martedì 30 agosto 2011

RICOMINCIARE DAL PENSIERO DEBOLE
















Polemics of "New Realists" Enhance Interest for "Weak Thinking"
La polémique des "Nouveaux Réalistes" réveille l'intéret pur la "Pensée Faible"
Auseinandersetzungen  mit den  "Neuen Realisten"steigern Interesse fuer "Schwaches Denken"








Per quanto non facenti parte della “corporazione” dei filosofi, seguiamo con interesse, come cittadini, la polemica sollevata, nei confronti del “Pensiero Debole”, da Maurizio Ferraris, in quanto è proprio dall’idea di “Pensiero Debole” che noi abbiamo preso le mosse nella nostra campagna a favore del rilancio dell’Identità Europea.


1.   La sintesi di un “non addetto ai lavori”

Non abbiamo l’intenzione di infrangere la sacralità del dibattito accademico, ma ci pare che i fautori del “New Realism” l’abbiano già infranta, proponendo le loro tesi sui giornali con semplificazioni in  puro stile divulgativo e politico. Ci permettiamo, quindi, da cittadini, di riassumere il dibattito così come l’abbiamo capito e interpretato.
A nostro avviso, il venir meno, non solamente dell’“incanto del mondo”, ma anche di qualsiasi forma di “rispecchiamento”, costituisce oramai un elemento ineliminabile (per quanto da molti lamentato) della filosofia contemporanea: "Pensare la filosofia in questo modo significa accettare la rivendicazione di Nietzsche che 'non esistono fatti ma solo interpretazioni'.  Questa affermazione sintetizza il pensiero che nessuna delle parole inventate dagli esseri umani per descrivere se stessi e il loro ambiente gode di un rapporto privilegiato con la realtà. Così non esiste alcuna divisione tra aree della cultura in cui si cerca una corrispondenza con la realtà e quelle in cui ciò non avviene -discipline in cui vi è un 'fatto' da scoprire e altre discipline più 'leggere'. Rinunciare all' idea che sia gli esseri umani che la realtà non umana abbiano una natura alla quale fare corrispondere asserzioni vere significa ammettere che siamo in mano alle contingenze della storia."(Richard Rorty, A sinistra con Heidegger, in MicroMega,5 - 20/2011, 3/28, pag. 29).

Sembra incredibile che gli studi sul cervello e l’evoluzione possano essere invocati  semplicisticamente da qualcuno come capaci di risolvere questo problema, che si pone "prima" dell' approccio al mondo fisico e "prima"  del ricorso al metodo sperimentale.

Addirittura, nella situazione sopra descritta, il “Pensiero Debole” non costituisce, a nostro avviso, un’arbitraria e discutibile scelta di un certo numero di filosofi “continentali” (cioè, sostanzialmente, europei, con la lodevole eccezione di Rorty), per eludere le dure lezioni della realtà, bensì, al contrario, una delle poche strade percorribili per salvare, comunque, proprio una qualche legittimità dell'esercizio della filosofia nella nostra era tardo-contemporanea. Di fronte alla diffusione, addirittura a livello di massa, del "dubbio sistematico", l’alternativa al “Pensiero Debole” non potrebbe essere, oggi, in nessun caso, una nuova "Verspiegelungstheorie (sia essa quella di S. Tommaso o quella di Lukacs), bensì, invece, unicamente il solipsismo di De Finetti.
Il "Pensiero Debole" ci dice che, nonostante che, come dice Vattimo, tutto sia interpretazione ("Ermeneutica"), non è ammissibile ritenere che, in filosofia, “everything goes”. Al contrario, l’“attendibilità” delle affermazioni filosofiche va valutata, da un lato, sulla base della buona fede del loro autore ("alétheia", il contrario di "láthein"), e, dall’altro, dalla loro intima coerenza. Buona fede significa non essere “organici” ad interessi occulti, bensì dialogare con l'obiettivo di arrivare a una soluzione (anche se una qualche forma di "organicità" è comunque inevitabile) . Intima coerenza significa che il discorso dev’essere fornito di una sua logica, e non esclusivamente autoritario, autoreferenziale o fideistico.
Anche per questo, gli ermeneutici fondano i loro discorsi filosofici sul riallacciarsi ad una specifica tradizione, dotata già di per sé di una sua coerenza (quello che noi chiamiamo la “Memoria Culturale”), che, per Rorty, è quella dell’individualismo americano, e, per Vattimo, quella di un  cristianesimo impegnato socialmente. E che, per altri, può essere qualcos’altro ancora.


2.   Pensiero Debole e Identità Europea

Per noi, per esempio, la "memoria culturale" in cui ci riconosciamo è quella di una trasversale “Memoria Culturale Europea”, ciò che giustamente Gianni Vattimo aveva definito come il nostro “ecumenismo europeistico”, una "Memoria Culturale" che comprende a buon titolo la Civiltà Danubiana e Gilgamesh, la Bibbia e i classici, il Cristianesimo e la poesia medievale, l'Umanesimo e l'Illuminismo, il Mito del Progresso e l'Antimodernismo, la psicanalisi e le Avanguardie, la cultura alta  e il Sistema Sociale Europeo.

Questo anche perché, in quanto cittadini  di quest’“Europa allo stato nascentepensiamo che essa abbia bisogno di un “ubi consistam” culturale che possa essere soddisfacente almeno alla maggior parte delle persone colte europee, le quali sono proprio quelle per cui è così attuale il "dubbio sistematico".
Coerentemente con quanto sopra detto sulla buona fede e sulla coerenza, nel ricostruire questa “Identità Europea” non riteniamo ci si debba fare guidare da pregiudizi nazionali, ideologici, confessionali o di classe, né, infine, da personali idiosincrasie. Al contrario, occorre rintracciare, fra i tratti comuni delle diverse tradizioni e delle diverse scuole di pensiero europee, quelli che abbiamo i caratteri più generali e condivisi. Solo così si potrà ipotizzare che popoli e persone così diversi possano realizzare insieme fondamentali progetti, il che presuppone, come minimo, che incomincino, innanzitutto, a dialogare e a confrontarsi, senza la pretesa pregiudiziale di avere ragione. Un dialogo su questioni astratte, come quello che ha in mente Habermas, di fatto non avviene, ed è proprio per questo che l' Europa è oggi così debole.
Cosa che invece il pensiero debole permette di fare, perché elimina il motivo  numero uno del mancato dialogo: l’altezzosa pretesa di alcuni di possedere la verità, di giudicare gli altri dall’alto in basso. E'un ppò questo il difetto fondamentale che vediamo nella posizione del "New Realism".

3.   Punti di disaccordo dal “New Realism”

Certo, anche il Pensiero Debole, come tutte le scuole filosofiche realmente esistite, ha i suoi limiti, ed è storicamente situato, né nega di esserlo. Perciò, è del tutto normale che nuovi filosofi lo critichino, ed auspichino l’avvento di nuove, diverse, scuole filosofiche, più idonee, a loro avviso,  ad affrontare le sfide del futuro. Anzi, il fatto che, in una materia come la filosofia, vi siano ancora dibattiti e proposte, va considerato come un fatto positivo, se messo a confronto con la piattezza e la mancanza di originalità del dibattito su altri temi, ma anche e soprattutto all'intolleranza dei fautori della "Fine della Storia" (siano essi post-hegeliani, post-marxisti, teo-con ,ecc..).

Ciò detto, non possiamo condividere il tipo di critiche che  vengono mosse dai sostenitori del cosiddetto “New Realism”.
Intanto, gli argomenti utilizzati per criticare il “Pensiero Debole” non sono né nuovi, né intimamente coerenti. La critica di carattere generale è quella, vecchia di oramai molti anni, secondo la quale il pensiero debole, per il suo carattere che si pretende irrazionalistico, sminuirebbe la forza persuasiva del tradizionale discorso “progressista”, e, in tal modo, anche il fronte politico del “progresso” rispetto a quello della “reazione”. Argomento inquisitorio ed "a priori", ripreso di peso dalla critica di Lukács a tutta la filosofia tedesca dell’Ottocento e del primo Novecento, la quale ultima , con la  fuoriuscita dalla ferrea dialettica hegeliana e marxiana, avrebbe, addirittura, posto  le basi del nazismo. Accusa che Ferraris ribalta pedissequamente su Vattimo:
 "Il problema è che però bisogna decidersi facendo i conti realisticamente con quello che c'è, e che, quando si è deciso, Heidegger si è deciso per Hitler. E' a dir poco stupefacente, insieme, rivendicare la superiorità della decisione sull' oggettività e cerrcare di corroborare questa tesi con l' esempio di uno che ha aderito al nazismo"(Massimo Ferraris, Epistemologia ad personam, in Micromega 5, 20/11, pag. 95).Si noti che, con queste premesse, Lukács, che era stato nominato, nel frattempo, ministro della cultura dell’Ungheria, aveva trasformato le tesi di cui sopra, esposte nel libro “La distruzione della Ragione”, in una circolare ministeriale, in base alla quale, con il sistema che era stato già della Santa Inquisizione, i libri non graditi al Ministro della Cultura erano stati fatti sparire da tutto il paese. Qualcosa di simile a ciò che si dice stia nuovamente accadendo in quel Paese ora.
Anche i seguaci del “New Realism” criticano il “Pensiero Debole” soprattutto come possibile fonte di teorie reazionarie,  di amicizie con il "nemico di classe", di possibili “riscritture della storia”,e, comunque, di un'accettabile eterodossia : "Oltre alla rimozione del nazismo di Heidegger è problematica in Vattimo la tardività della conversione al marxismo, che avviene proprio nel momento in cui il marxismo è scomparso dalla scena politica, e Marx è diventato uno spettro buono per farci conferenze o scrivere libri. L'adesione al comunismo da parte di Vattimo (che è successiva al 2003, ossia alla morte di Gianni Agnelli) è avvenuta senza un accenno di autocritica - essere stato negli anni della marcia dei quarantamila un intellettuale vicinissimo alla Fiat è una Dummheit, sia pure debole?"(Ferraris, ibidem).

