' Oil, Ligure e Italiano del Nord.

I popoli minoritari godono, nelle Regioni coinvolte nel dibattito, di diritti, soprattutto culturali e linguistici, crescenti. Tuttavia, esse sono il teatro, più ancora di altri territori, del conflitto, attualmente in corso, fra, da un lato, l’omologazione indotta dalla globalizzazione, e, dall’altro, la resistenza delle culture locali.

La presenza di una forte immigrazione dall’Europa Orientale ed extra-comunitaria, aggiunge un’ulteriore variabile, che le regioni autonome minoritarie tentano di affrontare attraverso un’integrazione speciale, che, attraverso l’allargamento della comunità linguistica, includa anche i nuovi cittadini.

Come questa vicenda sia complessa è stato illustrato, soprattutto, nella seconda parte della Festa della Valle d’Aosta, la Fête du Patois, all’interno della quale si è esplorata la problematica specifica del Franco-Provenzale in Valle d’Aosta e nelle regioni confinanti (soprattutto, Vallese, Piemonte e Savoia).

Il problema del “Patois” (“Franco-Provenzale”) è di una grande complessità, in quanto ha a che fare: con: i concetti di “Lingua” e di “Dialetto”: con la categorizzazione delle “Lingue”; con i rapporti fra “lingua alta” e “lingua popolare”; con i rapporti, all’interno stesso delle Regioni Autonome, della Lingua “alta” nazionale (l’Italiano), della “Lingua Alta” alloglotta (il Francese), della "Langue du Cœur" (il Valdostano), il dialetto effettivo (quello dei singoli Comuni), le aree linguistiche affini (francoprovenzali), le parlate minoritarie nella Regione (Walser, Tedesco e Piemontese); con il rapporto fra “Civiltà alpine” e “Civiltà valligiane”, fra tradizione e globalizzazione, e così via.

La complessità di questo dibattito fa comprendere quanto siano riduttivi i discorsi politico-culturali in corso nella “grande stampa”, che ignorano questo fenomeno imponente delle “lingue e popoli minoritari” dell’Europa, ai quali appartengono all’incirca il 20% degli abitanti dell’Europa.Fa dimenticare anche come questi dibattiti eccitino ancor oggi le passioni dei Valdostani, divisi fra un autonomismo più o meno spinti e una visione più "italocentrica" della Valle d' Aosta.

Ricordiamo che vi sono in Europa più Rom, Turchi e Russofoni, che non Olandesi o Svedesi.

venerdì 10 settembre 2010

TORINO,CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA?

In 2019, Italy Will Host one of the European Culture Capitals. En 2010, l'Italie hébergera l'une des deux Villes Capitales d' Europe. In 2010, wird Italien eine der zwei Kulturhauptstaedte beherbergen.


La decisione 1622/2006/CE (http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/oj/2006/l_304/l_30420061103it00010006.pdf ) ha offerto all’Italia un’importante opportunità.

Nell’ultima tornata dell’“Azione Speciale Capitale Europea della Cultura”, quella del 2019, il Governo italiano e quello bulgaro dovranno proporre una città ciascuno le quali, insieme, costituiranno le “Capitali Europee della Cultura”.

Nel corso della lunga vicenda, prima delle “Città Europee della Cultura”, poi delle “Capitali Europee della Cultura”, l’Italia ha già ottenuto questo riconoscimento tre volte: nel 1986, con Firenze; nel 2000, con Bologna; nel 2004, con Genova.

La “Capitale Europea della Cultura” è una città dove, con il supporto dell’Unione Europea, si svolge, nel corso dell’anno di designazione, un’intera serie di manifestazioni culturali, tutte di orientamento europeo.

La città in questione viene scelta, all’interno della rosa dei candidati, da una commissione europea e dallo Stato membro proponente, e viene confermata dal Consiglio dell’Unione.

Per il 2019, si sono già candidate il Triveneto, Ravenna, Siena, Terni, L’Aquila, Bari e Matera.

La questione era già stata sollevata in Consiglio Comunale di Torino nell’ambito della 5ª Commissione Consiliare, ma nessuna decisione è ancora stata, fino ad ora, adottata.

