domenica 29 novembre 2009

RISORSE DEL PIEMONTE PER NUOVE ENERGIE




Piedmont has all Necessary Resources for Alternative Energies.Le Piémont a toutes les ressources pour les nouvelles énergies. Piemont verfuegt ueber alle Voraussetzungen fuer die Entwicklung neuer Energien

La scelta circa le nuove politiche energetiche da adottarsi, a livello mondiale, europeo, nazionale e regionale, sono influenzate da una quantità molto ampia di fattori, che vanno da una giusta preoccupazione, ispirata al “Principio Precauzione”, per il futuro del mondo, minacciato dal consumo indiscriminato di energia, a considerazioni strategiche circa gli approvvigionamenti, agli interessi, delle industrie nazionali, a piazzarsi ciascuna nelle posizioni migliori quanto alle tecnologie per le nuove fonti energetiche, a preoccupazioni, infine, per il risparmio energetico, la qualità generale dell’ambiente e della vita, e così via.

Ovviamente, in tali decisioni, concernenti le nuove fonti energetiche, il livello regionale è, forse, concettualmente, l’ultimo, giacché le decisioni fondamentali, sull’inquinamento atmosferico, sull’approvvigionamento energetico, sui regimi fiscali incentivanti, vengono assunti ad altri, superiori, livelli.

E, tuttavia, ciò non toglie che, avvalendosi delle prerogative ad esse spettanti in determinate materie - come, per esempio, gli incentivi alla ricerca scientifica -, talune Regioni, e, fra le prime, la nostra, abbiano, lodevolmente, deciso di porsi all’avanguardia, tanto per ciò che concerne la ricerca, quanto la sperimentazione, delle nuove energie alternative.

Questo, soprattutto, per ciò che concerne il futuro, e, ciò, in particolare, grazie alla Convenzione stipulata recentemente fra il Piemonte e la Puglia, la quale ultima ha una posizione particolare per ciò che riguarda le nuove energie, sia per il ruolo che la legislazione italiana attribuisce all’Italia meridionale nel campo dell’eolico, sia per la presenza, a Monopoli, di un’Università dell’Idrogeno. La Regione Piemonte ha appena annunziato la creazione di molte nuove centrali fotovoltaiche anche in Piemonte.

Inoltre, il Politecnico di Torino ed il Centro Ricerche Fiat sono all’avanguardia per ciò che riguarda le automobili pulite, ed, in particolare, le automobili “ibride”. Le particolari competenze del Gruppo Fiat nel settore delle automobili “pulite” hanno costituito un particolare “atout” per il Gruppo, per potersi proporre come “partner” credibile del Governo Americano nel salvataggio del Gruppo Chrysler.

Infine, con Maire Engineering (ex Fiat Engineering), Torino vanta una lunga esperienza nel campo della progettazione e gestione di impianti energetici in tutto il mondo.

Perfino nel settore nucleare, il Piemonte aveva acquisito delle esperienze con la Centrale di Trino e con i depositi di Saluggia (ancora in attività).

Ovviamente, chiunque sarà a governare la Regione, non potrà esimersi dal riprendere questa preziosa eredità, e da cercare di svilupparla ulteriormente. Tuttavia, nulla va dato per scontato. I meccanismi che hanno portato agli attuali impegni del territorio in campo energetico risentono anch’essi di una serie di vizi e limitazioni: sensazionalismo propagandistico, eccessi di tecnicismo, verticismo, che vanno rivisti e corretti.

Inoltre, non si sono, a nostro avviso, colte appieno le potenzialità della nostra Regione in tre aree:

a) lo sviluppo con il supporto regionale di nuovi modelli di business fondati sulle energie alternative (come, per esempio, quelli legati alla tecnologia dell’idrogeno per l’automobile);

b) l’attrazione verso il Piemonte delle sedi delle società energetiche, che hanno sede a Milano e Roma, anche quando sono nate a Torino;

c) le potenzialità di promozione a livello mondiale delle competenze piemontesi nella costruzione e gestione di impianti energetici innovativi (Progetto di internazionalizzazione dell’industria energetica piemontese).

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VALORIZZARE ULTERIORMENTE LA RICCHEZZA DELLA VITA ASSOCIATIVA DELLE PMI

In Spite of Natural Plurality of Associations, SME in Piedmont should pursue jointly certain common goals. Nonobstant la différenciation naturelle des associations, les PME piémontaises devraient s' unifier pour poursuivir des objectifs communs. Trotz der natuerlichen Pluralitaet von Verbaenden, sollte Mittelstand in Piemont einige gemeine Zwecke verfolgen.

