domenica 22 novembre 2009

RILANCIAMO L'INTERESSE PER LA CIVILTA' DANUBIANA


Exhibition in New York Renews Interest for Danube Civilisation. Une exposition à New York relance l'intéret pour la civilisation danubienne. Ausstellung in New York erneut Interesse fuer Donau-Zivilisation.

Per noi, che abbiamo dedicato enormi sforzi di ricerca ed editoriali per inserire le problematiche della Civiltà Danubiana all' interno del più ampio dibattito sull' Identità Europea, costituisce non solo una grande soddisfazione, bensì anche un grande stimolo, il fatto che, dopo un, non inspiegabile, periodo di oblio, questa grande civiltà, ignorata dalla storiografia ufficiale, torni al centro della scena culturale, con l' esposizione organizzata a New York dall' Institute of Ancient World (http://www.nyu.edu/isaw/), destinata ad essere replicata in tutti gli Stati Uniti.

Il fatto che una mostra di questo tipo venga realizzata per la prima volta negli Stati Uniti non è senza collegamenti con il fatto che l' interesse per fatti culturali apparentemente marginali, ma, in realtà, forieri di grandiosi sviluppi, come questo, seguano le continue oscillazioni negli interessi culturali degli Enti finanziatori.

A nostro avviso, la Civiltà danubiana presenta:
1) un elevato interesse scientifico, in quanto dimostra l' esistenza, fra il 6° ed il 4° Millennio a.C, di una civiltà europea dotata di religione, arte, agricoltura, artigianato, architettura, urbanistica, scrittura, che anticipano di molto quelle del Vicino Oriente Antico (Mesopotamia e Egitto), che sorgono solo nel 4°-3° Secolo, facendo ipotizzare, addirittura, un trasferimento di conoscenze dai Balcani al Vicino Oriente;

2)un elevato interessse politico:

a)in generale, in quanto costituisce il terreno di scontro pivilegiato fra, da un lato, la concezione matriarcale e pacifistica della Preistoria (affine a quella del Buon Selvaggio, e della Democrazia e del Comunismo primitivi), propri di Rousseau, di Bachofen, di Kollar, e quella militaristica ed aristocratica del "Mito Ariano" (propria di Kossinna, Guenther, Dumézil);

b)in particolare, per gli Europei, in quanto costituirebbe un primo caso di "Melting Pot", esteso dall' Ucraina all' Italia, dalla Germania Est alla Grecia, in cui, 6000 anni fa, convissero tanto la civiltà matriarcale e pacifista, quanto quella aristocratica e metallurgica, così costituendo un primo centro di irradiazione della comune identità europea.

A causa di questo nodo incandescente di questioni, la civiltà danubiana è stata, talvolta, esaltata, talvolta, nascosta, nell' Impero Austro-ungarico, negli Stati Nazionali dell' Europa Centrale e Orientale, nell' America femminista e del New Age, negli Stati postcomunisti, nell' America di Bush, e, ora, in quella di Obama. Peccato che manchi una presa di posizione specifica dell' Unione Europea.

Una delle ragioni fondanti del nostro blog (come pure della Casa Editrice Alpina -cfr. sito www.alpinasrl.com-, nonché dell' Associazione Culturale Diàlexis) è costituita precisamente dal tentativo di portare alla luce dell' attualità temi come questo, forzando, se possibile, la stessa Unione Europea a prendere posizione.

Su un livello più modesto, ma, tuttavia, immediato, è nostro obiettivo PORTARE QUESTA MOSTRA IN EUROPA!

Perciò, saremmo grati a tutti coloro che potessere porci in contatto con gli organizzatori della Mostra, nonché con Enti finanziatori, musei, istituti culturali, che potessero aiutarci in questo obiettivo.

Il nostro indirizzo è:

info@alpinasrl.com

Per completezza di informazione, riportiamo qui di seguito alcune pagine del nostro libro

Riccardo Lala, 10.000 anni di identità europea,
1° Volume, Pàtrios Politèia,
Alpina, 2006

Questo libro può essere ordinato direttamente alla nostra casa editrice:

Alpina Srl
Via P. Giuria n.° 6
10125 Torino
Italy

Tel. 00390116688758

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"3. La “Old Europe”