La gestione di un programma annuale di Capitale Europea della Cultura è un’impresa complessa. Essa implica la realizzazione di molte e diverse attività, di carattere puntuale, ma, più spesso, pluriennale, delle quali talune sono specifiche alla qualifica di Capitale Europea della Cultura, ed altre, invece, fanno parte di un programma di sviluppo a lungo termine della città.

Per questi motivi, la scelta di candidarsi quale Capitale Europea della Cultura dev’essere adeguatamente ponderata da parte delle città dello Stato membro prescelto, anche sulla base di un complesso conto economico, che tenga conto, da un lato, degli investimenti richiesti da parte dei diversi soggetti coinvolti, e, dall’altro, dei ritorni, diretti, e/o indiretti, attesi. Tali importi sono in gran parte rientranti nel bilancio dello Stato membro proponente, in misura minore in quelli degli Enti Pubblici Territoriali, degli Sponsors e delle Associazioni.

Il nostro nuovo libro, "Torino, capitale europea della cultura? Riorientare le energie del Piemonte" (Alpina, Torino, 2010), ha l'obiettivo di:

-informare la cittadinanza torinese dell' esistenza di questa opportunità;

-sollecitare le Autorità ad assumere una decisione circa l' eventuale candidatura della Città;

-suscitare un movimento di opinione sull' argomento;

-cogliere l' occasione per prospettare importanti trasformazioni, delle quali, secondo noi, la Città avrebbe bisogno indipendentemente dalla designazione quale "Capitale Europea della Cultura"

A nostro avviso, vale la pena di impegnarsi su questa strada solamente per quelle città che decidano comunque di focalizzare le proprie energie verso la cultura europea.

A suo avviso, per altro, Torino avrebbe tutto l’interesse a rientrare fra queste città, in quanto la sua attuale crisi è, in un certo senso, parallela a quella che scuote l’Unione Europea nel suo insieme.

L’una e l’altra, crisi culturali. La cultura “funzionalistica”, incentrata su una visione tecnicistica e meccanicistica della storia e della società, non è stata in grado, infatti, di prevedere fenomeni come il crollo del sistema comunista, l’emergere dei BRIC, le crisi finanziarie dell’Occidente.

L’Europa, e Torino, si trovano ora "spiazzate", e si chiedono quale possa essere il loro ruolo nel futuro.

Noi proponiamo che tale ruolo venga ricercato, senza pregiudizi, in una rilettura attenta della storia e della cultura europee. L’occasione del 2019, con l’annesso onere di dibattere su questi temi e di affrontare una complessa procedura di selezione, ci offre l’opportunità di compiere questo sforzo. Tuttavia, secondo l’Autore, tale sforzo andrebbe comunque affrontato, per la stessa sopravvivenza della Città.

NAPOLEONE A CHERASCO: ATTUALIZZAMO LA NOSTRA STORIA

napoleone_a_cherasco


Annual Celebrations of Cherasco Truce – a Typical Creation of European Popular Culture-. Les célébrations annuelles de l’ Armistice de Cherasco: un exemple concret d’une culture populaire européenne. Jaehrliche Feiertage fuer Cherascos Friedensvertrag: konkretes Beispiel fuer europaeische Volkskultur.

Alpina e Diàlexis sono state felici, quest’ anno, di potere ospitare, nella loro sede, la conferenza stampa di “lancio” delle, ormai tradizionali, manifestazioni napoleoniche.

Manifestazioni che uniscono il Comune di Cherasco, la Fondazione Debenedetti, e, infine, le Associazioni Napoleoniche, nella persona, di Frédéric Dubois.

“Parentela", questa con i Francesi, che sono da tempo discusse, e discutibili .Citiamo, a questo proposito, fra l’ altro, la letteratura, etnografica e linguistica, circa i popoli “arpitano”, provenzale e “francoprovenzale”; il carattere “lato sensu francofono” delle aristocrazie piemontesi (ivi compresa Casa Savoia); l’influenza dell’ annessione all’ “Empire Francais” sulla nascita della classe dirigente risorgimentale; l’influenza di Napoleone III sulla II Guerra di Indipendenza.