La rappresentanza istituzionale degli imprenditori, come, per altro, anche quelle dei lavoratori industriali, degli agricoltori, delle professioni e del pubblico impiego, ecc., costituiscono un asse portante di un Modello Sociale Europeo, il quale ultimo è fondato, non già sull’interazione anarchica sul mercato di soggetti economici atomizzati, bensì sulla sinergia e la collaborazione, in vista del bene comune, di imprenditori, lavoratori, professionisti, intellettuali, pubblici ufficiali, ecc. - ciascuno aderente, su base volontaria e democratica, ad un associazionismo diffuso, che costituisce la linfa vitale della partecipazione e della coesione sociale -.

La tipologia delle associazioni imprenditoriali è, in Italia, altrettanto variegata di quelle di ogni altra categoria di lavoratori, funzionari, e/o professionisti - rispondendo, con ciò, a quell’esigenza di pluralismo che è insita nel Modello Socio-Economico Europeo -.

Abbiamo, così, Confindustria, le associazioni “verticali” di categoria, le associazioni della piccola e media impresa, quelle dell’artigianato, ecc.. Abbiamo anche Piccola Industria, API, CNA, CNA Piccola Industria e Confartigianato.

Un elevato grado di pluralismo caratterizza, in Italia, non solamente la politica e l’associazionismo, bensì anche la società civile.Non dimentichiamo che l’Italia ha, alle sue spalle, 4.000 anni di storia; che essa è il risultato della fusione di decine e decine di etnie diverse, delle tradizioni di migliaia di Stati locali e regionali, della sedimentazione di molteplici società cittadine, ma anche feudali, religiose, claniche e cetuali.

Ancor oggi, gli interessi del pubblico impiego, delle Partecipazioni Statali, delle grandi Public Companies, della Fiat, delle grandi imprese familiari, delle piccole e medie imprese, delle microimprese, dell’artigianato, delle cooperative, del no-profit, sono, evidentemente, differenti, e non solamente giustificano - bensì, addirittura, sotto un certo punto di vista, richiedono, una rappresentanza di tipo altamente segmentato e differenziato -.

La molteplicità e contraddittorietà delle problematiche attinenti alla rappresentanza degli interessi imprenditoriali è esemplificata egregiamente, “ad abundantiam”, dalla situazione presente a livello piemontese.Nel nostro caso, notiamo una dispersione enorme nella rappresentanza di soggetti imprenditoriali diversi, come il Gruppo Fiat, le ramificazioni torinesi di Finmeccanica, le public companies a proprietà internazionale come Avio, le presenze locali di multinazionali con base italiana, le presenze locali di multinazionali europee o americane, le imprese pubbliche, regionali, municipalizzate, le cooperative, le imprese familiari italiane, quelle piemontesi, le medie imprese con un respiro internazionale, le piccole imprese, le micro-imprese, gli artigiani, le ONG, ecc..

In concreto, pensiamo che alcune iniziative, sulle quali si potrebbero focalizzare gli sforzi comuni delle associazioni di categoria a livello locale, sono le seguenti:

a) attività congiunta volta all’adozione, da parte della Regione, di una legislazione piemontese, sulla falsariga di quelle di altre Regioni (come, per esempio, la Lombardia e l’Emilia Romagna), finalizzata al supporto concreto (in particolare, finanziario), per le piccole e medie imprese interessate alla presenza sui mercati internazionali (Progetto di legge regionale per il supporto all’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese piemontesi);

b) promozione di consorzi fra imprese e società di consulenza localizzate sul territorio (piemontese, del Nord-Ovest e/o delle Alpi Occidentali), volti a fornire servizi mirati alle piccole e medie imprese nel campo dell’internazionalizzazione e/o della collaborazione cultura/impresa (Consorzio delle imprese piemontesi per la consulenza all’internazionalizzazione);

c) azioni comuni (verso il Ministero degli Esteri, verso le Autorità locali, verso le imprese capo-commesse) finalizzate alla presenza delle piccole e medie imprese (piemontesi e/o del Nord-Ovest) in territori o su tematiche sulle quali l’Italia è particolarmente presente, ma relativamente alle quali la piccola e media impresa del Piemonte ha particolari difficoltà ad essere operativa (ad esempio, la Russia, il nuovo Comprensorio industriale di Kragujevac in Serbia);

d) iniziative di lobbystica legislativa internazionale (che, ovviamente, coinvolgono almeno anche i livelli nazionale e/o europeo), come, per esempio, la modifica delle definizioni delle aree geografiche interessate al programma Interreg, che penalizzano le imprese del Nord-Ovest, oppure la revisione delle normative americane in materia di licenze all’estero, che presentano carattere di particolare attualità per le imprese piemontesi dei settori Aerospazio e Difesa);

e) forme di rappresentanza appropriate per le “microimprese” (le quali, a nostro avviso, non sono rappresentate adeguatamente da nessuno, e le quali dovrebbero, probabilmente, trovare un nuovo tipo di rappresentanza professionale, simile a quella delle professioni liberali).