Osserviamo,tra parentesi, che gli storici non hanno certo bisogno dei filosofi per riscrivere la storia, ché, anzi, tutta la storia, dai tempi più antichi, non è altro che “riscrittura”(in buona o in mala fede), dalla cancellazione del nome di Ekn-Aton alla trasformazione di Elohīm in Adonai, dalla' obliterazione  delle persecuzioni cristiane contro i pagani alla trasformazione, in un “democraticoe” e "antiautoritario", del monarchico assolutista e schiavista Voltaire, fino alla negazione della nascita delle radici del patriottismo ottocentesco dalla prassi e dalla teoria della Restaurazione. E, viceversa, ci sono ancor oggi ancora tantissimi autori che stanno giustamente riscrivendo la storia appoggiandosi alla scoperta di  fatti nuovi, come, per esempio, quegli archeologi che stanno scavando a Göbekli Tepe, e anticipando così la data della sedentarizzazione di popoli primitivi,  a Schlomō Sand, che, sulle orme di Köstler, sta riscrivendo la storia etnica del Popolo d’Israele.

D'altronde, Ferraris dichiara apertamente la propria dipendenza dal testo di Lukacs, che fu la base per la persecuzione dei dissidenti e dei deviazionisti (chiamati, allora, guarda caso,  "Revisionisti") nel Blocco Sovietico:  "E' con esattezza la situazione rilevata dal Lukacs nella Distruzione della Ragione, quando osservava che gli intellettuali sentono l'ingiustizia sociale e avvertono la necessità di una trasformazione, ma al tempo stesso non se la sentono di fare nulla di reale, per cui riforme e rivoluzioni avvengono in un cielo mitico, quello, poniamo, della critica della ragione scientifica e calcolante come strumento di dominio. O sotto un cielo religioso."(Ferraris, ibidem).E, in realtà, l'attacco a Vattimo è tutto qui: è un filosofo cattolico, per quanto progressista, ma, per i "New Realists" un cattolico non può essere progressista: "Quella di Vattimo è davvero una post-filosofia, nel senso che è un'eresia cattolica in senso etimologico e paradossale: una scelta personalissima che vuol essere universale"(Ferraris, ibidem).
Peccato che tutta la storia europea (dall' Islam al protestantesimo, dal progresso al comunismo, ai fascismi) possa agevolmente essere ricondotta ad una pluralità di eresie cattoliche.

4.   Qualche nostro suggerimento

A nostro avviso, altre sono le critiche da farsi alla teoria del “Pensiero Debole”. Infatti, una volta lodevolmente enunziati i propri grandi principi, che fondano la possibilità di una ricerca e di un dibattito fuori dello spirito censorio degli autentici “detentori della verità”, il Pensiero Debole deve ancora dimostrare la propria capacità di costituire la chiave di volta di una costellazione di discipline (filosofiche e non filosofiche), di cui la società ha bisogno per il proprio funzionamento (come, per esempio, gnoseologia, etica, scienze politiche e filosofia della scienza, eccetera),  che, tradizionalmente, costituivano come delle "branche" della filosofia, e che,  oggi sono dominate da principi dogmatici di varia origine.
Senza questa dimostrazione, gli avversari del Pensiero Debole avranno sempre vita facile nel sostenere che quest’ultimo, non solamente non è in grado di incidere profondamente sulla realtà, ma, addirittura, costituisce una sorta di alibi per non agire, così come, a suo tempo, secondo Lukacs, la “filosofia della vita”, avrebbe costituito un alibi per non opporsi alla nascita del nazismo.
A nostro avviso, il Pensiero Debole ha ancora molto lavoro da compiere, soprattutto nell’ambito del “dialogo interculturale”, dove l’analogia fra il Pensiero Debole e la filosofia ebraica (Maimonide), il confucianesimo (“revisione dei nomi”) e, soprattutto, le filosofie indiche (dialettica fra realtà ed apparenza), potrebbe portare ad un nuovo “background” condiviso, capace di guidare il mondo di fronte alle sfide del nostro comune futuro globalizzato. Un esempio di questo sforzo è costituito dall'eredità teologica di Raimòn Panikkar, che ci ha recentemente lasciati.


5.   Le sfide del futuro

Confidiamo nell’Ermeneutica soprattutto  per gli indispensabili approfondimenti sull’Identità Europea.In questo campo, una maggiore attenzione per la memoria culturale ci permetterebbe forse di accorgerci di fenomeni fondamentali e trascurati, come le molteplici influenze medio-orientali sullo sviluppo della nostra cultura, il continuo interscambio culturale fra Europa Occidentale e Orientale, la lunghissima gestazione dei progetti di integrazione europea, il ruolo centrale, nella cultura del Continente, dell’ultimo secolo, del dibattito sui significati impliciti della scienza e della tecnica.
E, soprattutto, un’ermeneutica capace di affrontare, in chiave europea, ma in un’ottica multiculturale, le sfide del Post-Umano, oramai incombente e determinante, potrebbe dare, a nostro avviso, un contributo decisivo alla messa sotto controllo di un processo di automatizzazione dei processi sociali, che sta mettendo in pericolo non solamente il legame sociale e l’ambiente naturale, bensì la libertà, e la stessa sopravvivenza, del Genere Umano.

La fondamentale debolezza del dibattito fra Pensiero Debole e "New Realism" ci sembra essere la sua assoluta inattualità. A leggere l'ultimo numero di MicroMega, sembrerebbe di essere negli Anni Cuinquanta: che Lukacs abbia appena scritto la Distruzione della Ragione, e che l'unica scelta politica che gli intellettuali sono chiamati ad adottare sia quella fra il fronte del proletariato e del progresso e quello della reazione - capitalistica, vaticana o nazista-.Come se non ci fossero,oggi, l'intelligenza artificiale, i droni, Echelon, le guerre neo-colonialistiche, il dominio della finanza globale, la disoccupazione di massa, il furto informatico delle identità. Gli anni che ci attendono saranno caratterizzati dal controllo totale su ogni nostro movimento da parte di un sistema informatico generalizzato, dall'assolutizzazione dei dogmi del Pensiero Unico, da una conflittualità globalizzata fondata su rivoluzioni teleguidate, guerre umanitarie, cyberguerre, uso a fini bellici dello spazio, degli automi e delle neuroscienze, canalizzazione del consenso mediante la rete. Le previsioni di Tocqueville e di Baudelaire, di Nietzsche e di Zamiatin, di Capek e di Huxley, di Anders e di Asimov, di Lem e di Tarkovski, di Burgess e di Kubrik, si realizzaranno tutte insieme contemporaneamente.


Sono queste le grandi sfide a cui l'Umanità dovrà fare fronte. Di fronte a un "destino della tecnica" che sembra inverare le più catastrofiche visioni del  "Servo Arbitrio", di fronte ad una somma disumanizzazione che si presenta come supremo progresso, l'Umanità ha bisogno della filosofia per motivare le proprie scelte. Che cosa ci dicono di queste cose i filosofi?