Si noti che, se quest'ultima fosse la data “ufficiale” di inizio dell'identità europea, la stessa avrebbe, ormai, dietro di sé, 40 secoli di storia. Tuttavia, vi è, oramai, una vasta corrente storiografica che tende a riconoscere, nelle culture neolitiche europee del 6°-3° secolo a.C., tutte le principali caratteristiche di tre grandi civiltà antiche: quella danubiana (a cui sarebbero da imparentarsi quelle egea e cretese), quella megalitica e quella dei Kurgani. Questa sarebbe stata caratterizzata da una propria specifica religiosità, da primordiali strutture urbane, e, perfino, dall'invenzione della scrittura - il cosiddetto “antico alfabeto europeo”, tuttora non decifrato: «Fra i ritrovamenti che testimoniano l'uso della scrittura ci sono anche pesi da telaio con iscrizioni, ritrovati in grandi quantità. Il telaio verticale a pesi era il solo tipo di telaio usato nell'Europa antica e in Medio Oriente. Quanto alla natura delle iscrizioni, esse sono state interpretate in connessione con la simbologia religiosa della Grande Dea, patrona dell'arte tessile. L'associazione della tessitura con una divinità femminile è ben nota dall'antica mitologia greca: si crede che Atena in persona abbia donato alle donne mortali l'arte della tessitura. È noto, inoltre, che alla vigilia del matrimonio, le donne offrivano ad Artemide, nei suoi santuari, utensili per la tessitura e vestiti»29.

Si noti, soprattutto, che questo complesso di segni, che costella, in un modo singolarmente costante, tutti gli oggetti di questa antica civiltà (la “Civiltà Danubiana”), costituisce, senza ombra di dubbio, un’antichissima, non ancora decifrata, forma di alfabeto, che ne fa l’alfabeto più antico della storia30. Il nocciolo di questa “Old Europe” si situerebbe nella cosiddetta “cultura di Vinča”, avente i propri limiti estremi a nord-est nel Maramures rumeno, a nord-ovest fra la Vojvodina e la Slavonia, ad ovest a Sarajevo, a sud-est nel territorio della Grecia, comprendendo anche l'Ungheria e la Rutenia Transcarpatica.

Vista nell'ottica della “Old Europe” di Marija Gimbutas, sotto l'egida del culto della Grande Madre, Europa appare, allora, come uno dei tanti miti riferiti a quelle principesse “barbare”, eternate dalla letteratura classica, le quali contribuirono, nell'era delle grandi migrazioni nel Mediterraneo Orientale del 2° Millennio avanti Cristo, a facilitare la creazione della civiltà europeo-mediterranea (poi, greco-romana), con la loro dedizione altruistica (e, in un certo senso, suicida) agli eroi fondatori della stessa.

La vitalità delle sopravvivenze della cultura di questa “Old Europe”, anche attraverso ed al di là delle vestigia delle antiche civiltà indoeuropee a noi conosciute, appare, a Marija Gimbutas, come un dato di prima evidenza, che giustifica e fonda l’ipotesi di un vero e proprio sincretismo fra, da un lato, la civiltà pacifica e matriarcale dell’“Old Europe”, e, dall’altro, quella maschilista e guerriera dei popoli dei Kurgani, ed, in particolare, degli Indoeuropei.

«È chiaro che le mitologie indoeuropee sono combinate con quelle pre-indoeuropee, e che un sistema attendibile non può essere ricostruito senza prima distinguere e poi eliminare questi sistemi arcaici. Il modello di Dumézil non funziona se applicato a queste mitologie ibride. Le dee ereditate dall'Europa antica, come le greche Atena, Era, Artemide, Ecate, le romane Minerva e Diana, le irlandesi Morrígan e Brigit, le baltiche Laima e Ragana, la russa Baba Yaga, la basca Masi e altre, non sono ‘Veneri’ dispensatrici di fertilità e prosperità: come vedremo, sono molto di più. Queste dispensatrici di vita e reggitrici di morte sono ‘regine’ o ‘signore’, e tali restarono nei credi individuali per molto tempo, nonostante la loro ufficiale detronizzazione, militarizzazione o ibridazione con spose e mogli celesti indoeuropee. Le antiche dee europee non divennero mai ‘déesses dernières’, neppure in epoca cristiana. Tutto questo rende obbligata un'espansione verticale nel metodo di Dumézil»31.

Gimbutas fonda buona parte delle proprie argomentazioni sulla testimonianza della cultura materiale, prevalentemente artistica, dei popoli neolitici europei del VI, V, IV, III e II Millennio a.C., che testimonierebbero, se non veramente un matriarcato, almeno una società (“gilania”) caratterizzata dall’equilibrio fra l’elemento maschile e quello femminile: «L'arte incentrata sulla Dea, con la sua singolare assenza di immagini guerresche e di dominio maschile, riflette un ordine sociale in cui le donne, come capi-clan o regine sacerdotesse, ricoprivano un ruolo dominante. L'antica Europa e l'Anatolia, come la Creta Minoica, erano una ‘gilania’. Religione, mitologia e folclore, studi della struttura sociale dell'antica cultura europea e di quella minoica riflettono un sistema sociale equilibrato, né patriarcale né matriarcale, confermato dalla continuità degli elementi formativi di un sistema matrilineare nell'antica Grecia, in Etruria, a Roma, nei paesi baschi e in altri paesi europei.

