martedì 12 gennaio 2010

LA FIAT NEL MONDO


FIAT: no More Fabbrica Italiana Automobili Torino. FIAT n'est pus la "Fabrique Italienne des Automobiles de Turin. FIAT nicht mehr Italienische PKF -Fabrik in Turin.

In realazione alla presentazione a Detroit, da parte del Dott. Marchionne, delle strategie globali FIAT, riportiamo qui di seguito l' articolo:"Nella Fiat globale l’Italia conta meno",di Fernando Liuzzi, del giornale elettronico "Rassegna.it", espressione del mondo sindacale, che, sostanzialmente, condividiamo.

"La Fiat non pensa più a se stessa come alla maggiore impresa metalmeccanica italiana. Ormai ha scelto di essere una multinazionale. Fiat Group tiene insieme la serba Zastava con l’americana Chrysler. E sceglie di tagliare le fabbriche italiane del sud

C’era una volta la Fiat, Fabbrica italiana automobili Torino. Ora c’è Fiat Group. E non è un piccolo cambiamento. Perché non si tratta solo di uno slittamento linguistico, dal latino (fiat = si faccia), che ben si attagliava allo stile floreale diffuso nei paesi industriali all’inizio del ‘900, all’inglese, inteso come veicolo comunicativo privilegiato sui mercati globali. Né si tratta solo dell’ennesimo restyling di un logo di cui è stata disegnata una versione graficamente spersonalizzata, e perciò, almeno nelle intenzioni, più universale. In realtà, il cambiamento di nome, e di marchio, è il segnale di un mutamento, allo stesso tempo, più profondo e più ampio.

La Fiat non pensa più a se stessa come alla maggiore impresa metalmeccanica italiana. La Fiat, ormai, ha scelto di essere una delle maggiori imprese multinazionali dell’auto. Certo, una multinazionale basata in Italia. Ma un’impresa italiana è una cosa, una multinazionale il cui quartier generale è collocato in Italia è un’altra cosa. Perché nel primo caso, anche se l’impresa in questione non agisce solo all’interno del mercato domestico, e si proietta verso l’esterno, il suo gruppo dirigente continua a pensarsi nei termini tradizionali: noi siamo qui e dobbiamo penetrare anche altrove. Nel secondo caso, la differenza tra il qui e l’altrove viene cancellata. Il mercato mondiale diventa uno scenario unico.

A guardar bene, che le cose stessero così – se non ancora nella realtà, almeno nella testa di Sergio Marchionne – lo si poteva capire già a fine 2008, nell’intervista pubblicata dal periodico specializzato Automotive News Europe. Intervista in cui l’amministratore delegato della Fiat affermava, fra l’altro, che, oltre la crisi, nel mondo ci sarebbe stato posto solo per sei grandi gruppi produttori di autovetture. E che, per sopravvivere, la Fiat doveva diventare uno di quei gruppi, raddoppiando, come minimo, la sua produzione annua a livello globale. Detto fatto, il 2009 è l’anno della proiezione globale della Fiat che, profittando della crisi, sbarca negli Usa e si compra la Chrysler.

Il logo marchio Fiat Group che, il 22 dicembre 2009, siglava discretamente i grafici della presentazione in power point con cui Marchionne ha illustrato a Palazzo Chigi il nuovo piano industriale sfornato dal Lingotto, aveva quindi forse un valore esplicativo maggiore delle parole dello stesso Marchionne circa le sue intenzioni programmatiche. Fiat Group non è solo il nuovo nome della vecchia casa torinese: è la sintesi della volontà di sopravvivenza di una multinazionale che spazia dallo stabilimento di Betim, in Brasile, a quello di Tichy, in Polonia, e tiene insieme la serba Zastava con l’americana Chrysler. E mantiene la plancia di comando a Torino.

Sembrerebbero buone notizie. Ma se, dall’altra parte dell’Atlantico, vigeva un tempo l’assioma secondo cui ciò che è buono per la General Motors è buono per gli Stati Uniti, oggi è difficile immaginare una massima analoga secondo cui ciò che è buono per la Fiat sarebbe buono anche per l’Italia.

Nello stesso incontro del 22 dicembre, infatti, Marchionne ha dichiarato a Governo, Regioni e sindacati che, nella Fiat globalizzata, crisi a parte, non c’è più posto per lo stabilimento auto di Termini Imerese. Mentre per quello di Pomigliano d’Arco si prospettano mesi e mesi di cassa integrazione e meno posti di lavoro. I sindacati non sembrano propensi ad accettare un ridimensionamento produttivo, e occupazionale, della Fiat nel nostro paese. Tantomeno se, con un’evidente inversione di tendenza, tale ridimensionamento dovesse partire dal Sud."

Ciò che manca nell' analisi di cui sopra è l' aspetto dimensionale del problema:

-i Paesi in cui la Fiat è presente in modo quasi paritetico sono Italia, America e Brasile, in modo minore in Argentina, Turchia e India. I nuoìvi progetti in Serbia, Russia e Cina rischiano di divenire ancora più importanti.

-Putin ha vinto la scommessa con Berlusconi , il quale non credeva che la Fiat e Russi sarebbero stati capaci già ora di produrre un' auto a Vladivostok, al confine con la Cina. Eppure, la prima vettura nippon-russa-italiana della Sollers è appena uscita dalle catene di montaggio di Vladivostok.

Il Governo italiano, che ha sponsorizzato gli accordi serbi e russi, ha molte carte da giocare nei confronti della FIAT. Speriamo che la politica che farà sia "fasata" sul nuovo modo di essere della FIAT.

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