Dal nostro punto di vista, vale a dire quello dell’ “Identità Europea”, la “Questione Napoleonica” resta tutt’ora aperta.Questo perché l’ Europa è ( e, a nostro avviso, deve restare) culturalmente pluralistica.Ciò comporta che (in questo come in tutti gli altri casi),vengano presi in considerazione tutti i più diversi punti di vista culturali e storiografici, i quali, in questo come, e più ancora, che in tanti altri casi, sono, fra di loro, assolutamente contraddittori e divergenti.

Ricordiamo infatti che, proprio nel recente "festival del Patois" di Aosta, si è affermata, sì, l'appartenenza della Valle stessa alla Francofonia, ma si è affermata pure l' esistenza di una "Civiltà Valdostana".

Di converso, ogni anno si svolge, al Colle dell' Assietta, una manifestazione storica eguale e contraria a quella di Cherasco, la Festa del Piemunt, con la quale si celebra l' anniversario della vittoria degli Stati di Sardegna sulle truppe del Re Sole.

Noi crediamo che l' insieme di queste manifestazioni dimostri ulteriormente, se mai ve ne fosse bisogno, la forza delle tradizioni nei nostri territori, e i sentimenti diversi che legano, a queste tradizioni, specifici segmenti delle nostre Società. E' proprio quest' infinita sfaccettatura dell' Europa a costituire la sua forza e la sua identità.

LO “STATO DELL’ UNIONE” DI BARROSO

Barroso’s “State of Union” Speach Source of Wide- Ranging Controversies. Le discours de Barroso sur l’”Etat de l’ Union” solicite des controverses tout-à-fait légitimes. Barrosos Gespraech um dem “Stand der Union” reizt weitreichende Auseinandersetzungen

La stampa internazionale, e, in particolare, quella anglosassone, non ha mancato, certo, di mettere in rilievo le contraddizioni dell’ ambizioso discorso che lo stesso Barroso aveva battezzato con una denominazione tratta dalla tradizione politica americana (“The State of the Union”).

Nonostante le premesse non consolanti (previsione di un notevole assenteismo e minaccia (poi ritirata) di sanzioni contro i possibili assenteisti), il discorso si è svolto in modo indolore, ed ha perfino avuto un certo successo.

Barroso ha tracciato uno schema equilibrato delle attività in corso, in particolare quelle economiche.Ha poi svolto una giusta critica delle recenti scelte della Francia in materia di espulsione dei Rom (che sono cittadini europei).

Nel complesso, però, il discorso rivela che, pur consolidandosi sempre più nella “routine”, l’ Unione Europea non possiede alcuna strategia, e neppure si sforza di averla, come almeno tentano faticosamente di fare America, Cina e Russia.

Certamente, le trasformazioni in corso a livello mondiale sono enormi e solo parzialmente prevedibili (surriscaldamento atmosferico, guerre in Asia, sovrappopolazione nel Sud del mondo e crisi demografica a Nord, peso sempre crescente della Cina, instabilità cronica del sistema finanziario, deflazione), tuttavia, grandi organizzazioni continentali come l’ Unione Europea sono nate proprio per occuparsi di questi grandi problemi, lasciando quelli di minor peso (in base al "principio di sussidiarità",) agli Stati membri, alle Nazioni, alle città, alle associazioni, alle imprese e alle famiglie. Se l’ Unione Europea si occupa solo della “routine” perde di credibilità.

Eppure, la cultura politica che è emersa in questi 50 Anni (il “pensiero unico”) sembra fatta proprio per non decidere.

Si va verso un surriscaldamento o una nuova età glaciale? Bisogna sostenere le guerre “di civiltà” in Asia o dialogare con la Cina e con l’ Iran? Bisogna frenare i flussi migratori o accogliere tutti coloro che decidono di trasferirsi in Europa? Bisogna vietare gli investimenti dei Fondi Sovrani o incentivare gli investimenti dei BRIC? Bisogna sottoporre le transazioni finanziarie a severe restrizioni o incentivare i servizi finanziari internazionali? Ci vuole una “politica di austerità” o bisogna rilanciare i consumi?

Ci sembra che l’ Unione Europea ( e i suoi Stati membri) abbiano già detto, e fatto, in questi anni, tutto e il contrario di tutto.

Visto che la proposta Costituzione Europea, basata su una siffatta cultura politica, è stata "bocciata", sarebbe il caso di pensare una nuova Europa, con una chiara consapevolezza del proprio ruolo e, quindi, capace di proporre una ben precisa prospettiva, adottando, di volta in volta, decisioni coerenti con quest’ ultima.