Per questo, inviterei il Professor Vattimo e tutti quei filosofi che restano fedeli alle posizioni del Pensiero Debole, da un lato, a non farsi intimorire dalle critiche (per ora poco convincenti) dei sostenitori del New Realism, e, dall’altro, a proseguire le loro ricerche, soprattutto  nelle direzioni sopra indicate (filosofie comparate, filosofia della scienza e della tecnica, postumano, memoria culturale europea).
Per parte nostra, siamo a disposizione per favorire questo dibattito, invitando innanzitutto il Prof. Vattimo a confrontarsi con il nostro pubblico su questi temi. Essendo noi, tra l'altro, impegnati sul fronte dell' identità territoriale (cfr. http://www.torino2019.blogspot.com), ci permettiamo di considerare questi temi un po' come legati all'identità torinese, grazie anche e soprattutto al fecondo dialogo fra il pensiero di Nietzsche (ospite d'eccezione della nostra Città) e la scuola filosofica torinese.
 
Ovviamente, siamo aperti anche al dialogo anche con i sostenitori del “New Realism”, che inviteremmo, per altro, visto che sono Italiani ed Europei, ad illustrare le loro tesi anche qui da noi, e non solamente agli Americani (come sembra vogliano fare lanciando il dibattito a New York).
Siamo pronti, perciò, ad organizzare al più presto un dibattito anche con loro.


venerdì 19 agosto 2011

UN GOVERNO ECONOMICO PER L'EUROPA?

Not just Economy, but Politics
Non seulement de l' économie, de la politique
Nicht nur Wirtschaft, sondern Politik.


L'esito dell' incontro di Mercoledì 16 fra Angela Merkel e Sarkozy è stato catastrofico per i mercati: in luogo di "un governo europeo per l' economia", degli "Eurobond" e della "Tobin Tax", sono uscite dall' incontro solo vaghe promesse di incontri periodici al vertice.

1.La bozza di Eurobonds 
Invece, è bastata, il 18,  una risposta del commissario europeo Olli Rehn al Parlamento Europeo circa una bozza, in preparazione, di direttiva sugli Eurobond, perchè le Borse aperte in quel momento invertissero la loro tendenza, riducendo drasticamente le perdite di una giornata partita in rosso.

Ciò dimostra, intanto, che le buone idee e l'attivismo politico sono la merce più rara e più richiesta, e che la Commissione e il Parlamento Europeo possono fare, per l'economia, europea e mondiale, di più dei "leaders" dei più importanti Stati nazionali. A condizione, ovviamente, che, alle parole, seguano i fatti.

E, tuttavia, mentre cogliamo l'occasione per spezzare una lancia a favore  degli Eurobonds, e ci complimentiamo con il Commissario Rehn per l'ottima iniziativa, non possiamo astenerci dal considerare che l'insieme delle vicende, spesso inspiegabile, di questa crisi, si spiega, a nostro avviso, con considerazioni extraeconomiche.

2.When China Rules the World

In termini generali, la crisi costituisce l'aspetto esteriore, enfatizzato dai riti dell' economia globalizzata, di un aggiustamento strutturale che vede il passaggio della leadership economica dagli Stati Uniti ai Brics. Questo passaggio ha le sue criticità, le sue metodologie e le sue tempistiche. Nelle sue linee generali, sta già avvenendo.

All' interno dell' economia occidentale, la perdita di prospettive deriva da una riduzione delle aspettative. aspettative che, fino ad oggi, erano quelle di una crescita infinita trainata dal progetto millenaristico americano di un'Umanità resa "quasi immortale" e "quasi perfetta" dalla Scienza e dalla Tecnica.Questa prospettiva tiene coeso l' Occidente, ispira l'azione politica e militare, rende accettabile un sistema economico che si regge sul permannte squilibrio, nobilita ancche i lati meno accettabili di un modello di vita economicistico e precario.

3.Indifferenza degli Europei

La minor tensione dell' Europa si giustifica con il fatto che quel progetto è americano, non europeo. L'ideologia della "Pace Perpetua" maschera la perdita di autonomia dell' Europa, che ha come contropartita l'impossibilità di guerre e rivoluzioni all' interno della NATO. Nello scambio politico con l' America, l' Europa rinunzia a una propria progettualità, e, in cambio, ottiene la possibilità di economizzare su difesa e  sistema finanziario, senza essere condannata a seguire le dure regole del sistema americano.

4.Dialettica della crisi

Tuttavia, questo intero armamentario rischia di divenire obsoleto. La cieca fiducia nella marcia vittoriosa della missione americana è stata scossa dalle guerre inutili e dalle crisi a ripetizione. Restano tuttavia un'ideologia consolidata, un esercito che non ha eguali nella storia, un mercato finanziario che coordina le economie del mondo intero. Tuttavia, non è più certo che "il XXI° Secolo sarà americano",come sosteneva Valladao, e l' America ha, come minimo,  bisogno del consenso dei BRICS per mantenere le proprie posizioni.

Nella situazione di ridimensionamento in cui si trova, e in cui costringe il mondo intero, l' America non può fare sconti a nessuno, tanto meno all' Europa, che non dispone di alcuna credibile arma negoziale. Le necessità di aggiustamento ("sacrifici"), per quanto modeste, non possono essere sopportate dagli Europei, perchè, al di là del mediocre compromesso con l' America, essi non dispongono di una solida idea fondatrice.

5.Sacrifici perchè?
Gli Europei non sanno perchè dovrebbero fare sacrifici. Per permettere la prosecuzione del progetto americano? Per sopravvivere? Ma quali sono le cose che servono per sopravvivere? Nessuno lo dice chiaramente.
E' invece proprio di qui che si dovrebbe partire. Un'idea-guida  (sia essa una credenza religiosa o un'ideologia), è indispensabile per tenere in piedi una società. Gli Europei non hanno questa idea comune. L'ideologia della "Pace Perpetua", già poco credibile in astratto, si è infranta dinanzi alla ex-Jugoslavia, all' Afganistan, all' Irak, alla Libia. E, comunque, non detterebbe in nessun caso regole comportamentali in tantissimi campi, in primis in quello economico.

6.Alla ricerca di una ragion d'essere.

Una volta crollato il mito dell' America "paese leader del mondo libero", e, di conseguenza, anche la speranza di poter continuare a sopravvivere sotto le ali di un fantomatico "Occidente", l'Europa sarà costretta a cercarsi una ragion d'essere. Ragion d'essere che non potrà sorgere se non come reazione a questa fase in cui, in nome di un benessere un po' stantio, si sono sacrificate l'armonia, l'autenticità, la creatività, l'umanità, la cultura.

L'Europa aspirerà a permettere a tutti di esprimere la loro personalità, senza l'obbligo di adeguarsi a un "Pensiero Unico" conformistico, senzal'ansia di stare dietro alle stressanti e mutevoli esigenze dell' economia, senza la continua imposizione di mode dal sistema mediatico.

Questa possibilità di esprimere la propria autenticità non è venuta dall' individualismo di massa, che ha portato solo incertezza, ansia, povertà, disoccupazione, criminalità. Essa andrà ricercata in una società che parta dalla ricerca dell' equilibrio, fra cura dell' anima e impegno nelle cose, fra cultura e tecniche, fra politica e economia, fra élites e ceti sociali, fra religioni e libertà di coscienza, fra Stato e privati, fra pubblica amministrazione e impresa, fra pubblico e privato, fra piccolo e grande, fra universale, europeo, regionale e locale.

7.Riordinare la scala delle priorità

In una siffatta società, il ruolo di leadership dovrebbe essere riconosciuto non già all' economia (sia essa costituita dal capitale o dal lavoro), bensì alla cultura, alla religione e alla politica.

Anziché i "tagli alla cultura", l' Europa di domani dovrà garantire alla cultura creativa modi di sussistenza che ne garantiscano l' autonomia. Solo una cultura autonoma saprà proporre agli Europei obiettivi appetibili, che, posti in concorrenza fra di loro, possono ispirare l'azione propositiva della politica. Una classe politica alleggerita, distribuita in modo organico fra Europa, Euroregioni e livello locale, con una larga partecipazione dei cittadini, potrà interopretare le istanze della maggioranza senza comprimere le minoranze, con progetti autorevoli, che i legislatori e l'Amministrazione possano tradurre tempestivamente in istituzioni e norme.

Le imprese, pubbliche e private, dovranno essere indirizzate, dal legislatore europeo, verso grandi progetti europei , come il rilancio della "cultura alta", lo scambio culturale, le industrie culturali, le alte tecnologie, l'economia sostenibile, la difesa del patrimonio culturale e ambientale, la salute, la famiglia, l'aiuto ai poveri e ai Paesi in difficoltà.

Le grandi imprese europee dovranno coalizzarsi o fondersi, in modo da essere competitive con i grandi concorrenti degli altri Continenti e da essere partner credibili per l' Europa nella realizzazione di progetti come le Accademie Europee, i curricula scolastici e professionali europei, un'industria europea dei media, la Politica Estera e di Difesa Comune, l'aerospaziale, l'ICT,  le bioscienze, l'Alta Velocità, le Energie Rinnovabili,l'urbanistica sostenibile, il turismo culturale, la finanza etica, ecc..