Mentre le culture europee trascorrevano un'esistenza pacifica e raggiungevano una fioritura artistica e architettonica altamente sofisticate nel V millennio a.C., una cultura neolitica assai diversa, in cui si addomesticava il cavallo e si producevano armi letali, emergeva nel bacino del Volga, nella Russia meridionale, e, dopo la metà del V millennio, persino a Ovest del Mar Nero. Questa nuova forza, inevitabilmente, cambiò il corso della preistoria europea. Io la chiamo la cultura ‘Kurgan’ (in russo Kurgan significa tumulo), poiché i morti venivano sepolti in tumuli circolari che coprivano gli edifici funebri dei personaggi importanti.

Le caratteristiche fondamentali della cultura Kurgan, che risalgono al VII e VI millennio nell'alto e medio bacino del Volga: patriarcato, patrilinearità; agricoltura su scala ridotta e allevamento di animali, compreso l'addomesticamento del cavallo a partire dal VI millennio; posizione prevalente del cavallo nel culto; e, di grande rilievo, fabbricazione di armi quali l'arco e la freccia, la lancia e la daga. Elementi distintivi, tutti, che si accordano con quanto è stato ricostruito come fenomeno proto-indoeuropeo dagli studi linguistici e di mitologia comparata, e si oppongono alla cultura gilanica, pacifica, sedentaria, dell'antica Europa, caratterizzata da un'agricoltura altamente sviluppata e dalle grandi tradizioni architettoniche, scultoree e ceramiche»32.

Secondo Gimbutas: «Così i ripetuti tumulti e le incursioni dei Kurgan (che considero proto-indoeuropei) misero fine all'antica cultura europea all'incirca tra il 4300 e il 2800 a.C., trasformandola da gilanica in androcratica e da matrilineare in patrilineare. Le regioni dell'Egeo e del Mediterraneo si sottrassero più a lungo al processo; in isole come Thera, Creta, Malta e Sardegna, l'antica cultura europea fiorì dando luogo ad una civiltà creativa e invidiabilmente pacifica fino al 1500 a.C., mille-millecinquecento anni dopo la completa trasformazione dell'Europa centrale. Nondimeno, la religione della Dea e i suoi simboli sopravvissero, come una corrente sotterranea, in molte aree geografiche. In realtà, molti di questi simboli sono ancora presenti come immagini nella nostra arte e letteratura, motivi di grande suggestione nei nostri miti e negli archetipi dei nostri sogni.

Viviamo ancora sotto il dominio di quella aggressiva invasione maschile e abbiamo appena cominciato a scoprire la nostra lunga alienazione dall'autentica eredità europea: una cultura gilanica, non violenta, incentrata sulla terra»33.

Sulla scia degli studi sulle società matriarcali, non soltanto di Marija Gimbutas, ma anche del filosofo romantico Bachofen34, le moderne “filosofie femministe” sono profondamente impregnate del mito di questa antica civiltà matriarcale, antecedente all'invasione dei popoli guerrieri e patriarcali, fossero essi Indoeuropei, Semiti od Uralo-Altaici. In quella mitica antichità, le femministe collocano la loro “Età dell'Oro” il loro mito del “buon selvaggio”35.

Qualunque cosa si pensi di queste teorie sulla “Old Europe”, non vi è dubbio che gran parte della religiosità classica, nonché il culto mariano dell'Europa cristiana, siano stati profondamente influenzati dalla figura della Grande Madre36. Non è, quindi, forse, neanche un caso il fatto che il culto mariano sia particolarmente forte in quelle aree dell'Europa Centrale ed Orientale che, secondo la Gimbutas, furono la culla del culto della Grande Madre (Francia settentrionale, Renania, Polonia meridionale, Russia meridionale, Balcani).

Tornando ad Europa, essa non è sola fra i personaggi femminili che accompagnano l’ascesa dei nuovi eroi guerrieri: si incomincia da Arianna, che permette all'ellenico Teseo di sconfiggere l'“afro-asiatico” mostro Minotauro; si giunge, poi, a Medea, la principessa della Colchide, che aiuta Giasone a rapire, nella sua terra, il “Vello d'Oro”, e condivide con lui il regno in Corinto, fino alla tragica morte. Poi, Calipso, Circe e Nausicaa, che allietano, ma rallentano, i viaggi di Ulisse verso la Magna Grecia ed il suo “nostos” ad Itaca. Infine, Didone, che permette ad Enea ed ai suoi compagni di ristorare le proprie forze prima del viaggio finale verso la “nuova Troia”, l'Italia37.

Ribadiamo che il nostro soffermarci su questi temi non è dettato da sterile nostalgia classicistica, né da un ozioso tecnicismo archeologico, ma costituisce, anzi, un sorta di “atto dovuto”, data l'importanza di tali temi, quali motivi ispiratori, oggi più che mai, del dibattito culturale e politico europeo, ed, in particolare, del femminismo. Ad esempio, le appena citate opere di Marija Gimbutas, come pure le recenti opere di Christa Wolf, la quale ha ritenuto significativa, quale espressione dei turbamenti degli attuali Europei, dell'Ovest e dell'Est, nonché delle aspirazioni e rivendicazioni femministe, proprio la “rivisitazione” dei miti di Cassandra e di Medea38.