Quindi, un programma grandioso di ricerca e di dibattito, per fare nascere nuove realtà culturali e politiche capaci di ideare una nuova "costituzione" dell' Europa retta da un piano unitario, semplice e direttiva, a cui tutti gli altri strumenti giuridici siano subordinati.

Un siffatto movimento culturale e sociale potrebbe animare una grande alleanza riformatrice, che si candidi al governo del Parlamento Europeo e degli Statio Membri, delle Regioni e delle città.

Una volta approvata questa nuova "costituzione", questo movimento potrebbe dedicarsi al rinnovamento della cultura, del diritto e dell' economia a tutti i livelli.

Per questo motivo, non condividiamo l'atteggiamento degli intellettuali più europeisti, come per esempio Sassoon nella sua più recente intervista a Torino, i quali si rammarricano che non vi sia una sufficiente "identità europea", ma poi non "entrano nella mischia" per proporre soluzioni.

Questo è, invece, il momento per agire.


YENI OSMANLILIK

Marmara Clash Sets New Trend in Turkish World Politics. La bataille sur le Marmara montre l’ aube d’une nouvelle politique mondiale de la Turquie. Kampf um Marmara Wegweiser einer neuen tuerkischen Weltpolitik.

“Osmanlilik” è un concetto ottocentesco . L’Impero Ottomano, insistentemente descritto, da parte della propaganda “occidentale” come il vertice dell’ oscurantismo e della barbarie, incapace di evolvere, fu, nei fatti, una creazione politica incredibilmente dinamica, la quale, nel giro di di 7 secoli, seppe incarnare le aspirazioni più diverse. Nel 13° secolo, gli “emirati turcomanni” della costa egea dell’ Asia Minore incarnarono una sintesi mirabile fra Islam, Bizantinismo e culture dell’ Asia Centrale; nel 14°, il primo Regno Ottomano seppe integrare popoli diversi, prevalentemente europei; nel 15°, si pose veramente come erede della civiltà bizantina, assorbendo territori profondamente grecizzati e divenendo anche, almeno ufficialmente, il protettore del Cristianesimo in quanto “Religione del Libro”; nel 16°, esso inglobò in modo non solo formale un’Ungheria, che divenne uno dei centri dell’ Impero, una Transilvania che fu uno dei Paesi più civili e tolleranti d’ Europa, e un’ Ucraina che fornì a Solimano il Magnifico la sua coltissima favorita Roxana, a cui dedicò alcune delle più belle poesie della letteratura turca; nel 17° secolo, la Turchia era, ormai, la maggiore potenza d’Europa, sì che gli Ungheresi di Rakoczi vi fuggirono per organizzare, d’accordo con Luigi XIV, la difesa della loro identità nazionale dall’ imperialismo degli Asburgo; nel 18° Secolo, l’Impero fu scosso dalla richiesta, da parte dell’ esercito, di un’organizzazione più centralizzata, sul modello delle monarchie illuminate occidentali; nel 19° Secolo, esso sviluppò una politica di riforme (“Tanzimat”), basato sulle idee europee; all’ inizio del XX° Secolo, esso fu sede di un ricco movimento di rinascimento nazionale, che ispirò idee ed istituzioni in tutta Europa, oltre che dell'Asia; nel corso della 1° Guerra Mondiale, la Turchia tentò, prematuramente, la carta del “Panislamismo”, ricordandosi, ahimé, solo allora, che, per contrastare il “Progetto Greco”,di Caterina II il Sultano aveva rivendicato prerogative “speculari” a quelle dello Zar (“Khalifa” e difensore dell’ Islam, come lo Zar era “Imperator” e difensore della Cristianità).

Anche gli esordi della nascente repubblica turca furono segnati dal conflitto fra tendenze parallele a quelle dell’ Europa e della Russia: il laicismo autoritario ed il panturchismo .