Tutto ciò potrà permettere una ragionevole distribuzione delle risorse, concordata fra i livelli centrale, regionale e locale, fra Stato, Amministrazione, grande impresa, piccola impresa, terzo settore, privati, volontariato, in modo da garantire la piena occupazione nel rispetto delle imprescindibili esigenze della meritocrazia e della necessità di sfruttare al meglio le vocazioni di ciscuno.

L'economia non potrà essere lasciata a briglia sciolta in balia dei mercati internazionali. L'Europa è così grande da poter costituire un autonomo "polo" dell' economia mondiale, con proprie finalità storiche, proprie regole di mercato, proprie risorse finanziarie, propri gruppi produttivi, una propria scuola di management, propri standard organizzativi e produttivi. Essa si interfaccerà tanto con gli altri grandi Stati continentali, quanto con i gruppi multinazionali, ma nella salvaguardia della propria sovranità e riservandosi il diritto di essere determinante in tutte le grandi scelte mondiali.

8.Un nuovo sistema politico
Per realizzare una società di questo tipo, sarebbe necessario strutturare i sistemi di governo in modo sostenibile e vicino ai cittadini, cercando di  concentrare le competenze nei luoghi dove esse sono più naturali. A livello locale, occorrerà sfruttare le energie della democrazia diretta, dei giovani, del volontariato. A livello regionale, occorrerà puntare sulla professionalità, la rappresentatività, l'organizzazione politica; a livello europeo,la delega, le élite della cultura e del lavoro, la multiculturalità e la decisionalità.

9.Un difficile percorso

L'Europa non potrà raggiungere una siffatta strutturazione senza una ben precisa fase di maturazione, che parta dallo studio delle basi culturali, che passi poi ad una fase di dialogo culturale e politico, per poi attraversare una fase di associazionismo diffuso, intorno a precisi nuclei programmatici. Solo allora, si potrà affrontare su basi nuove la lotta politica, con una strategia di progressive aggregazioni intorno all' ideale europeo, che garantisca un' unità di impulso nella massima pluralità di ispirazioni.

Un movimento politico siffatto dovrebbe percorrere tutte le necessarie strade istituzionali (regioni, euroregioni, stati nazionali, istituzioni europee) per impostare un programma di riforme istituzionali ed economiche in linea con quanto sopra, una serie di iniziative concrete (culturali, legislative, imprenditoriali, tecnologiche, amministrative), per avvicinarsi al modello di cui sopra.

10.Un'Europa libera, autentica e autorevole
Soprattutto, tale movimento dovrebbe guadagnare all' Europa la propria autonomia (culturale, politica, economica, militare) dal mondo globalizzato, e, in particolare, dall' Occidente. "A regime", l' Europa dovrebbe divenire, con alcune altre aree del mondo, l'attore privilegiato, nell' ambito di un rinnovato sistema di Organizzazioni Internazionali, del sistema decisionale sulle grandi questioni che riguardano il futuro del mondo (cultura, natura e tecnica; le alte tecnologie; la tutela della pace e delle minoranze; lo sviluppo della cultura e il dialogo interculturale; il commercio e la finanza internazionali; la tutela dell'ambiente; la fame nel mondo, ecc...).

11.Non dimenticare i problemi del presente

Tutto ciò richiederebbe, anche nella migliore delle ipotesi, parecchi anni. Che non sarebbero, certo, un periodo di riposo per chi volesse intraprendere quest'avventura. Ma durante i quali, certamente, non si risolverebbero i gravi problemi dell' Europa di oggi.

E' tuttavia possibile, a nostro avviso, immaginare un cammino parallelo:mentre il movimento per il rinnovamento dell' Europa procede nella creazione di questo nuovo patrimonio di idee, di esperienze e di proposte, esso potrebbe (e dovrebbe) riversare nell' arena pubblica le proposte che si andassero via via formulando.

Cosa che noi stiamo tentando di fare con questo blog e con il blog http:www.europestwolungs.blogspot.com

Tornando agli Eurobonds e alla Tobin Tax, sen'altro sarebbero delle buone idee, non tanto per delle considerazioni teniche, che non siamo in grado di valutare, quanto perchè darebbero all' Unione un leverage effettivo che oggi non hanno. Orbene, è impossibile pensare che l' Europa possa avere un impatto reale sulla realtà (e, in particolare, sull' economia) se non ha alcuno strumento per operare. Già l'idea del vincolo di bilancio fa riflettere, in quanto priva l' Europa di quei margini di libertà che hanno i suoi grandi competitors, l' America e la Cina.

12.Il "piano inclinato" non basta

Ci sono, poi, i sostenitori della teoria del "piano inclinato", secondo cui, seppure in  modo casuale, è inevitabile che l'Europa divenga sempre più unita. Costoro ci ricordano i sostenitori delle "Quattro Modernizzazioni" di Talcott Parsons, secondo cui sarebbe  inevitabile che tutti i popoli si modernizzino con le stesse modalità. Crediamo anche noi che, indipendentemente da un'azione politica determinata, si realizzerà comunque, nel tempo, una maggiore omologazione fra le varie parti d'Europa. Ma questo è un effetto della globalizzazione, non già dell' Unione Europea. Al contrario, se l' Europa ha un senso, questo dovrebbe essere quello di rendere possibile, qui, un certo modo di convivenza che è diverso da quello di altri Continenti, e, pertanto, anche da quello del mondo globalizzato. In questo senso, il tipo di omologazione che viene indotto dalla globalizzazione va in una direzione opposta a quello in cui dovrebbe andare l'integrazione europea.

Per questo, si rende più che mai necessaria una specifica azione culturale e politica, che indirizzi il futuro dell' Europa secondo i desiderata degli Europei, non già secondo le inclinazioni pseudo-obiettive della globalizzazione. 

Se, poi, invece, preferiamo, come oggi,  la dittatura dei media, le guerre fuori dell'Europa che si trascinano senza alcun obiettivo, la decadenza della nostra antica cultura, lo smantellamento della scuola, dei servizi pubblici e delle grandi imprese, i crolli finanziari, la disoccupazione di massa, allora, non facciamo pure nulla e aspettiamo di vedere come le cose andranno per conto proprio.


















IN MEMORIA DI RICCARDO BOTRINI

Riccardo Botrini has left us
Riccardo Botrini nous a quitté
Riccardo Botrini hat uns verlassen.
Pubblichiamo qui di seguito l'annunzio dell' Associazione Culturale Russkij Mir di orino sulla tragica morte del Suo Presidente Riccardo Botrini

La Casa Editrice Alpina e l' Associazione Culturale Diàlexis si associano al cordoglio dell'Associazione Culturale  Russkij Mir di Torino,  della Casa Editrice Loescher e dei familiari.


Riccardo Botrini, Presidente dell' Associazione Culturale  Russkij Mir di Torino e vice Presidente della casa Editrice Loescher, aveva seguito le nostre attività fino dalla loro fondazione, partecipando a varie manifestazioni di cultura europea presso il Salone del Libro di Torino, nonché alla presentazione, presso il Gruppo Dirigenti Fiat, con Gianni Vattimo e Costanzo Preve, del libro "10.000 anni di Identità Europea".


Nel corso di un dibattito con Franco Cardini sul tema "Europe's Two Lungs", aveva suggerito la creazione di un Blog multilingue per aprire un dibattito internazionale sui rapporti culturali fra Russia e Europa. Questo Blog oramai esiste, se non altro in via sperimentale (http:www.europestwolungs). Vogliamo ringraziare anche noi Riccardo Botrini per la sua amicizia, la sua passione, i suoi fattivi contributi di partecipazione e di idee.
Sabato 13 agosto, per una tragica fatalità, è morto a 62 anni


il Presidente dell'Associazione culturale Russkij Mir di Torino,



ing. RICCARDO BOTRINI





Russkij Mir ringrazia Riccardo per la generosità e la dedizione


e partecipa al dolore dei famigliari.



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В субботу 13 августа, в результате трагической 
случайности, погиб в возрасте 62 лет


Президент Культурной Ассоциации "Русский Мир" г. Турина,



инженер РИККАРДО БОТРИНИ






"Русский Мир" благодарит Риккардо за великодушие и преданность


 и выражает сочуствие родным.

lunedì 1 agosto 2011

UN SOGNO CORAGGIOSO AL LIMITE DELLA FOLLIA

Reply to Franco Cardini on Globalisation and European Ideal
Réponse  à Franco cardini sur globalisation et idéal européen
Antwort zu Franco Cardini betreffend Globalisation und europaeisches Ideal












(postato sul sito dell' Associazione "Identità Europea" l'1/8/2011) in risposta a "Intervista a Franco Cardini"




Rendo omaggio alla voce, come sempre nobile  e originale, ma ma isolata, di Franco Cardini, con i cui punti di riferimento valoriali e con le cui prese di posizione politico-culturali mi identifico .L’esistenza stessa dell’ Associazione “Identità Europea” è uno dei pochissimi tentativi di porre le basi di un dibattito su questi temi così ardui.Vorrei contribuire a portare avanti il lavoro così intrapreso con un abbozzo di valutazione sui temi dell’ intervento di Cardini e proposte di azione.