Un'autrice particolarmente attenta ai significati metastorici del nostro mito è Luisa Passerini: «La ricomparsa del mito di Europa nella contemporaneità si inserisce in una più vasta ricognizione della mitologia sia di origine classica sia derivata da tradizioni da tutto il mondo, con cui il nostro tempo cerca di riannodare le fila interrotte da diaspore e tragedie. Secondo Campbell, viviamo oggi in una morena terminale di miti e simboli che sono i frammenti grandi e piccoli di tradizioni di grandi civiltà, e il nostro compito è di convertire i detriti della morena in un laboratorio di rivelazioni. Sono ancora indispensabili le molte funzioni del mito, da quella mistica che ispira un senso di partecipazione all'universo, a quella cosmologica che potrebbe attribuire significati alle visioni scientifiche attuali, a quella sociologica e pedagogica, che cercano l'una di mantenere sistemi di valori e costumi, e l'altra di aiutare gli individui nei passaggi tra i vari stadi della vita; ma tutte devono essere innovate e portate all'altezza dei grandi cambiamenti della nostra epoca»39.

Come ricorda Passerini, il caso di Europa era stato adottato come illustre esempio di questa funzione del mito in un'opera congiunta di Jung e di Kerényi: «‘Quest'immagine segna l'apparizione della fanciulla nelle sembianze di Europa’, annota Jung, per mostrare l'emergenza di immagini archetipiche, 'concatenazioni di rappresentazioni' che possono 'riaffiorare in qualsiasi secolo e in qualsiasi luogo'. Si tratta di esperienze che non hanno a che fare con un'eredità specifica di razza, ma con un tratto universale umano»40.

Emerge, pertanto, qui, il carattere del “mito autentico”, che è quello di rimandare ad un'esperienza universalmente umana, non mediato dall'ideologia: «Più specificamente, la congiunzione del Toro divino e di Europa indica l'assunzione nell'inconscio della figura della Kore e dunque l'integrazione dell'umano con il subumano e il sovraumano, la ricomparsa del mito invita dunque a tentare nuove forme del rapporto tra conscio e inconscio (Jung, 1989)»41.

Per tutti questi motivi, il mito di Europa può, a nostro avviso, fare oggetto, da parte nostra, di una concreta elaborazione culturale, che lo ponga quale fondamento di una determinata concezione del “nocciolo duro” dell'identità europea, che permetta, a sua volta, a quest'ultima di “situarsi” nei confronti di altre figure mitiche, come, in primo luogo, quella della “Translatio Imperii”, della quale essa è, per un verso, l'anticipatrice, e, per l'altro, l'antitesi.

Occorre, per altro, ricordare che non tutta la più recente storiografia riconosce, alla “gilania” sud-est europea, il primato storico dell'introduzione della civiltà in Europa. Come noto, Colin Renfrew, fondandosi sul metodo del carbonio, ha stabilito che le più antiche culture superiori presenti in Europa sono quelle megalitiche di Malta e dell'Inghilterra42.

Come, d’altronde, abbiamo già affermato in premessa, tre sono le principali aree culturali presenti nella protostoria europea: nei Balcani e nell’Italia Orientale, fioriva la “Civiltà Danubiana”: a nord-est, nelle steppe russe, e, poi, più tardi, nelle pianure dell’Europa Centrale, si estendeva la “Civiltà dei kurgan”. E non si deve neppure dimenticare che, nelle faglie e negli interstizi fra quelle civiltà, sopravvivevano le preesistenti civiltà di cacciatori e di raccoglitori, le quali, da un lato, avrebbero mantenuto la loro continuità fino ai nostri giorni, attraverso piccoli popoli minoritari, come i Baschi ed i Georgiani, e, dall’altro, secondo recentissimi studi storici, costituirebbero il vero substrato etnico degli attuali Europei, i quali, di quei popoli primitivi, continuerebbero a condividere il DNA43.

Questa quadripartizione dell’Europa più antica costituisce, per noi, se ancora ve ne fosse bisogno, una ulteriore conferma del fatto che il fatto saliente dell’identità europea sarebbe stato costituito, da sempre, dal suo pluralismo. Sembrerebbe, infatti, risultare applicabile già perfino a quell’antica era paleolitica, l’osservazione, che sarà ripetuta da Ippocrate ad Aristotele, e da Machiavelli a Montesquieu, che l’elemento saliente dell’identità europea, e la sua forza, sarebbe costituito proprio dalla sua pluralità.

Certo, è difficile, ed, in ogni caso, dovrebbe essere fatto forse in altra sede, ripercorrere, sulla base dell’archeologia e delle tradizioni locali, il rapporto intercorrente fra le civiltà neolitiche delle varie regioni d’Europa, con le civiltà che le hanno seguite. Per esempio, gli echi delle civiltà megalitiche nell’epopea celtica delle isole britanniche (i “Túatha te Danann”), oppure il legame molto stretto fra gli antichi “Popoli dei kurgan” ed i successivi “popoli delle steppe” (unni, avari, khazari, magiari, tartari, ma anche lituani, turchi e cosacchi).