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RIPENSARE IL RUOLO DELLE FONDAZIONI


The complex situation of Foundations in Italy. La situation complexe des Fondations en Italie.Komplexe Lage der Stiftungen in Italien

All’interno dell’attuale società postmoderna,è, oramai, divenuta indispensabile una definizione trasparente dei rapporti fra economia e cultura, la quale permetta, attraverso una chiara definizione delle priorità, di risolvere questioni, ad oggi, apparentemente, insolubili - come, per esempio, quella circa come sia possibile salvare, ed, addirittura, incrementare, l’inestimabile patrimonio culturale del Piemonte, dell’Italia e dell’Europa, nonostante l’attuale pessimistico clima post-crisi, nell’ambito del quale parrebbe, addirittura, che l’unico slogan condiviso dalla classe politica, a livello mondiale, sia: “Tagli alla cultura!” -.

A nostro avviso, da un punto di vista puramente teorico, tutto occorrerebbe tagliare, fuorché la cultura. Ed, in effetti, a nostro avviso, la cultura, lungi dal costituire (come pensano molti politici) un’“attività improduttiva”, costituisce, invece, la risorsa fondamentale per la sopravvivenza di qualsivoglia società, ed, in particolare, dalle società dell’Europa, le quali posseggono l’assoluta maggioranza del patrimonio culturale dell’Umanità.

Quanto sopra non è contraddetto, bensì rafforzato, dal fatto che, oggi, sia non già la “cultura alta”, bensì la “cultura popolare”, quella che concentra su di sé la maggior parte dell’interesse generale. Infatti, a nostro avviso, sempre di cultura si tratta, e la cultura popolare presuppone la cultura alta, così come quest’ultima presuppone quella popolare.

È chiaro che anche i due poli - cultura ed economia - sono chiamati, ineluttabilmente, a sostenersi a vicenda.La prova migliore di quest’ultimo assunto è costituita dalla millenaria vicenda del mecenatismo, nell’ambito del quale il Principe, inteso come colui che detiene il potere, ma anche le redini dell’economia, finanzia la cultura, per riceverne, in cambio, legittimazione. Questo rapporto è proseguito, in epoca moderna, da un lato, con il “Moderno Principe” (per Gramsci, il Partito Comunista), e, dall’altro, con il nuovo potere economico (inutile citare i vari esempi, da Peggy Guggenheim, a Giorgio Gualino, a Nelson Rockfeller, alla Famiglia Agnelli).

Nella società postmoderna, le Fondazioni costituiscono una realtà ibrida, la quale va al di là delle rigide distinzioni pubblico/privato. Vi sono fondazioni le quali, coerentemente con la figura giuridica tradizionale della “fondazione”, sono effettivamente il risultato della volontà mecenatistica dei loro fondatori; ve ne sono altre, nelle quali l’aspetto mecenatistico si fonde con la volontà di costituire una base istituzionale per la proprietà dell’impresa, in parziale competizione con lo spirito capitalistico (come, per esempio, le fondazioni tedesche Bosch e BMW).

Nel caso italiano, l’idea di Fondazione tende a confondersi con quella di Fondazione Bancaria (oggi, “Fondazioni di Origine Bancaria”), un soggetto giuridico creato (tutto sommato come forma di compromesso) nell’ambito della cosiddetta “privatizzazione” delle imprese bancarie.

Il concetto di fondo - vale a dire quello che il “nocciolo duro” di proprietà pubblica/sociale potesse essere destinato dalla gestione d’impresa - porta ad un recupero dell’idea originaria, italiana e cattolica, della Banca come Opera Pia. Le Fondazioni, titolari della proprietà delle banche privatizzate (i “nuovi mecenati”) potranno reinvestire i loro utili nel finanziamento della cultura e dell’innovazione.

Nasce, da ciò, innanzitutto, una fondamentale conflittualità, da un lato, con le missioni istituzionali degli Enti Pubblici Territoriali, e, dall’altro, quelle delle Fondazioni. E, per complicare ulteriormente il quadro, le neonate Fondazioni sono state poste sotto la potenziale tutela degli Enti Pubblici Territoriali, i quali nominano, in effetti, la maggioranza dei relativi Consigli di Amministrazione.Espressione, tutto ciò, da un lato, di una sacrosanta forma di autogestione territoriale, conforme al Principio di Sussidiarietà, ma, dall’altro, anche fonte inesauribile di conflitti di interesse e di conformismo.

Ciò detto, occorrerebbe, probabilmente, ritornare alla concezione tradizionale delle Fondazioni Bancarie, quali espressione della Società Civile, dedicate puntualmente a fini umanitari.Più in concreto, riteniamo che le Fondazioni Bancarie, una volta meglio definita la loro missione e la composizione dei loro organi amministrativi, possano esercitare un effettivo ruolo di supporto allo sviluppo della Società Civile sul territorio, nella misura in cui esse siano capaci di incarnare concretamente la continuità dell’identità regionale, la sua indipendenza dal potere politico, e/o economico, contingente, ed, infine, un’eccezionale risorsa di qualificazione tecnico-culturale-finanziaria.