Lo Strappo della Modernità
Senz’altro, l’attuale situazione vede il dominio, sulla scena mondiale, di un progetto tecnocratico con pretese così totalitazzanti da avere un sapore addirittura anticristico (“Mysterium Iniquitatis”). Nonostante tutti gli sforzi per occultarlo, si tratta semplicemente del tentativo di trasferire nei prodotti dell’ uomo (manufatti, macchine, idee, processi, software, automi) quelle caratteristiche di infinitezza, onnipotenza e eternità che le tradizioni religiose e filosofiche (in particolare, quelle cristiane), avevano, da sempre, attribuito al Divino. A questo fine ultimo furono finalizzati “il livellamento giacobino, l’individualismo, lo strapotere dell’ economia e della tecnologia, il progressismo materialista ”.Tale progetto presenta forti rischi di rovesciarsi nel proprio opposto a causa della perdita, che esso comporta, di un sano senso del limite. Esso incomincia a delinearsi fra il XVI e il XVIII Secolo, in parallelo con la perdita di autorità della Chiesa e dell’ Impero, e, aggiungerei, con la scoperta dell’ America, che segnò la nascita del meccanismo moderno che ha consentito all’ Occidente, con la conquista dei grandi spazi, la manipolazione, decimazione e schiavizzazione dei popoli extraeuropei e il controllo globale attraverso il commercio ineguale, di asservire e sfruttare tutto il mondo. Le strutture stesse del mondo globalizzato in cui viviamo sono già così delineate
Nonostante tale progetto, era vivo in quei tempi in tutta Europa anche il desiderio  di ricostruire su nuove basi la Civitas Christiana, in sintonia, e non già in conflitto, con le altre grandi civiltà mondiali (De Las Casas, Ricci), “facendo valere i valori delle comunità locali, dei corpi intermedi e delle antiche libertà”. Da questo desiderio nascono i primi progetti di unificazione europea(Podebrad, Sully). Purtroppo, nessuno di questi progetti riuscì a realizzarsi, mentre, invece, prevalsero le guerre di religione, gli assolutismi, i nazionalismi, la rapacità dei conquistadores e degli usurai. Siamo così di fronte a una serie interminabile di buone occasioni mancate (gli Hohenstaufen, Carlo V, Napoleone, il Congresso di Vienna, Paneuropa, la Seconda Guerra Mondiale, il ’68, l’89).

La "Eurolandia finanziario-burocratico-bancaria?"
La debolezza dell’ideale europeo deriva dal non avere affrontato alla radice la divergenza concettuale che l’oppone fin da principio al progetto della Globalizzazione. Tanto la Globalizzazione è assolutistica nel suo disegno di controllo totale, quanto il progetto europeo è critico e pluralistico.
Tale debolezza del nostro progetto è testimoniata dalla sua lentissima gestazione, da Dante a Dubois, da Podebrad a Enrico IV, da Crucé a St.Pierre, da Leibniz a Rousseau, da Novalis a Alessandro 1°, da Gioberti a Mazzini, da Nietzsche a Coudenhove Kalergi, da Galimberti a Spinelli, fino ai Padri Fondatori delle Comunità Europee. Durante quella gestazione, non poté mai attecchire il patriottismo europeo, travolto dalle passioni settarie e dagli interessi particolari. Le dispute filosofiche dell’ Illuminismo prevalsero sul diffuso europeismo, i rapporti di forza fra le Grandi Potenze allontanarono la Santa Alleanza dall’originario progetto di Novalis, quello  dell’ unità fra le confessioni cristiane. L’interesse per le rivoluzioni nazionali e liberali prevalse, nei mazziniani, sull’ idea della Giovine Europa, così come il progetto di Paneuropa si dissolse come neve al sole dinanzi alla 2° Guerra Mondiale. Neanche le idee di Drieu la Rochelle e di Thiriart trovarono seguaci durante la 2° Guerra Mondiale, né dopo.
L’impossibilità di fare dell’ Unione Europea qualcosa di diverso da un’”inculturazione”, sul piano locale, del progetto tecnocratico della globalizzazione si spiega già con quell’originaria mancanza di coraggio intellettuale.
I padri fondatori delle Comunità  Europee, contraddicendo i progetti di alcuni anticipatori, come Alexandre Marc e Duccio Galimberti,  accettarono che le Comunità costituissero un’unione parziale, priva dei requisiti della Spada e della Moneta,  perché, all’epoca, i rapporti di forza (militari e culturali) non avrebbero permesso di concepire un equilibrio mondiale diverso da quello delle Grandi Potenze vincitrici, che costituivano due opposte, ma convergenti, espressioni della Globalizzazione.

Il “sogno coraggioso al limite della follia”
L’”accelerazione della storia” designa l’avvicinarsi sempre più precipitoso (un paio di decenni) degli esiti apocalittici della globalizzazione, quali descritti da Zamyatin, da Asimov, da Capek, da Guenther Anders, da Aldous Huxley, da Manuel de Landa: il controllo totale del mondo da un unico “centro” automatizzato, la sostituzione degli uomini con gli automi, la fusione fra l’ uomo e la macchina, la trasformazione del mondo in programmi elettronici, ecc.. L’attuale struttura del potere mondiale rende ancora più impossibile un effettivo controllo su questi sviluppi, concentrando tutto nelle mani del sistema burocratico-militare, e trasformando l’equilibrio costituzionale e i diritti civili in una semplice messa in scena. Un’Europa effettivamente libera, indipendente e unita, con  la possibilità di esprimersi liberamente, costituirebbe, ancor più di ieri, una minaccia per questa mostruosa concentrazione di potere.  Per questo,”per  sperarvi, ci vuole un sogno coraggioso, al limite della follia”.
Tuttavia, la  modifica, attualmente in corso, dei rapporti di forza fra i Continenti potrebbe aprire, a livello strategico, spiragli per la ripresa del progetto europeo. Nell’immediato, l’America, rimasta l’ Unica Superpotenza, sta cedendo progressivamente quote del proprio potere a favore della Cina, dell’ Islam, della Russia, del Sud del mondo. Il rinvigorirsi, in tempi brevissimi, di queste parti del mondo, ridurrà fra breve  il senso di dipendenza dell’ Occidente verso l’ America, e potrà perfino risvegliare , in alcuni, a medio termine, degli  interrogativi sul significato della Modernità e sulle sue alternative. L’accrescersi della competizione a livello mondiale finirà, prima o poi,  per destabilizzare, tra l’altro, anche l’equilibrio dell’ Europa. Nella peggiore delle ipotesi, si arriverà ad un conflitto globale, con l’uso massiccio delle armi elettroniche e la presa di controllo definitiva da parte di queste ultime.

Chiedere l’impossibile.
Il processo di trasformazione quale sopra delineato è in corso; né la sua durata,né la sua violenza, sono prevedibili. In un qualsiasi momento, una scossa violenta potrebbe indebolire i vecchi sistemi di controllo, facendo  sentire con urgenza, anche e soprattutto in Europa,  la domanda di una proposta culturale, politica, e perfino militare, nuova.
Rispondere a una siffatta domanda richiederebbe di poter offrire all’Europa un concetto di governo ben definito, una classe dirigente alternativa, piccola ma coesa e preparata, una dottrina dello Stato completa e aggiornata. Se tale scossa dovesse verificarsi ora, saremmo però dinanzi a un’ ennesima occasione perduta. Infatti, oggi, tutte queste cose non vi sono, e, pertanto, è da prevedersi che, anche dopo la prevedibile crisi sistemica, riprenderebbe, sotto altre forme,  la marcia della Globalizzazione. Peggio: se la crisi fosse totale, ci troveremmo coinvolti, nostro malgrado,  in una guerra di distruzione.
I pochi intellettuali, uomini di Chiesa, politici, scienziati e tecnici che credono nell’ Europa hanno la precisa responsabilità di preparare questo concetto di governo, europeo e mondiale,con il dialogo, con le loro opere, con attività di formazione e di organizzazione, senza pretendere che l’occasione propizia arrivi al momento che ci fa più comodo. Siamo a disposizione per organizzare tale dialogo.
Solo così si potrà passare, dal “sogno coraggioso al limite della follia”, a un piano d’azione lucido e di respiro storico.


martedì 26 luglio 2011

ALLE RADICI DELL' IDEOLOGIA TEOCON

Processo per eresia nella Nuova Inghilterra puritana

Theo-cons: a Channel of Puritan Influence in Europe
Les théo-cons: un élément de l'influence puritaine  en Europe.
Theo-Konservative: ein Werkzeug des puritanischen Enflussnahme ueber Europa.