A questi rapporti si farà, per altro, quando necessario, riferimento caso per caso nel corso delle pagine seguenti.





1

2 Goethe, Faust, Milano, 1965.

3 Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea, op. cit.

4 R. Brzezinski e M. Mielczarek, The Sarmatians, Osprey, UK-USA, 2002.; G. Dumézil, Mythe et épopée, Gallimard, Paris, 1973-1981.

5 G. Dumézil, L'ideologia tripartita, Il Cerchio, Rimini, 2003.

6 Cfr. Hans-Ulrich Wehler, Nazionalismo. Storia, forme, conseguenze, Bollati Boringhieri, Torino, 2001, pag. 62 e segg.

7 Frammento scritto in Luvio (antica lingua dell'Asia Minore) Esso costituisce il più antico documento scritto che testimonia l'esistenza di una città anatolica chiamata "Wilusa", il cui re era "Alaksandu" - due espressioni che richiamano le parole greche "Ilios" (Troia) ed "Alèksandros" (Paride): «Per coloro che identificano Wilusa con Troia/Ilios, vi sono due testi di particolare importanza: il cosiddetto 'Trattato di Alaksandus' e la lettera Manopa-Tarhundas. Il primo documento, databile intorno al 1280, offre, fra l'altro, a coloro che sostengono l'equivalenza tra Wilusa e Troja/Ilios, il vantaggio che il troiano a causa del quale, secondo la saga, la sventura si abbatté su Troia, si chiamava Alessandro (meglio noto come Paride), un nome assonante con Alaksandus». Dieter Hertel, Troia, Il Mulino, Bologna, 2003, pag. 52.

8 La scrittura è nata in Europa.

9 Cfr. figura in copertina.

10 Joan Marler, L’eredità di Marija Gimbutas: una ricerca archeologica sulle radici della civiltà europea, pag. 89, in Le Radici Prime dell’Europa, Gli intrecci genetici, linguistici, storici, a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Cerruti, Mondadori, Milano, 2001.

11

12 Cfr. Tom Holland, Persian fire.

13 Martin Bernal, Origini europee: un mito semplice, una realtà complessa, pag. 318, in Le radici prime dell’Europa, cit., pag. 321.

14 Husserl, L’idea di Europa, Raffaella Cortina Ed., Milano, 1999.

15 Theodor Ziolkowski, Virgil and the Moderns, Princeton University Press, New Jersey, 1993.

16 Cfr, infra.

17 Ernst Nolte, Esistenza storica. Fra inizio e fine della storia? Le Lettere, Firenze, 2003, pag. 95.

18 L’epopea di Gilgameš, a cura di Nill Sardars, Adelphi, Milano, 2006, pag. 65, prima edizione settembre 1986 (traduzione di Alessandro Passi).

19 H. Bloom, IL Canone Occidentale, Marcelliana, Brescia, 2002.

20 Massimo Baldacci, La scoperta di Ugarit, Piemme, Casale Monferrato, 1996, pag. 206.

21 Paolo Merlo, Paola Xella, Maria Rocchi, Sergio Ribicheni, La questione delle influenze vicino-orientali sulla religione greca, Atti del Colloquio Internazionale, Roma, maggio 1999, Consiglio nazionale delle ricerche 2001.

Secondo F. Villar: «L'elemento fondamentale che consentì lo sviluppo della Vecchia Europa fu l'agricoltura».

«Questa attività, la cui introduzione è nota come la rivoluzione neolitica, ebbe inizio nel vicino Oriente e subito, sicuramente verso il 7000 a.C., ma probabilmente anche prima, era ben stabilizzata in almeno tre punti: in Anatolia, in Mesopotamia e nella Valle del Nilo. Di qui cominciò a diffondersi sia verso oriente che verso occidente. In Europa giunse prima nella zona centro-orientale e in quella balcanica.

Verso il 5000 a.C., l'agricoltura aveva già una lunga tradizione nella valle del Danubio, nella Grecia continentale, a Creta, nel Balcani e sulla costa orientale dell'Italia. Fu in queste aree che si sviluppò la civiltà della Vecchia Europa, che, pur condividendo non pochi tratti caratteristici, molto diversi da quelli che poi gli Indoeuropei porteranno con sé dalle steppe, non fu assolutamente uniforme in tutte le regioni. L'agricoltura, più a occidente e più a nord (Francia, Germania, Scandinavia, isole britanniche, penisola iberica), a causa della maggiore distanza dal punto in cui era stata inventata, tardò di più ad arrivare. Alcuni millenni dopo, anche l'indoeuropeizzazione avrebbe tardato ad arrivare».