Affinché ciò sia possibile, è necessario che, così come il comportamento delle Autorità Locali, delle Imprese ed Associazioni, dev’essere sempre più retto da codici di condotta, così pure l’attività delle Fondazioni debba perdere il suo carattere discrezionale, insindacabile e “di ultima istanza”, che, fino ad ora, ha caratterizzato il loro ruolo come Enti che “fanno pendere l’ago della bilancia”, collocando anche le stesse Fondazioni all’interno di un sistema di regia regionale e nazionale.

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BANDA LARGA: UNA PROPOSTA DI SINERGIE REGIONALI IN CAMPO TELEMATICO


Piedmont Could take Profit of the Experiences of Fondazioneroma. Le Piémont pourrait profiter des expériences de Fondazioneroma. Piemont koennte von den Erfahrungen von Fondazioneroma lernen.

Uno degli aspetti sui quali precipuamente si gioca la capacità di un’area geografica, e/o etnica, e/o economica, di partecipare con un ruolo attivo alla dinamica delle riaggregazioni a livello regionale, internazionale, e/o continentale, è costituito dalla sua capacità di agire in modo proattivo sulle reti, tanto in qualità di produttore di contenuti, quanto in qualità di consumatore, quanto, infine, in quella di gestore delle reti stesse.

La battaglia per l’acquisizione di una supremazia sulla rete è cominciata oramai da gran tempo. Basti pensare, a titolo puramente esemplificativo, che Internet è stato, all’origine, una “derivazione” civile dell’ARPANET dell’Esercito Americano; che i Providers sono stati, per lungo tempo, solamente americani, sicché l’insieme dei messaggi inviati da chiunque ed a chiunque nel mondo ha transitato inevitabilmente dall’America; che la Cina si è creata un sistema di Internet autonomo, basato sugli ideogrammi cinesi, proprio per non dover passare dai providers americani; che, attualmente, una delle principali battaglie in corso è chi debba esercitare un controllo internazionale fra le reti: un Ente interprofessionale localizzato in America, un nuovo Ente sovrannazionale indipendente, oppure Enti dei singoli Stati Nazionali, come avviene, per esempio, oggi, in Cina. Questi temi sono uno dei “dossier” caldi nelle discussioni fra i Presidenti Obama e Medvedev.

Per questo motivo, ha carattere prioritario - non solamente per le Nazioni, bensì anche per le loro Regioni - il fatto di poter disporre di una rete con un elevato livello di interconnettività.

Il che è tutt’altro che facile, in considerazione dell’incredibile frazionamento della rete attualmente in essere, verificatosi in seguito alla privatizzazione dell’industria telefonica. Il principale snodo è costituito, in questo campo, dalla conflittualità fra il Governo, supremo garante del sistema; la Telecom, ad oggi, tuttora, gestore e responsabile della rete; gli altri gestori, i quali, in un modo o nell’altro, debbono subire gli effetti del monopolio di Telecom nella gestione della rete; gli Enti locali, che vorrebbero che i loro territori fossero dotati tempestivamente di un adeguato livello di connettività.

Ne consegue, innanzitutto, un eterno conflitto fra Governo e Telecom, relativamente a chi debba sostenere i necessari investimenti finalizzati all’adeguamento della connettività della rete, in particolare per ciò che concerne la cosiddetta “banda larga”. Infatti, attualmente, gli utilizzatori qualificati di Internet (e/o, comunque, gli utenti, i quali trasmettono usualmente una grande quantità di dati) non possono accontentarsi della connettività usualmente concessa alla generalità degli utenti; infatti, i costi degli sforzi volti all’adeguamento tecnico della rete sono eccessivamente elevati.

Questa controversia a livello politico ha trovato, in un certo senso, echi nell’opinione pubblica e nel mondo politico, in quanto, da un lato, gli Amministratori Locali (in quanto utilizzatori massicci della rete) hanno mostrato un interesse crescente per una maggiore capacità di connettività della rete, necessaria a fornire servizi interattivi “on-line” ai cittadini (la cosiddetta “E-governance”), e, dall’altro, la “società civile” (per esempio, le associazioni culturali e le fondazioni), richiede l’incremento delle capacità di connettività della rete al fine di poter efficacemente realizzare le proprie finalità istituzionali (come, per esempio, diffondere, in un modo, allo stesso tempo, “consumer-friendly”, economico e moderno, i contenuti prodotti nell’ambito delle proprie attività culturali).

Ne consegue l’esigenza diffusa di una sensibilizzazione (“top-down”), dai vertici governativi alle grandi multinazionali, dal Governo alle organizzazioni della Società Civile, dalle Amministrazioni Locali alle Associazioni Culturali.