Le tragiche vicende di Oslo continuano a stimolare riflessioni e dibattiti. Il contesto culturale in cui quei fatti sono avvenuti, e in cui il loro protagonista si è mosso, sono complessi. Abbiamo un ampio movimento fondamentalista e islamofobo, presente, seppure in forme diverse, in Inghilterra, Olanda, Scandinavia,  Francia e Italia, oltre che in vari Paesi dell' Europa Orientale. Abbiamo allusioni, e più che allusioni, ai Templari e ai Massoni. Abbiamo un'imitazione strutturale del modus operandi di al-Qaida.

Scorrendo il manifesto di Breivik, ciò che stupisce sono i  riferimenti culturali. La tesi centrale è che bisogna salvare l'Identità Europea attraverso l' espulsione degli islamici. Questa identità sarebbe, al contempo, cristiana e individualistica. Gli Islamici, invece, sarebbero dei comunitaristi, alleati dei post-marxisti, i quali, con la teoria e la pratica del multiculturalismo, ne favorirebbero l' avvento.

Queste teorie, che possono sembrare raffazzonate e grezze, da un lato non sono nuove, e, dall' altro, sono tutt'altro che semplicistiche.
Non sono nuove perchè sono proprie dei teocon americani degli ultimi decenni del secolo scorso, i quali, a loro volta, le avevano ripescate da accenni presenti in tutta la storia americana. Non sono semplicistici perchè sono il risultato di una lunga fase di elaborazione, sviluppatasi, anch'essa, soprattutto in America.

I teocon americani del 20° Secolo partivano, sostanzialmente, da tre fonti culturali: dalla cultura americana ottocenteca (Trascenentalismo e Pragmatismo); dal conservatorismo ebraico di Leo Strauss e dal post-trotzkismo degli eredi di  Burnham.
Per Emerson, Whitman e Dewey, il vero sbocco del Puritanesimo sarebbe consistito nell' "Individualismo Democratico", vale a dire l'esaltazione del "Man of the Street", che non conosce la filosofia, e per il quale la religione è soprattutto una scuola di buon comportamento e di umiltà borghese, non certo di ascetismo: esso porta ad aborrire l' ambizione, l' orgoglio, perfino la cultura troppo esigente, tipici delle classi elevate europee.  Questa scelta, nel contempo religiosa e politica, sarebbe appunto  ciò che caratterizza  gli Americani rispetto agli Europei.
Per Leo Strauss, le sofisticherie della cultura europea ed ebraica liberale avrebbero  portato alla corruzione della società. Era ora, con la "conversione", la "teshuvà'" (la "seconda nascita" dei Puritani), di tornare alla tradizione  giudaico-cristiana e di difendere la società esistente dalle pretese intellettualistiche degli intellettuali relativisti e multiculturalisti.

Per i post-trotzkisti americani, l' Unione Sovietica avrebbe tradito gli ideali della democrazia radicale, che si incarnerebbero, invece, negli Stati Uniti, vero Stato rivoluzionario.

In sintesi: l'identità americana consisterebbe nella congiunzione rivoluzionaria  fra ritorno alla fede religiosa e individualismo democratico. Questa sintesi  sarebbe il senso ultimo di tutte le rivoluzioni moderne. Coloro che si oppongono a questa rivoluzione possono considerarsi tutti comunitaristi e collettivisti, nemici nello stesso modo dell' individualismo democratico e della tradizione giudaico-cristiana. Come i nemici erano, un tempo,  le monarchie europee, l'altro ieri i fascismi e ieri il comunismo, oggi il nemico comunitarista e collettivista è l'islamismo. 

L'islamismo è il nemico innanzitutto perchè, storicamente, ha sempre conteso a cristiani ed ebrei il primato fra le religioni monoteistiche,che spetterebbe, invece, alla tradizione giudaico-cristiana, poi perchè non accetta per principio l'"individualismo democratico", poi, ancora, perchè si oppone allo Stato di Israele, che, nel Medio-Oriente, è il baluardo della tradizione giudaico-cristiana , e, infine, perchè, grazie all' immigrazione, potrebbe soppiantare in Europa l' "individualismo democratico".

I marxisti, eredi del Comunismo, dopo la caduta del muro di Berlino si sarebbero alleati con gli islamisti. Con la teoria del multiculturalismo, essi renderebbero  possibile l' accettazione dell'Islamismo in Europa,  la nascita di un' Europa Islamica e la sconfitta dell' individualismo democratico.

Perciò, occorre una lotta decisa contro il post-marxismo, per permettere l' emergere, in America e in Europa, di una classe dirigente "occidentalistica", che freni, riduca ed elimini la presenza mussulmana in Europa.

Tutto ciò viene ammantato da colori europeistici e medievalistici, anche se, come si è visto, queste idee nascono in America, non già per stimolare l' Europa ad essere se stessa, bensì per difendere il predominio delle idee americane.

Che ciò sia vero è dimostrato, a fortiori, dall'incredibile assonanza dei fatti di Oslo con quelli di Waco e di Oklahoma City (oggetto di simili stragi da parte di integralisti puritani mussulmani) ,nonché con la trama dell' ultimo film di Dan Brown, "Il simbolo perduto", tutto incentrato sul conflitto fra un granghignolesco "massone cattivo" e la massoneria buona che si identifica con l' establishment americano.

Per questo, sembrerebbe  abbastanza incomprensibile che queste idee abbiano preso piede soprattutto negli ambienti della destra radicale e del tradizionalismo religioso, e, questo, soprattutto nei Paesi cattolici. Infatti, tanto la destra radicale quanto il cattolicesimo conservatore sono stati in Europa, e soprattutto nei Paesi cattolici, tradizionalmente alieni da influenze culturali protestanti, trotskistiche o ebraiche, ed, anzi,  si erano  dichiarati sempre fieramente avversi a queste tendenze.Quest' inaudita convergenza dovrebbe permetterci di comprendere come i vecchi schemi della cultura politica (come "destra-sinistra") non siano oramai più idonei a descrivere la realtà attuale.

Un altro ampio margine di riflessione dovrebbe aprirsi intorno alla questione dell' islamofobia.

Fino all'inizio dell' Ottocento, non si poteva riscontrare in Europa una particolare ostilità per il mondo mussulmano , che si differenziasse dal generale disprezzo per i popoli afro-asiatici, considerati inferiori agli Europei. Si dice addirittura che Napoleone sia tornato dalla Campagna d'Egitto con una notevole carica di filo-islamismo, che lo avrebbe indotto , tra l'altro, al suo ritorno, ad una politica anti-femminista. Ancora suo nipote Napoleone III si era battuto con successo, in occasione della sua accessione alla presidenza,  per la liberazione dell' emiro e sufi algerino 'Abd el-Qader, a cui avevano tributato alti onori, tra l'altro,  tutti i governanti occidentali. Nasceva in quegli anni l'"Orientalismo", come studio di un mondo affascinante, ma inferiore.

Un certo fastidio per i polpoli arabi si incominciò a sentire in Europa dopo la costituzione dello Stato di Israele, le guerre arabo-israeliane e l' Intifada.

Ancora l'Ayatollah Khomeini e i Taliban erano stati salutati, dai media occidentali, come  liberatori ,e solo la guerra in Iraq  aveva incominciato a fare presagire uno "scontro di civiltà" con l' Islam.

Anche se Saddam Hussain non era particolarmente islamico, l'anti-islamismo si nutrì soprattutto dell'avversione anti-irachena

Ma è soprattutto dopo l'11 Settembre che l'Islam incomincia ad essere descritto come un nemico storico dell' Occidente, l'incarnazione di tutte le società teocratiche, elitarie e maschilistiche. A quel punto, diviene percettibile e rilevante anche l'avversione contro l'immigrazione.
 
Come si vede, tutte questioni che sono principalmente americane, e che hanno investito l' Europa solo di riflesso.
Si parla tanto dei ceti medi impauriti che cercano nello straniero il capro espiatorio per il loro declassamento. Ma anche questa è una paura soprattutto americana, quella che l'influenza islamica faccia perdere smalto all'American Way of Life,cioè  al modello che la middle class americana propone di se stessa, soprattutto a scopo di esportazione verso gli altri  Paesi del mondo.


Di nuovo illogico che questa paura serpeggi in Europa. Qui, '"American Way of Life" ha cominciato ad affermarsi in tempi non lontani, e molti la vivono ancora come un declassamento.