Sullo sfondo di questo enorme scenario, si rendono intelleggibili tanto l’ “Osmanlilik” tradizionale, quanto lo “Yeni Osmanlilik”. L’ “Osmanlilik” classico e tradizionale è quello del Tardo Ottocento (impersonato, in particolare, dal Sultano Abduelhamit), e fondato su un “mix” di “modernismo reazionario (legislazione scritta di tipo europeo –“Medjellet”-), apertura ai liberali (Costituzione) e alle minoranze nazionali (“Millet”), carattere multinazionale dell’ Impero (sul modello dell’ Impero Anglo-indiano, dell’ Impero Austro-Ungarico e di quello russo).

Yeni significa, in Turco “nuovo”.Quindi, “Yeni Osmanlilik” significa “Nuovo Ottomanismo”. Perché oggi questà scelta?

Noi crediamo per motivi paralleli a quelli che stanno portando i Russi alla definizione di un “Rossijskij Konservatizm”(cfr. Identità Europea).

La Turchia, pesantemente ridimensionata dal Trattato di Trianon, e non essendo riuscita a realizzare gli obiettivi dell’ “Ideologia Panturca” di Enver Pasha, morto combattendo nella guerra civile russa, non aveva potuto fare a meno di concentrarsi sulla “modernizzazione” interna. “modernizzazione” diretta dall’ Esercito, di cui ancor oggi stiamo subendo le conseguenze.

Un’ altra scelta importante fu quella (per altro, tutt’altro che scontata), di allearsi, nel corso della IIa Guerra Mondiale, con l’ America. Ciò permise, di fatto, alla Turchia, di rilanciare ulteriormente una (per altro non eccezionale) rivoluzione industriale, e di fare accettare all’ America stessa l’ idea che la Turchia possedesse il maggior esercito dell’ Occidente.

A questo punto, la Turchia sta, giustamente, giocando le sue carte, accumulate nel corso di un secolo.

Nessuno la obbliga più, dopo 83 anni, ad accettare i “diktat” occidentali, né in termini di allineamento internazionale, né in termini di cultura. Ciò, tanto più, in quanto i “parametri” impostile nel passato dagli Occidentali sono divenuti, oramai, assolutamente obsoleti. Se l’ America, per salvare la faccia, consegna il Pakistan ai Pashtun, alla Russia e alla Cina, e l’ Irak agli Iraniani, la Turchia non ha più motivo per astenersi anch’essa un ruolo egemone sui Curdi, sui Siriani, sui Palestinesi, sugli Aseri, sui Bosniaci, sui Tartari, sui Cossovari.

Cosa c’entra tutto ciò con la vicenda del Traghetto Marmara?C’entra perché, per la prima volta a partire dalla sconfitta nella 1° Guerra Mondiale, la Turchia ha, in pratica, rivendicato il ruolo di una potenza mondiale(imponendo alle Nazioni Unite di organizzare una Commissione di Inchiesta sul “Caso Marmara”).

Paradossalmente (o logicamente?), tutto ciò avviene mentre Thilo Sarrazin lancia, in Germania, la sua “crociata” contro i Turchi.

E, ancora più paradossalmente, il Governo turco che, attraverso il suo Ministro degli Esteri, sposa l’ idea dello Yeni Osmanlilik, continua ad insistere per l’ accessione della Turchia all’ Unione Europea.

Ci sarebbero infinite spiegazioni di questi apparenti paradossi. Quella che a noi sembra più plausibile è quella avanzata dallo storico russo-tedesco Rar, secondo il quale la Russia e la Turchia aderiranno all’ Unione Europea solamente quando potranno imporle le loro condizioni.

E’, dunque, giustificata la campagna anti-turca di Sarrazin?

A nostro avviso, no, perché non l’ ha certo prescritto il medico che gli Europei debbano vivere secondo un modello “individualistico di massa” o “libertino di massa”, mentre, invece, i modello sociali di Russia e Turchia, con il loro equilibrio fra “gerarchia simbolica” ed egualitarismo, fra “comunitarismo” ed “individualismo di massa”, potrebbero rivelarsi, oggi, paradossalmente, più “sostenibili” di quelli cosiddetti “occidentali”!

LE DIFFICOLTA’ DEL MULTICULTURALISMO

Jean Daniel’s Statement Shows Trend Towards New Culture. Une Prise de Position de Jean Daniel montre la voie vers la culture de demain. Jean Daniels Stellungnahme zeigt Weg nach Zukunft.