«A volte si stanziavano su piccole alture con una buona vista sul territorio circostante, ma prive di strutture di difesa, perché si trattava di gente essenzialmente pacifica, più amante dell'arte che della guerra, che non disponeva né di grandi fortificazioni né di armi. A volte delle modeste palizzate suggeriscono misure di sicurezza contro animali selvaggi o contro forestieri, ma non sistemi di difesa seri, a scopi bellici».

«Nessun indizio archeologico, di quelli così numerosi per altre civiltà, suggerisce che la società della Vecchia Europa conoscesse una divisione in classi tra governanti e governati o tra padroni e lavoratori.

Non c'erano palazzi più sontuosi delle normali case, né monumenti funerari regali i principeschi. Numerosi invece i templi con grandi depositi di oggetti preziosi (oro, rame, marmo, ceramiche) il che lascia pensare a una teocrazia o a una monarchia teocratica».

«Alcuni vasi destinati al culto, figurine e diversi altri oggetti rituali, appartenenti alla cultura di Vinča, e risalenti al periodo compreso tra i millenni VI e IV a.C., recano delle iscrizioni che sembrano appartenere ad una scrittura basata su segni rettilinei, un buon numero dei quali può essere identificato.

Ormai sono pochi gli specialisti che dubitano del fatto che tali segni appartengano ad un sistema di scrittura. Alcuni preferiscono parlare di prescrittura. Ma dopo le interessanti osservazioni di H. Haarmann appare fuori dubbio che si tratta di una vera e propria scrittura: di una scrittura di natura pittografica e utilizzata esclusivamente per scopi religiosi e legati al culto, poiché tutti gli indizi lasciano supporre che le iscrizioni contengano formule rituali e nomi delle divinità incisi su oggetti votivi. Haarmann ha dimostrato l'identità o la stretta somiglianza tra più di cinquanta di questi segni con altrettanti segni della scrittura lineare A di Creta. Una coincidenza che non può essere casuale e che, integrandosi in un ampio sistema di altre affinità culturali, ci porta all'ovvia conclusione che la scrittura cretese è erede di quella della vecchia Europa».

«La principale divinità era una divinità al femminile, la Grande Madre apportatrice della vita, assimilata alla terra che genera il frutto del raccolto, processo essenziale in una cultura agricola quale quella era».

«L'indoeuropeizzazione dell'Europa centro-orientale ebbe inizio nel V millennio e fu poi consolidata dalle invasioni del IV millennio (quello che M. Gimbutas chiama Kurgan wave 2).

Quest'area divenne a sua volta il centro secondario dell'indoeuropeizzazione dell'Europa settentrionale e occidentale fin dall'inizio del III millennio». F. Villar, Gli indoeuropei e le origini dell’Europa, Il Mulino, Bologna, 1997.

22 La parola "Europa" viene ricollegata alle radici semitiche "srb", "crb" e "ghrb", nonché alla parola accadica "erebu" - espressioni tutte che servono per formare parole come "uscire", "tramontare", "Occidente", "sera", e che sono alla base anche delle parole "carab" (arabo), "Erebos" (mitica e tenebrosa regione nordica) ed "el-Gharb", "Algarve" ("Occidente"), o anche l'espressione biblica "èrev rav", che si riferisce alla "plebe oscura" che segue Mosè attraverso il deserto. Si è anche citata la non molto diversa radice ebraica "cvr", da cui derivano "cIvrì" (ebreo) ed "cèver" ("riva", "sull'altra riva"), ma anche, forse, "khabiru" e "aperu", "Aribi" (Arabi, Ariani, Nomadi?); infine perfino "Arām" (Siria, "nomade", "beduino", "intoccabile") Espressione usata nelle antiche città di Alalak, Ugarit ed Aton-Aknet, come stranieri erranti da ingaggiare temporaneamente come mano d'opera. Charles Henry Puech, Storia dell'Ebraismo, Laterza, Bari, 1976, pag. 85.

«Nella Bibbia ebraica originale la parola 'Ebrei' è resa con 'habiru', che significa popolo al dilà del fiume. Questo, ipotizza Snyder, è il nome con cui erano conosciuti gli Ebrei inizialmente. È in questa forma che compare il più antico riferimento esistente agli Ebrei, in un'iscrizione del regno originario degli Hyksos di Mari». Graham Phillips, Mosè, I fondamenti del racconto biblico: un'indagine tra storia e mito, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2002, pagg. 58-59.

«Snyder ricostruisce così le testimonianze storiche negli “Hapiru”:

- 1500 circa a.C.: Il più antico riferimento agli hapiru si trova su una scena della tomba del grande araldo di Thutmosis III, Antef, che li elenca tra i prigionieri di guerra catturati durante le campagne del faraone.