Le nazioni dell' Europa Meridionale e Orientale, con la preservazione delle tradizioni religiose, etniche e cetuali, con le sue grandi differenze locali, con una visione spirituale della Religione, assomigliano più al  mondo islamico che non a quello anglosassone.

Non è un mistero che spesso gli Europei sono stati tentati (e ancora lo sono) di giocare la carta islamica contro l'occeidentalizzazione (confronta per esempio la "Lega dei Popoli Oppressi"sponsorizzata  da D'annunzio, i rapporti fra l' Asse,  l' Islam e il nazionalismo arabo, la politica degli Stati dell' Est Europa, dell' ENI, dei grandi partiti italiani, della Chiesa,di intellettuali eccentrici come Guénon, Foucault, Weil, Garaudi, Béjart o l'Abbé Pierre) . Ancor oggi, la presenza islamica sul territorio europeo, non meno delle collaborazioni con la Russia e con la Cina, costituisce obiettivamente un contrappeso all'influenza culturale, politica, militare ed economica americana. Per questo, sembra un paradosso che coloro che che, come Breivik, avrebbero addirittura la presunzione di emanare una "Dichiarazione di indipendenza dell' Europa", non si accorgano di questo importante aspetto, e sembrino non comprendere quanto questa loro politica ribadisca sempre più il carattere subordinato , anche nei temi del dibattito politico, dell' Europa rispetto all' America.









lunedì 25 luglio 2011

ALLA RICERCA DELL' IDENTITA' SCANDINAVA



Vikings, Lutherans and Social-democrats.
Vikings, Luthériens et Sociaux-Démocrates
Vikingen, Lutheraner und Sozial-Demokraten.




Le tragiche vicende di Oslo ci incitano a prendere in considerazione l'identità scandinava.

A nostro avviso, è proprio dal trascurare i messaggi positivi che le diverse tradizioni possono comunicare ai popoli che nascono le tragedie del nichilismo, come quella di Breivik.

A nostro avviso, l'identità europea non cancella, certamente, le identità locali, regionali e nazionali. Diremmo però anche che, fra l'identità europea e quelle nazionali, esistono ancora due livelli intermedi: quello delle grandi regioni dell' Europa e quello delle Euroregioni.

Grandi regioni dell' Europa sono la Penisola Iberica, l'Europa Occidentale, la Penisola Italiana, l'Europa Centrale e Orientale, l' Europa Orientale, i Balcani e la Scandinavia.

Territorio, quest'ultimo, vasto e antico . 

Lo storico "gotico" (o alano?) Jordanes definì la Scandinavia "officina Gentium". Da essa erano  discesi i Goti, i Gepidi, i  Burgundi, i Longobardi, i Normanni, i Variaghi, tutte stirpi  di conquistatori che sarebbero divenute, con il  tempo, il nerbo delle aristocrazie spagnola, polacca, francese, inglese, italiana, russa. Da Jordanes presero le loro teorie sui Germani Fichte, Chateaubriand, Chamberlain e lo stesso Hitler.

Ma la Scandinavia non è soltanto germanica. Più antichi ancora sono i popoli artici: ugrofinnici, lapponi e Inuit. La scandinavia propriamente detta si estende infatti, ulteriormente, a Ovest, nella Groenlandia americana, e, a Est, nella Russia Settentrionale, in Estonia e nella Siberia Occidentale ugrofinnica, comprendendo comunque il Circolo Polare Artico, patria degli Inuit, dei sami, dei finnici, degli Ugri, dei komi, dei votiachi e dei Nenzi. Anche questi popoli hanno lontane origini  barbariche e tradizioni di migrazioni di popoli conquistatori, come nel caso  dei Magiari.

Il primo elemento dell'identità scandinava è dunque l' antica cultura vikinga. Buona parte delle nazioni europee ha ricevuto un apporto culturale, o etnico, vikingo. I villaggi vikinghi trovati in Lettonia sono più antichi di quelli della Penisola Scandinava. I Vikinghi dettero la loro civiltà alla penisola scandinava, all' Islanda e alla Groenlandia, ma ebbero un profondo influsso anche in Germania del Nord, nell' Arcipelago britannico, in Francia, nell' Italia Meridionale, in Russia e in Terrasanta. Essi scoprirono anche l' America molti secoli prima di Colombo.

Le leggende germaniche, che furono poi riprese nella Saga dei Nibelunghi e da Wagner, erano state prima elaborate in moltissime opere in tutto il Nord Europa. I Normanni svilupparono  in terra francese le basi della cultura giuridica francese, e il dialetto normanno è divenuto il "Lei French", cioè l'antica lingua giuridica inglese. Pochi sanno che, sotto re Canuto, l'Inghilterra fu unita con la Norvegia e la Danimarca in un unico regno, o che la popolazione islandese si è originata dalla fusione fra i Norvegesi fuggiti per scampare alla conversione forzata e gli Irlandesi da loro presi prigionieri.

Il secondo elemento dell'identità scandinava è la fede luterana. Al tempo della Riforma, la Scandinavia era unita sotto l' egemonia della Svezia (Unione di Kalmar). La Svezia partecipò attivamente alla Guerra dei Trent'Anni e ad altre guerre sul Continente, assoggettando, fra l' altro, i Paesi Baltici (dove fondò l' Università di Tartu) e la Pomerania.

La dinastia svedese dei Vasa designò per un certo tempo i re polacchi, e tentò perfino di conquistare la Ucraina. Sotto gli Svedesi, incominciarono a fare valere la loro identità nazionale i Finlandesi e gli Estoni. Anche gli Ucraini  rivendicano l'origine della loro autonoma nazionalità dall'alleanza fra l' Atamano Mazepa ed il re di Svezia.

La terza base dell' identità scandinava è il pessimismo culturale. La loro religiosità luterana li rese molto attenti al lato tragico dell' esistenza ("Timore e tremore" -" Frygt og Bæven"-come avrebbe detto il danese  Soeren Kierkegaard.)

Il critico letterario Brandes, anch'egli danese,  fu il primo scopritore del genio di Nietzsche, con il quale era in corrispondenza anche Strindberg, svedese, tragediografo pessimista come il contemporaneo norvegese Ibsen.

Lo scrittore norvegese Hamsun continuò queste tematiche, mettendo in scena specialmente il contrasto fra la vita rude e incontaminata delle campagne e la vita cittadina, fatta di sfruttamento e di ipocrisia. Hamsun sarebbe poi divenuto notosoprattutto  per la sua vicinanza al regime filo-nazista di Quisling.
Nel  dopoguerra, la tradizione del pessimismo culturale scandinavo è stata ripresa da Ingmar Bergman,che, nei suoi film,ha  affrontato i temi della solitudine, del fallimento e della morte. Un recente epigono, Lars von Trier, è accomunato a Bergmann dalla sua vena pessimistica e grottesca.Anche il genere, attualmente molto di moda, del "noir nordico" potrebbe essere fatto rientrare in questo filone.

Un terzo  elemento dell'identità scandinava è la socialdemocrazia. L'abolizione dell' antico ordinamento corporativo, avvenuta, in Scandinavia, più tardi che non sul Continente Europeo, aveva portato, all' inizio del XX° Secolo, ad una vivace lotta di classe lotta di classe, che fu superata mediante una politica di concertazione fra le parti sociali, fondata  sul ruolo centrale della contrattazione collettiva, e, in particolare, dello "Huvudaftalen", un "Accordo Generale" in cui vengoni fissati i principi generali del diritto del lavoro (come quelli contenuti, a suo tempo, in Europa continentale le "grandi leggi" corporative,o nella "legge fondamentale (yugoslava) sui  rapporti di lavoro, e come sono contenuti ancor oggi in Francia nel Code du Travail, e, in Italia, nello Statuto dei Lavoratori) . Grazie a questa formula sociale, la socialdemocrazia  nordica ha dominato la scena politica nordica per quasi un secolo, anche se è,oggi, fortemente contrastata, da un lato, da partiti di marca liberista, e, dall' altro, da un'estrema destra xenofoba.

La crescita dei partiti xenofobi è certamente un elemento costante della politica scandinava degli ultimi anni.
Alcuni famosi attentati , prima di quello di Reivik, hanno avuto come  protagonisti estremisti di destra, come, sembrerebbe, il più famoso, quello del Pimo Ministro svedese Olaf Palme. L'estremismo di destra in Svezia appare fortemente impregnato di elementi razzistici, che denotano, come in tutto il Nord Europa, una forte influenza culturale americana.