Informazioni:
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IL DIFFICILE RAPPORTO PUBBLICO_PRIVATO NELLA RICERCA


As to Scientific Research, to Distinguish between Myth and Reality. En ce qui concerne la recherche, il faut distinguer entre mythe et réalité.Forschung. wie kann man Myth von Wirklichkeit trennen?

Storicamente, almeno la metà della ricerca scientifica in tutto il mondo è stata sviluppata in modo autonomo, facendo leva sul patrimonio, sulle aderenze sociali e sullo spirito di sacrificio dei ricercatori, nonché su di un’inestricabile rete di mecenatismo e di committenza pubblica. La società attuale, pur sotto forme apparentemente irriconoscibili, ripercorre, in gran parte, questi sentieri già battuti nei secoli passati.

Oggi, per “ricerca indipendente” si possono intendere molte cose, come, per esempio, il (limitatissimo) sviluppo di nuovi prodotti da parte delle imprese anche indipendentemente da un supporto pubblico, oppure la ricerca svolta con il sostegno di fondazioni, anche private, ovvero, infine, la ricerca svolta, totalmente o parzialmente, a carico dei ricercatori, come, per esempio, nella maggior parte delle Università italiane, dove le modestissime borse di studio e contratti di ricerca coprono solamente per un’infima parte i costi effettivi sostenuti dai ricercatori (come il costo dei molti anni di lavoro economicamente improduttivi, le spese di cancelleria, gli spostamenti, l’editing, ecc.); il caso tipico delle “new ventures” create nei sottoscala e finanziate dalle famiglie dei soci.

Questa è la vera “ricerca indipendente”, nella quale, pure a costo 100 e rischio 100, i privati, in sistemi sottosviluppati, suppliscono ad un’obiettiva carenza del sistema pubblico.

Attualmente, nella Regione Piemonte, anche come effetto indiretto di un clima culturale diffuso, esiste una forte attenzione, in particolare in connessione con la “Cittadella Politecnica”, per questo tipo di problemi, attenzione che ha trovato attuazione, tra l’altro, con la costituzione dei MIP e dei 3P. Tuttavia, anche in base all’esperienza personale, riteniamo sia urgente fare più attenzione alla retorica che presiede alla creazione di queste istituzioni, quando essa non si coniuga con una filosofia di intervento veramente proattiva, trasparente ed obiettiva. In definitiva, regole, personale e ruolo di queste istituzioni sono rivisti dalle fondamenta.

A nostro avviso, la cultura fino ad ora dominante in questo tipo di istituzioni (di ispirazione prevalentemente positivistico-scientistica) privilegia necessariamente, nei propri scenari, le iniziative delle grandi imprese industriali nei settori industriali tipicamente “moderni” (classico esempio, l’installazione, all’interno della “Cittadella”, della General Motors).Questo è un esempio tipico di ciò che accade ora, e che va profondamente rivisto, rimettendo in discussione l’eccessiva autonomia politica di soggetti ricordando che gli Enti pubblici devono garantire gli interessi del territorio ed il pari trattamento di tutti i cittadini,e semmai, una preferenza per le imprese regionali.

Per questi motivi, a nostro avviso, anche quella che si vanta di essere “ricerca finanziata” da parte delle Istituzioni Pubbliche regionali non è, nella sostanza, che “ricerca indipendente”, perché, se si guarda ai valori effettivi in gioco per la maggior parte degli operatori, la percentuale di supporto pubblico risulta veramente irrisoria.

L’Europa del Terzo Millennio avrà bisogno, senz’altro, di biotecnologie (pure all’interno di una doverosa applicazione dell’“etica della responsabilità”), di un ampio ventaglio di tecnologie aerospaziali (che si cercherà di mantenere il più pacifiche possibile), di un vastissimo repertorio di tecnologie digitali e telematiche (da tenersi anch’esse sotto stretto controllo), e di alcune tecnologie produttive e di prodotto nei settori innovativi. Tuttavia, essa avrà, soprattutto, bisogno, di una rinnovata ricerca sulle scienze umane, nelle dottrine politiche, nelle arti, nelle comunicazioni e nelle telecomunicazioni. Tutte queste attività potranno, e, a nostro avviso, dovranno, rivestire forme giuridico-economiche che, sotto certi punti di vista, potrebbero essere assimilabili a quelle dell’impresa, purché venisse riconosciuto il loro fondamentale significato di interesse pubblico, e, di conseguenza, fossero inserite su un piede di parità in tutte le forme di collaborazione pubblico-privato. Tutto ciò, anche in considerazione del fatto che gli strumenti tipici dell’industria culturale (editoria, teatro, cinema, televisione, formazione) sono soggetti ad una tumultuosa ondata di trasformazione tecnologica, indotta dall’informatica, la quale richiede pesanti investimenti nell’editoria elettronica e nelle nuove tecniche del Web


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DIFFICOLTA' DELLA RICERCA IN PIEMONTE