- 1475 circa: Una scena nella tomba del nobile 'Puyemre' a Tebe, risalente al regno di Thutmosis III, mostra quattro uomini che lavorano su una pressa da vino; i geroglifici che accompagnano l'immagine spiegano: 'hapiru che spremono l'uva'. Si tratta della terra di Gosen, dove la Bibbia dice che gli Israeliti sono tenuti in schiavitù.

- 1430 circa: Una lista di prigionieri trovata su una pietra scoperta a Menfi, risalente al regno di Amenofi II, comprende tremilaseicento hapiru.

- 1270: Il Papiro di Leida, riguardante il regno di Ramesse II, menziona il fatto che gli hapiru fossero usati per i lavori pesanti per la riparazione di un tempio a Menfi.

- 1270 circa: Nel regno di Ramesse II viene registrato che gli hapiru sono utilizzati per fabbricare mattoni a Miour nella provincia del Fayum.

- 1180 circa: Durante il regno di Ramesse III un'iscrizione elenca gli hapiru che lavoravano la terra a Eliopoli nel nord dell'Egitto, mentre in un'altra compaiono al lavoro nelle cave dello stesso distretto».

Secondo una serie di autorevoli linguisti, all'accadica "Erebu" (Occidente, Europa), si sarebbe contrapposta una "Asu" (sorgere, Oriente, Asia), così come, ancor oggi, in Arabo, i paesi arabi si distinguono in Maghrib (Occidente) e Mashraq (Oriente) Hrózny, Die älteste Geschichte Vorderasiens, 1940, pag. 133.

23 D’altro canto, l’accoppiamento di una dea femminile e di un toro sacro è presente ossessivamente in tutta la mitologia e l’iconografia medio-orientale più antica, dal “Tempio” di Çatal Hüyuk, alla vicenda del “Toro Celeste” che, nell’epopea Gilgameš, vendica l’onore di Inanna, fino al ripetersi del tema dell’accoppiamento fra donna ed animale nel mito di Parsifal.

24 Pensiamo solamente al significato del Mito di Edipo in Freud ed in Lévy-Strauss.

25 In effetti, all'isola oggi nota come Tera era approdato il figlio di Agenore, Cadmo, alla ricerca di Europa; vi aveva fatto scalo e, sia che il luogo gli fosse piaciuto sia che altre ragioni lo invogliassero a farlo, vi aveva lasciato alcuni Fenici.

26 G. Goffredo, Cadmo cerca Europa, Bollati Boringhieri, Torino, 2000.

27 Cfr. Goethe, Iphigenia in Tauris; Christa Wolf, Premesse a Cassandra, Roma, 1993; Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, op. cit.

28 Martin Bernal, The Cadmean Letters; Eisenbrowns, Winona Lake, 1990. Il termine “caratteri cadmei” veniva utilizzato da Greci: caratteri fenici, portati in Grecia da Cadmo, ed utilizzati dai Greci come loro primo alfabeto. In realtà, come si può evincere dalla tabella che appare qui di seguito, come fig. n. 1, è difficile categonizzare esattamente i vari tipi di caratteri alfabetici usati, fra Medio Oriente e Grecia, nella 2ª metà del 2° millennio, in quanto si ha un’evoluzione che deriva dagli ideogrammi egizi, nella direzione degli alfabeti greco e latino classici.

29 Harold Haarmann, Modelli di civiltà a confronto nel mondo antico: la diversità funzionale degli antichissimi sistemi di scrittura, pag. 41, n. 2, in Origini della scrittura, Geneaologia di un'invenzione, a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti, Mondadori, Milano, 2002, pag. 28.

30 Cfr. Fig. 2, antico alfabeto europeo.

31 M. Gimbutas, op. cit.

32 Ivi, pagg. XX e XXI.

33 M. Gimbutas, op. cit., pag. XXI. Cfr. anche J.J. Bachofen, Myth, Religion and Mother Right: Selected Writings, trad. it. di R. Manheim, Routledge and Kegan P., Londra, 1967.

34 J.J. Bachofen, Il matriarcato.

35 Philippe Borgeond, Mother of the Gods, From Cybele to the Virgin Mary, The John Hopkins University Press, Baltimore and London, 2004, prima edizione La Mère des dieux: De Cybele à la Vierge Marie, Editions du Seuil, Paris, 1996.

36 «Di tutte le definizioni inventate dalla cristianità orientale per Maria, certamente il nome Thedròkos è il più completo ma anche, secondo l'opinione di alcuni, il più problematico. Non significa solamente 'Madre di Dio', come è stato di solito tradotto nelle lingue occidentali (Mater Dei in latino e quindi nelle lingue romane, Mutter Gottes in tedesco), ma più precisamente e completamente 'colei che ha dato la vita a uno che è Dio' (di conseguenza Bogorodica ed affini in russo e nelle lingue slave e, più raramente, ma con maggiore precisione, Deipara in latino). Per quanto la storia linguistica del vocabolo sia ancora sconosciuta, sembra sia stato un termine coniato dai cristiani anziché, come si potrebbe ipotizzare superficialmente, l'adattamento a scopi cristiani di un nome originariamente attribuito a divinità pagane». Jarislav Pelikan, Maria nei secoli, Città nuova, Roma, 1999, pag. 71.