L'ECCESSO DELLA RAGIONE GENERA MOSTRI

The Theo-Conservative Risk
Le risque du théoconservatisme
Das theokonservative Risiko






Non dovrebbe essere necessario che si verifichino gravi fatti di cronaca perché si ritenga il momento di riflettere su importanti fenomeni sociali. Purtroppo, è divenuto, per tutti noi, quasi  un riflesso  condizionato l' operare in questo modo, anche perchè, così, abbiamo più "chances" di farci ascoltare. E' un meccanismo perverso, che costituisce esso stesso, oggi,  la principale, se non l' unica, molla per il terrorismo. Visto che l' "establishement" controlla metodicamente i mezzi di comunicazione, e l'unica occasione in cui esso permette che si parli dei suoi più accaniti oppositori è quando questi commettono dei delitti, più tali  delitti sono efferati, più aumenta l' "audience"di chi li commette, più il terrorismo diviene appeetibile.

Questa è la logica dichiarata espressamente dall' attentatore norvergese Breivik, che ha definito su Facebook il proprio attentato come l' inizio della "fase di propaganda".Ma, di fatto, questa era anche la logica dei filmati di Bin Laden.

E, certamente, gli attentati norvegesi hanno fatto molto parlare di Breivik e delle sue teorie, espresse sul web tanto in forma dettagliata quanto in forma riassuntiva. Teorie che non sono certo nuove, né originali, in quanto sono il distillato, ampio anche se non molto accurato, delle dottrine neo-conservatrici  in voga negli ultimi vent'anni, tutte  concentrate sul timore che l'immigrazione medio-orientale trasformi l' Europa in un paese islamico.

Intorno a questa paura, che si nutre dei pregiudizi degli Europei esposti alla crisi mondiale, si muovono altri tasselli dell' ideologia teo-con, non sempre fra di loro coerenti.

Innanzitutto, l'invocazione di una vaga identità europea e cristiana, che non si comprende mai bene in che cosa dovrebbe consistere, mescolando i suoi fautori elementi tipicamente americani e puritani (come l'individualismo), altri tipicamente massonici (i Templari), altri, ancora, tipicamente giacobini (il nazionalismo).

Poi, l'ossessione del marxismo, che sarebbe complice dell'invasione islamica (mentre, come noto, Marx non fu tenero verso le civiltà extraeuropee, e i postmarxisti sono, in fin dei conti,  i principali  fautori di un'evoluzione occidentalistica nei Paesi islamici).

Infine, la giusta invocazione di una rinnovata assertività dell' Europa, che, per altro, non si capisce come si sposi con l'accettazione dell'ideologia dell' Occidente, che lo stesso Reivik riconoscere essere un elemento di paralisi della vitalità europea.

La realtà è che la dittatura dei "media", con la frenesia di commentare l'ultimo avvenimento e con l'imposizione di usare un linguaggio e una logica stereotipati, impedisce, oramai, proprio  a tutti, di svolgere una riflessione motivata e completa su qualunque argomento.

Per quel che ci riguarda, non possiamo che richiamare come sempre, pure all' interno dei limiti di un blog, i nostri lettori allo studio ed alla riflessione, indicando qui di seguito semplicemente alcuni temi.

Il primo di questi è una riflessione sul rischio "teocon". Pericoloso, questo,  non solo e non tanto perchè può dar luogo a casi di violenza inconsiderata, ma soprattutto perchè "dirotta" verso temi assurdi, distruttivi e suicidi, la giusta rabbia dei giovani europei contro  l'invadenza della globalizzazione, la distruzione della loro cultura, la mancanza di risposte da parte di intellettuali e autorità. Il "teoconservatorismo" sfiora,. così,  alcuni problemi veri dell'attuale evoluzione sociale (disumanizzazione, mancanza di guida, declino dell' Europa), ma perde di vista gli aspetti più gravi (la società del controllo totale , la conflittualità ideologica e tecnologica generalizzata), per concentrarsi su altri, come quello della rinascita islamica, che non solo non incidono su quei problemi più importanti per l'Europa, ma offrono a quest'ultima, addirittura, delle opportunità di soluzione, aiutando l' Europa a tentare di "fare deragliare" il corso di una  globalizzazione che non le appartiene.

Il conservatorismo teologico è un fenomeno tipicamente americano, che già in America ha mostrato i suoi risvolti sanguinosi.Non ha nulla a che fare con i problemi dell' Europa, e men che mai con le loro soluzioni.

Il secondo di questi è l'urgenza di una guida per i giovani europei. La classe politica e gli intellettuali sono assolutamente sordi a quelle ansie delle giovani generazioni. Le quali sono del tutto demotivate dinnanzi alle sfide che l' Europa deve affrontare. Ma non sono le sfide a spaventare: di sfide ce ne sono sempre state, dalle invasioni barbariche all' anarchia feudale, dall' islam alle guerre di religione, dalle rivoluzioni all' industrializzazione, dalle guerre mondiali ai totalitarismi, dalle crisi al terrorismo. Sarebbe sufficiente che qualcuno fosse capace di spiegare le crisi, di proporre degli obiettivi, di coagulare il consenso, di guidare la gioventù verso le necesarie trasformazioni. Anzi, la lotta per la trasformazione diviene, di solito,  una motivazione ad operare e a crescere. Se, invece, manca  una siffatta azione propositiva, almeno qualcuno, fra i giovani, finisce per  inventarsi un' "ideologia fai da te", e una "rivoluzione-fai-da te", con gli esiti che si vedono.

Il terzo è l'inaccettabile ingerenza dei "media", che debbono dare immediatamente un'interpretazione, e, addirittura, un giudizio, su qualunque fatto, quand'anche  non ancora chiarito. Quest'elemento è risultato in modo particolarmente evidente nel caso degli attentati norvegesi, quando i "media", immediatamente dopo l'attentato di Oslo, si sono affrettati a ricercare i colpevoli nel terrorismo islamico, quando solo poche ore dopo i fatti stessi hanno rivelato la ben diversa matrice dei fatti.

L'ultimo è una riflessione approfondita sulla capacità dell'attuale mistica della tecnologia e della razionalità a fornire un quadro sostenibilie alla convivenza umana. Quadro che non può certo essere eguale a quello di 10.000 anni fa, o di 1000, di 100 o di 10 anni fa, e neppure eguale a quello dell' anno scorso, ma che deve comunque avere una  sua profondità storica, un suo progetto per il futuro, una sua  precisa articolazione e un suo  sistema per il presente.
Pur essendo consapevoli che gli anni che ci attendono non saranno certo più dominati dai problemi del passato, quelli dell'avarizia della natura, o  dell'anarchia militare, o  della disciplina produttiva fordista, bensì da quello dalla lotta con il crescente potere delle macchine intelligenti, nessuno ci vieta di formulare un nuovo progetto storico, che fornisca una razionalizzazione di quei futuri scenari, che ricerchi i suoi modelli di soluzione nelle tradizioni culturali, e fornisca, infine, in esito a ciò,  principi di organizzazione  sociale e di legame emotivo adeguati ai vincoli e agli obiettivi del futuro.
Invece, nonostante che la cultura europea abbia già decostruito esaurientemente il mito del progresso indefinito, ed abbia mostrato che la semplice applicazione meccanicistica delle regole del senso comune non serve a garantire una convenienza armoniosa, invece, qui si continua a dare per scontato che le uniche soluzioni consistano nel  rilancio della crescita economica, nel rendere "moderati", per silenziare i conflitti, gli interlocutori più ostici,   e, soprattutto, nel non arrestare mai la martellante propaganda del "politicamente corretto".

Per questo, noi non ci stupiamo affatto, come, invece,  moltialtri, che  nella "Civilissima Norvegia" possano avvenire fatti di fanatismo come gli attentati di Oslo. E' ovvio che una società come quella scandinava attuale, dove vige il mito della "stabilità" e dove occorre "mettere la sordina" ad ogni problema scottante, reprime il carattere naturalmente problematico e tragico della natura umana, finché alcuni dei più deboli "esplodono". Questo è particolarmente vero in una cultura, come quella scandinava, dove l' asprezza a della natura e il carattere severo delle tradizioni culturali ha sempre fatto  inclinare verso il  pessimismo.

Pensiamo alla mitologia scandinava, e in particolare norreno-islandese, che va dalla spaventosa grandiosità dei miti di creazione al ciclo finale della "Caduta degli Dei" ("Ragnaroekr"). Pensiamo ai metodi genocidari di conversione adottati da Re Harald,  o alla cupezza della teologia luterana. Pensiamo alla drammaticità di autori come Ibsen e Hamsun.Proprio perchè la Norvegia è "un paese civilissimo", non si può rispondere alla sua  cultura  solo con il mito della crescita, con l'assistenzialismo sociale o l'educazione all'integrazione.

Occorrono miti positivi, progetti mobilitanti, leaderships riconosciute, che oggi non ci sono.

Come sempre, non possiamo che guardare con preoccupazione alla sproporzione fra i compiti immani che attendono i politici e gli intellettuali del domani e la pochezza del presente.