Different Reasons Render it Difficult to Deepen Research in Piedmont. Différentes raisons rendent difficile de développer la recherche au Piémont. Unterschiedliche Ursachen machen es schwierig, Forschung in Piemont zu entwickeln

Costituisce un elemento tradizionale di recriminazione generalizzata il fatto che “in Italia si fa troppa poca ricerca”. Quest’affermazione, di per sé fin troppo vera, addirittura ovvia, suona, per altro, incredibilmente banale, improduttiva e, perfino, offensiva, quando si pensa che i moltissimi che la formulano, da un lato, si guardano bene dal definire che cosa essi intendano per “ricerca”, e, dall’altro, si guardino anche bene dall’indicare, e le ragioni di questa carenza della ricerca in Italia, e le possibili vie per uscire da questo “impasse”.
Una, oramai vecchia, impostazione, in base a cui tutte le tipologie di attività culturale vengono omologate, sulla falsariga delle scienze naturali, ha portato all’assimilazione della ricerca in ambito letterario e filosofico a quella in campo tecnico-scientifico, nonostante che questi due diversi tipi di ricerca abbiano caratteri assolutamente diversi. In questa sede, tratteremo, per altro, solamente della ricerca tecnico-scientifica, mentre le problematiche della ricerca nell’ambito delle scienze umane saranno trattate, soprattutto, nel settore “Cultura”, salvo qualche accenno alla fine di questo intervento.
La ricerca tecnico-scientifica comporta costi aggiuntivi che vanno al di là del mantenimento dei ricercatori; essa, perciò, costituisce un investimento, e quest’ultimo deve essere, in qualche modo, redditizio. Inoltre, le logiche del processo della ricerca tecnico-scientifica fanno sì che essa si evolva lungo una sequenza estremamente lunga: ricerca pura, ricerca applicata, ricerca pre-competitiva, ingegnerizzazione, post-certification engineering.
L’industria produttiva è interessata solamente al risultato finale del processo, e, normalmente, non può, e/o non vuole, permettersi di sostenere i costi delle fasi precedenti. Per evitare questi costi, essa è spesso disposta (ciò soprattutto in Italia) a produrre prodotti tecnologicamente più arretrati, o anche a correre il rischio di essere perseguita per contraffazione, per avere imitato illecitamente prodotti altrui. Questo atteggiamento ha caratterizzato la quasi totalità delle imprese italiane. Occorre subito dire che esso ha provocato, nel tempo, praticamente la scomparsa di tutte le grandi imprese produttive con, forse, appena una decina di eccezioni. Esso costituisce, dunque, un problema essenziale per la nostra economia.
A seconda della specifica posizione di mercato, “leader, e/o meno”, e/o della forza finanziaria, dei diversi tipi di impresa, si hanno, in questo campo, comportamenti di tipo diverso, come, per esempio: acquisto di licenze passive, partnerships, ecc..
Non esiste, tuttavia, in ultima analisi, praticamente nessuna impresa, nel mondo, che paghi tutti i costi della ricerca pura che le sarebbe necessaria per pervenire alle proprie produzioni commerciali. Normalmente, infatti, i costi della ricerca pura sono sostenuti dal settore pubblico, e, ciò, tanto più in quanto tale tipo di ricerca costituisce, in generale, un vantaggio competitivo importante per il Paese. Inoltre, le conoscenze scientifiche di base hanno, oramai, sempre più un inestimabile valore militare, in quanto sostengono la supremazia bellica del Paese che li possiede. L’esempio tipico di questo genere di politica è costituito dagli Stati Uniti, dove lo studio di nuovi principi scientifici, suscettibili anche parzialmente di utilizzazioni militari (“dual use”), viene avviato in basi segrete del sistema militare, completato da Enti pubblici, come l’ARPA o la NASA, licenziato sotto vincolo di segreto alle multinazionali americane, le quali, a loro volta, sono tenute ad imporre, ai loro partners esteri, i più pesanti vincoli di riservatezza a favore del Governo.
In queste condizioni, è ovvio che il primo motivo della mancanza di ricerca in Italia è costituito dal fatto che, non essendo l’Italia una grande potenza, essa non ha neppure l’ambizione di finanziare con fondi pubblici scoperte particolarmente innovative (che, per altro, non potrebbe utilizzare privatamente, in quanto la prima utilizzazione è praticamente sempre militare). Questo è uno dei motivi per cui le imprese italiane, a loro volta, non sostenute dallo Stato italiano, e di livello molto meno avanzato, preferiscono utilizzare le scoperte in base a licenze dall’America o da qualche altro paese, o entrare in “partnership” con imprese di quei Paesi in posizione subordinata. Certamente, esistono eccezioni. Tuttavia, ciò che viene chiamato “ricerca” in Italia è molto spesso pura ingegnerizzazione, se non, ancor peggio, “post-certification engineering” (che, teoricamente, non avrebbe neanche diritto, secondo le normative internazionali europee e nazionali, ad alcun supporto pubblico).
Le vicende delle politiche adottate per una “società della conoscenza”, secondo la retorica politica propria delle amministrazioni locali degli anni passati, dimostra “ad abundantiam”, questa debolezza del sistema paese.
Le Amministrazioni Locali hanno speso cifre estremamente ingenti per incentivare società multinazionali (come General Motors e Motorola), se scegliere Torino come sede dei loro centri di ricerca. Tuttavia, non appena la crisi ha sconvolto gli equilibri finanziari mondiali, le società multinazionali hanno chiuso i loro centri di ricerca, senza, né restituire alla Regione ed alla Città i fondi ricevuti, né lasciare alle stesse la proprietà intellettuale delle ricerche svolte. Si conferma, pertanto, il fatto che la tecnologia strategica non viene concessa dalle multinazionali a terzi, neppure quando sono questi a pagare. Ultimo esempio, il recente caso di mancato accordo Magna-GM.
Riteniamo che le Amministrazioni Locali, così come gli Stati, debbano fare tesoro delle esperienze così acquisite, ed imporre, per il futuro, alle imprese investitrici, precise condizioni, tanto per ciò che concerne la proprietà dei risultati della ricerca, quanto per ciò che concerne la restituzione dei fondi nel caso di non completamento dei programmi. Non sarebbe neanche illogico privilegiare le imprese radicate nel territorio, relativamente alle quali è ovvio che possano accettare più facilmente (anche se neanche questo non è, oramai, più garantito) di mantenere sullo stesso territorio la titolarità e l’utilizzo della proprietà intellettuale.
Su di un piano più generale, è chiaro che la ricerca tecnico-scientifica va calibrata in relazione alle specificità di un Paese, e/o di una regione, e/o delle imprese coinvolte.
Una Regione, come il Piemonte, situata in una parte avanzata dell’Europa, potrebbe rivendicare un ruolo di maggior peso, tanto per ciò che riguarda la ricerca e la ricerca applicata finanziata dal settore pubblico, quanto per ciò che riguarda le condizioni ambientali in cui deve avere luogo tale ricerca da parte dei privati. Per quanto riguarda il primo ambito, sarebbe opportuno che gli Enti pubblici locali elaborassero più precisi criteri circa il ritorno economico ed occupazionale della ricerca finanziata. Quanto al secondo ambito (pensiamo alla ricerca svolta, a livello internazionale, da grandi aziende come Fiat, Finmeccanica o Avio), le Autorità Locali dovrebbero proporsi in funzione sinergica per favorire la partecipazione delle imprese locali ai grandi progetti di ricerca internazionali (per esempio, Chrysler, ESA, ecc. - cfr. Progetto: Pubblicazione su Industria Aerospaziale in Piemonte) (ovviamente sempre imponendo precise condizioni di mantenimento dei centri finanziari, direzionali e tecnologici).
Infine, si dovrebbero sfruttare più razionalmente le opportunità di finanziamento delle collaborazioni fra i Parchi Tecnologici dell’ Europregione.