Giudichiamo particolarmente tempestiva la presa di posizione su “la Stampa”, con cui Jean Daniel ha lanciato la parola d’ ordine del “Canone Post-Occidentale”. Come noto, il “Canone Occidentale” è una famosa opera del critico letterario americano Harold Bloom, nella quale trova la migliore espressione la tesi “continuistica” sulla cultura americana, che, per Bloom, sarebbe poco più che un epifenomeno di quella europea. Tesi che, come sempre, non ha, certo, raccolto, intorno a sé, molti consensi, soprattutto in quanto contraria a quella dell’ “eccezionalismo americano”, a nostro avviso da sempre dominante Oltreoceano.

Sia come sia, Daniel ritiene che questo “Canone Occidentale” (cioè l’ insieme dei “grandi libri” pubblicati in tutte le lingue europee) stia cessando di rivestire un carattere normativo nell’ insieme del mondo, e che, pertanto, gli “Occidentali” debbano, oramai, accettare che, all’ interno del canone “normativo” per il mondo, debbano entrare a far parte anche “grandi libri non occidentali”.

Questa tesi, nella sua sinteticità, offre, ovviamente, il fianco a più d’una critica.A nostro avviso, essa possiede, tuttavia, l’ enorme pregio di avere un’ ineguagliabile forza “euristica”.Essa è, cioè, atta a fornire, per vari settori dello scibile, una “parola d’ordine” adeguata a motivare il superamento di importanti ostacoli concettuali che oggi bloccano lo sviluppo delle culture mondiali:

-nonostante le critiche relativistiche e nichilistiche, un “canone letterario” è comunque necessario, se non altro per motivi pedagogici, narrativi ed organizzativi;

-il “Canone Occidentale”, per quanto interessante per certe identità collettive, non può, certo, esaurire lo “Spirito del Mondo”;

-indipendentemente dal fatto che “la Cina governi il mondo”, come provocatoriamente ipotizza Martin Jacques, è ovvio che, in un mondo in cui Asia e Sudamerica posseggono, nel loro complesso, un peso politico e culturale almeno pari a quello dell’ “Occidente” (il quale, inoltre, rappresenta solo alcune centinaia di milioni di persone su parecchi miliardi), non si potrà pensare che tutte le grandi scelte si possano fare sulla base di una logica “Occidentale”;

-ciò significa che diverrà ogni giorno più importante, per chiunque debba assumere una decisione, comprendere che cosa si pensi in Asia, in Africa e in Sudamerica;

-per fare ciò, non si potrà certo prescindere almeno dai rudimenti della linguistica semitica, uralo-altaica, sinica, indo-iranica, amerindia, ecc..,né da fondamentali opere come i Veda, le epopee indù, i classici buddhisti, confuciani e taoisti, il Corano, la filosofia islamica, le opere dei grandi religiosi ispano-americani sulle culture precolombiane, la letteratura giapponese, ecc…,

-poiché, come ha dimostrato Nisbett, il modo stesso di approcciare il mondo, da parte degli “Asiatici Orientali” e degli “Occidentali” è radicalmente diverso (secondo Nisbett, a causa dei diversi condizionamenti sociali, e, secondo noi, anche a causa di diverse strutture linguistiche), tenere conto del “modo di pensare degli altri” significherà relativizzare la nostra logica, la nostra percezione del mondo, i nostri valori sociali, i nostri sistemi organizzativi, il nostro linguaggio, il nostro modo di vivere, la nostra politica, la nostra religione, la nostra estetica, le nostre mode, il nostro linguaggio, ecc…;

-tutto ciò potrebbe non essere in contrasto con la nostra “Identità Europea”, se, e nella misura in cui, anche grazie al confronto con gli altri, riusciremo a ritornare veramente alle “radici” di tale identità.

Purtroppo, tutto ciò costituisce un compito epocale che non potremmo esaurire, né in questa sede, e, nemmeno, nelle future opere che abbiamo in programma con la nostra Casa Editrice.
Ciò costituisce, infatti, tipicamente, quel genere di “compito storico”, che caratterizza la nascita di una nuova classe dirigente. Nel nostro caso, maturare su questo arduo esercizio potrebbe essere la palestra su cui addestrare una futura classe dirigente europea degna di questo nome.