Secondo Jean Markale, l'antecedente più prossimo di Maria sarebbe costituito da Cibele: «Chi è dunque questo misterioso personaggio uscito dalla notte dei tempi? Cibele, come appariva nei primi secoli dell'era cristiana, era ancora rivestita dai suoi caratteri preistorici. Si può affermare allora che sia già lei a figurare nelle statuette steatopigie del sud della Francia, che risalgono al Paleolitico, o in modo schematico nei grandi monumenti megalitici dell'Occidente, in Bretagna o in Irlanda, nell'età neolitica». Jean Markale, Il mistero dei druidi. Il culto della dea madre e la versione in era di Chartres, Sperling & Kupfer, Milano, 2002.

37 Questa forte connotazione femminile del mito è dimostrata da recenti studi archeologici: «Europa sul toro si identificava, dunque, con un simbolo della gioia, con una metafora dell'elezione, con la fecondità del corpo, con la sufficienza alimentare. La diffusa convinzione che il mito d'Europa non fosse stato diffuso nell'antichità, risulta ormai falso, e, se ce ne fosse ancora bisogno, risulterebbe, in ogni caso, falsificato dal lavoro - estremamente sistematico - di Eva Zahn (Zahn, 1983), relativo all'iconografia, e di Von Bühler (Bühler, 1968), relativo alle fonti letterarie. Le ceramiche in rilievo (i 'Lekythoi"), con Europa ed il toro, venivano prodotte nell'antichità prevalentemente per un pubblico femminile (Zahn, 63). Essi venivano utilizzati quali ornamenti domestici, spesso sugli altari, ed erano adatti anche quali arredi funebri. Le rappresentazioni di quel mito erano indicate anche come regali di nozze».

38 Cfr. anche Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, op. cit.

39 Luisa Passerini, Il mito d'Europa. Radici antiche per nuovi simboli, Giunti, Firenze, 2002, pagg. 21-22.

40 Passerini, op. cit., pag. 24.

41 Passerini, op. cit., pag. 25.

42 Colin Renfrew, La preistoria in Europa, Laterza, Bari, 2000.

43 Cfr. foto n. 3: le culture dell’Europa neolitica".





2 commenti:

  1. Egregio Sig. Lala,

    Intervengo in questo suo intervento perché, pur essendo poco avvezzo ai blogs (e alla tecnologia...), voglio esprimerLe la mia vicinanza di pensieri.
    In primis, sono rimasto molto colpito dalla Sua attitudine a sollevare argomenti spesso taciuti dalla stampa, o che in ogni modo, come nel caso di specie, seppur affrontati dalla carta stampata rimangono poi lì, come sospesi, senza che nessuna "autorità" si degni di darvi il giusto peso.
    Inoltre, Lei riesce sempre, nei suoi interventi, partendo dall'attualità, a tornare su punti della nostra storia, spesso dimenticati o volutamnente tralasciati.
    La ringrazio quindi, per tutte le riflessioni che provvede a stimolare attraverso i suoi articoli, augurandoLe che questo blog diventi un vero punto di riferimento per tutti quelli, come me, che credono nell'esigenza della ricerca e dello studio dell'identità europea.

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  2. Siamo sempre grati ai nostri lettori per interventi come questi, che ci confermano che il "taglio" che abbiamo scelto corrisponde ad un' effettiva esigenza dei navigatori sul web.

    Inhtanto, vorremmo scusarci per il fatto che, per un motivo tecnico non ancora chiarito, da qualche tempo i commenti non vengono pubblicati immediatamente, bensì previamente inoltrati alla redazione. Noi provvediamo comunque a pubblicarli entro i tempi più brevi possibili.

    Vorremmo anche segnalare che, in questi ultimi giorni, stiamo riscontrando un interesse sempre crescente per il nostro blog, che, a nostro avviso, è dovuto anche all' affastellarsi, sulla scena pubblica, di sempre nuovi temi rilevanti per l' Identità Europea (anniversario della caduta del Muro, ratifica del Trattato di Lisbona, nomina dei nuovi vertici del Consiglio e della Commissione, evoluzioni della politica russa e turca, impatto di quella americana di Obama.

    Promettiamo ai nostri lettori, da un lato, di intensificare i nostri interventi, in modo da riuscire veramente a segnalare tutti gli eventi che abbiano un certo rilievo, e, dall' altro, da promuovere anche delle vere e proprie campagne, come quella che abbiamo or ora lanciato per avere in Europa la mostra sulla Civiltà Danubiana.

    Vi saremo grati se vorrete continuare a incoraggiarci con i Vostri commenti, e anche, eventualmente, con i Vostri suggerimenti, tanto per ciò che concerne i post, quanto per ciò che concerne specifiche iniziative.

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