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POSSIBILITA' DI SVILUPPO IN RUSSIA


Tight Connections between Italy and Russia Offer Specific Opportunities. Les rapports étroits entre Italie et Russie offrent des opportunités particulières aux entreprises italiennes. Besondere Beziehungen zwischen Italien und Russland bieten spezielle Moeglichkeiten zu italienischen Unternehmen.

Riteniamo opportuno e necessario dedicare un apposito paragrafo ad esaminare le speciali opportunità esistenti, a oggi, nella collaborazione fra imprese italiane ed imprese dell’Europa Centrale ed Orientale.

Come abbiamo detto, la piccola e media impresa piemontese si trovano, attualmente, in una situazione di stallo, nella quale le loro possibilità di partecipare a processi di internazionalizzazione risultano estremamente limitate.Esistono, tuttavia, anche casi particolari, nei quali situazioni di “handicap”, come, per esempio, carenza di mercati domestici, mancanza di risorse per lo sviluppo, possono non risultare determinanti. Ciò può accadere, per esempio, nel caso di quei mercati nuovi, nei quali, da un lato, lo sforzo principale della prospezione incombe essenzialmente sulle strutture pubbliche, e, dall’altro, l’investimento di capitale è veramente minimo, in quanto possono essere, addirittura, le strutture locali (come, per esempio, quelle delle “Zone Economiche Speciali”) a provvedere, a costo politico e/o a costo zero, i terreni, i fabbricati ed i servizi. In questi casi, ciò che conta è l’“expertise” professionale ed imprenditoriale dei piccoli e medi imprenditori italiani, la quale può ricevere senza indugio, in questi casi, un’adeguata valorizzazione.

Questo tipo di situazioni può verificarsi in tutti quei casi in cui sussista un’immediata ed inequivocabile sinergia fra il “Sistema Italia” ed i sistemi locali.Una situazione di questo tipo ci sembra si stia verificando nell’Europa Centrale ed Orientale, grazie all’enorme attivismo del Governo Italiano, in particolare nei confronti della Russia.

Tale attivismo sta comportando, in un certo senso, come sottoprodotto, anche una grande capacità di azione nel campo dei rapporti economici bilaterali con altri Paesi (i quali, a loro volta, hanno forti legami con la Russia), come è dimostrato, per esempio, dai casi della Serbia e di Cuba.
Secondo una “communis opinio”, anche in questo tipo di rapporti economici, le piccole e medie imprese verrebbero penalizzate, in quanto i rapporti economici di questo tipo verrebbero avviati attraverso incontri al vertice (per esempio, a livello dei responsabili politici), affiancati o seguiti da delegazioni commerciali, nelle quali sarebbero, ovviamente, sovrarappresentate le grandi imprese pubbliche e private.

Nonostante che tutto ciò sia, almeno parzialmente, vero, è anche vero che queste attività di alto livello pongono i presupposti istituzionali e finanziari per un coinvolgimento più capillare delle imprese italiane, e, ciò, anche perché, normalmente, questi incontri al vertice corrispondono ad obiettive enormi possibilità di sinergia fra i rispettivi sistemi economici.Un caso specifico è costituito, anche qui, dalla Russia, paese con il quale i rapporti dell’Italia non sono mai stati così stretti come oggi. La Russia, in seguito alla caduta del sistema sovietico ed alla riaffermazione della propria autonoma identità nazionale, si trova, oggi, sospesa fra, da un lato, enormi sfide, e, dall’altro, altrettanto enormi opportunità.

Le sfide sono costituite dall’inevitabile inerzia del follow-up del sistema precedente, e dalla conseguente difficoltà di dotarsi in tempi rapidi di un’identità veramente alternativa a quella sovietica, senza perdere, nel contempo, una serie di posizioni acquisite dal sistema precedente.
Le opportunità sono costituite dal poter disporre del territorio di gran lunga più vasto e meno popolato della terra (più di 10 milioni di km2), ora, paradossalmente, liberato, grazie all’“effetto serra”, dai ghiacci perenni che lo attanagliavano, ed oramai divenuto la più grande riserva di risorse agricole e minerarie del mondo.

La decrescente popolazione russa (la quale, tra l’altro, nutre un’atavica idiosincrasia per le grandi distese siberiane), è largamente insufficiente per sfruttare pienamente queste enormi risorse.
La Russia sta tentando, intanto, la strada di una partnership differenziata (innanzitutto con la Cina, poi con i Paesi dell’Asia Centrale e l’India) per la coltivazione delle terre e la fornitura degli elementari servizi al colosso siberiano, con tutte le difficoltà ed incertezze a ciò connesse (minaccia demografica della Cina, necessità di fare ricorso al discusso “land grabbing”).

Anche per questi motivi, i partners privilegiati della Russia restano gli Europei, culturalmente affini, non animati da missioni imperiali, ricchi, possessori di tecnologie; in particolare, gli Italiani, i quali, in quanto soci di Gazprom nella distribuzione in Europa del gas siberiano, hanno anche una posizione privilegiata nell’estrazione di gas e nella produzione di energia elettrica in Russia.

Questo tipo di sinergia sta funzionando già ora egregiamente con IRI, ENI, ENEL, Finmeccanica, FIAT, Gruppo Marcegaglia e con un certo numero di piccole e medie imprese, ma, come sempre, soprattutto del Nord-Est e dell’Italia Centrale.

Tutto ciò potrebbe essere ulteriormente incrementato, grazie alla forte crescita del tenore di vita, all’urgenza di nuove infrastrutture e di industrie agroalimentari. Vi è un enorme spazio per servizi energetici, bancari, consulenziali, per l’edilizia, l’agricoltura, l’industria del lusso, quelle alberghiera, della ristorazione, ecc.. Di ciò potrebbero trarne profitto, tra gli altri, anche le piccole e medie imprese del Nord-Ovest.

Tali piccole e medie imprese potrebbero accodarsi alle grandi, per fornire beni e servizi nei grandi snodi nei quali si sta svolgendo questa cooperazione - vale a dire, oltre a Mosca e San Pietroburgo, a Soci, a Vladivostok, sugli Urali, nella Penisola di Yamal, a Novyj Urengoj, a Novosibirsk, nel Donji Vostok -.

Un ragionamento analogo potrebbe farsi, ad esempio, relativamente alle nuove opportunità di investimento in Serbia, con particolare riferimento al Comprensorio Industriale di Kragujevac.
Le Autorità piemontesi potrebbero - ed anzi, a nostro avviso, dovrebbero - predisporre un minimo di servizi aggiuntivi a favore delle imprese piemontesi.


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